Addio alle urne

Tratto da Huffington di Stefano Fassina

Quale può essere la spiegazione per questa duplice involuzione? In breve: la diffusa percezione di impotenza della politica e di irrilevanza delle istituzioni.

Guardiamo ai risultati delle elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia come agli ultimi punti di una serie storica. La prima tendenza impressionante è l’astensione in inarrestabile aumento negli ultimi decenni. Un’astensione con un nettissimo segno di classe. A tal proposito, le analisi delle precedenti tornate elettorali, amministrative e politiche sono inequivocabili. In attesa della scomposizione sociale del voto del 12-13 febbraio scorso, ne troviamo chiara conferma nell’affluenza a Roma, dove la quota di votanti in ciascun Municipio è direttamente proporziale al reddito medio in esso registrato. In sostanza, la nostra democrazia diventa, di fatto, “censitaria”.

La seconda tendenza è l’affermazione di una destra corporativa e tradizionalista, in risposta “all’insostenibilità sociale, ambientale e spirituale” (Papa Francesco) della regolazione neo-liberista dell’economia, impostasi a partire dagli anni ‘80 e in particolare dopo l’89. In sintesi brutale, chi ha più bisogno di politica sta lontano dalla politica e, quando si avvicina alla politica, sta lontano dalla sinistra ufficiale e, almeno nelle competizioni amministrative, anche da chi sinistra ufficiale non è, ma la sinistra spesso fa, ossia il M5S a guida Giuseppe Conte. Attenzione. L’Italia non è un unicum. La nostra foto è simile alle fotografie scattate alle altre democrazie consolidate dell’occidente.

Quale può essere la spiegazione della duplice involuzione? In breve: la diffusa percezione di impotenza della politica, di irrilevanza delle istituzioni democratiche, ai fini della realizzazione di misure efficaci a migliorare le proprie condizioni materiali di vita. Una percezione, ahimè, corretta. Il vigente contesto economico-istituzionale, in particolare la “liberazione” voluta dai Trattati Ue dei movimenti di capitali, merci, servizi e persone dagli obiettivi sociali prescritti dalla nostra Costituzione, come dalle Costituzioni scritte dopo la Seconda Guerra mondiale, priva la politica degli strumenti essenziali per attuare incisivi interventi “di sistema” per difendere e promuovere il welfare State universalistico, condizione necessaria di democrazia sostanziale, come scolpito nell’art. 1 della nostra Costituzione. Quali “bottoni” sono stati eliminati dalle “stanze” della politica in senso lato, incluse le organizzazioni di lavoratrici e lavoratori, motore riformista primario nel “secolo breve”? La capacità di imposizione fiscale sia sulle fonti di reddito più mobili (i capitali finanziari) sia sulle fonti di reddito più statiche (il lavoro subordinato e la micro e piccola impresa) a causa del dumping da dentro e da fuori il mercato unico europeo. La politica monetaria a causa della de-responsabilizzazione delle Banche centrali, in particolare della BCE, da obiettivi sociali. Lo sciopero di lavoratrici e lavoratori, parziale o generale, a causa del ricatto delle facili delocalizzazioni delle imprese. Insomma, nella amarissima profezia del compianto Alfredo Reichlin: “La finanza decide, i tecnici amministrano, i politici vanno in televisione”.

Certo, il mantra liberista esalta l’efficacia delle cosiddette “riforme strutturali”: più privatizzazioni, più competizione, meno tassazione, meno spesa pubblica, meno regole per strappare fette di mercato agli altri. Ma il difetto logico dell’integralismo della concorrenza è la sua relatività: funziona se uno corre e l’altro sta fermo; se tutti corrono, le posizioni relative rimangono inviariate e si accelera la race to the bottom dove il lavoro ed il welfare si impoveriscono sempre di più. Lasciamo stare l’Italia, notoriamente “legno storto”. Verifichiamo quanto avvenuto nell’epicentro dell’offensiva liberista partita negli anni ’80, USA e UK, con Ronald Reagan e Margaret Thatcher: il rigetto della “cura” ha prodotto, nei primi, Donald Trump all’insegna dell’ “America first”, principio ora ispiratore anche delle misure protezioniste del Presidente Biden; nel secondo, ha imposto la Brexit.

In tale contesto di primato assoluto dell’economia sulla società, la politica può nel migliore dei casi curare soltanto le condizioni materiali di vita di alcune categorie. Soltanto soluzioni corporative, a somma zero, sono possibili in un quadro di risorse sempre più scarse. Quindi: autonomia differenziata per la “secessione dei ricchi”, tassazione agevolata per interessi economici forti ed evasione fiscale per chi può; welfare aziendale, a carico della fiscalità generale, per i nuclei di lavoratori e lavoratrici delle attività a più elevato valore aggiunto. A compensazione: dissanguamento del welfare universalistico e fine della redistribuzione di reddito verso i settori sociali più in difficoltà.

In conclusione, alla domanda di protezione sociale alimentata dai flussi incontrollati di capitali, merci, servizi e persone si può rispondere, per ragioni strutturali, soltanto con interventi selettivi. È la cifra distintiva della destra corporativa. La cifra universalistica, propria della sinistra, è invece impraticabile in quanto richiede il ripristino, a cominciare dalle direttive europee e dallo statuto della BCE, della funzione sociale delle libertà economiche e della politica monetaria. Non è un vento improvviso e passeggero a gonfiare le vele della destra. È la regolazione, innanzitutto nell’Ue, delle 4 sacre libertà economiche. È ora che la sinistra ufficiale e chi intende fare la sinistra acquisisca consapevolezza del meccanismo in funzione e definisca un’agenda di policy coerente con il “controlimite” sociale scolpito nella nostra Costituzione.

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