Capitol Hill a Brasilia

Tratto da Internazionale di Pierre Haski

La democrazia brasiliana è sopravvissuta. Tuttavia, come è accaduto negli Stati Uniti dopo l’assalto al congresso del 6 gennaio 2021, in futuro il paese dovrà superare una crisi politica che colpisce le basi del sistema democratico.

La domenica nera della democrazia brasiliana è stata la cronaca di una catastrofe annunciata, perché in Brasile abbiamo ritrovato tutti gli elementi che avevano caratterizzato la crisi degli Stati Uniti. E proprio come accaduto a Washington, anche in Brasile lo stato si è dimostrato più resistente di quanto pensassero gli insorti. E soprattutto l’esercito non ha risposto ai loro appelli.

Le similitudini sono evidenti: l’indebolimento delle regole democratiche, con la pericolosa contestazione dei processi elettorali senza alcuna prova e nonostante le smentite delle istituzioni di controllo indipendenti; un discredito permanente del mondo dell’informazione, che l’8 gennaio ha portato all’aggressione di sei giornalisti; e infine un rifiuto della democrazia stessa, i cui simboli sono stati saccheggiati da un esercito di esaltati.

Nulla di spontaneo
Prima di tutto bisognerà capire nel dettaglio cos’è successo. Fin dall’inizio è apparso evidente che non ci fosse nulla di spontaneo nell’invasione simultanea della presidenza, del parlamento e della corte suprema.

Si è trattato del colpo di coda di una frangia bolsonarista estrema? O di un complotto più elaborato, con ramificazioni politiche, mezzi finanziari e complici all’interno dell’apparato statale? Solo le indagini potranno fare chiarezza. In ogni caso in serata è caduta la prima testa, quella del capo della sicurezza di Brasília ed ex ministro della giustizia di Bolsonaro, Anderson Torres. Le autorità hanno identificato anche gli autobus che hanno trasportato i manifestanti provenienti dal resto del paese e stanno cercando di capire chi ha pagato per organizzare i viaggi.

In Brasile Lula è già presidente da otto giorni, un fatto che ormai non è più contestabile

Infine, come negli Stati Uniti, bisognerà affrontare la questione del ruolo personale dell’ex presidente, che al momento è rifugiato a Orlando, in Florida. Bolsonaro ha condannato senza troppa convinzione gli eventi dell’8 gennaio, ma su di lui aleggiano gli stessi dubbi che circondavano Trump due anni fa.

Diversamente dagli eventi del congresso, che si erano svolti prima della certificazione dei risultati elettorali, in Brasile Lula è già presidente da otto giorni, un fatto che ormai non è più contestabile.

Ciononostante Lula si ritrova alla guida di un paese sconvolto, spaccato e dove una parte dell’elettorato non riconosce la sua legittimità. La sua capacità di governare dipenderà anche dall’atteggiamento dei sostenitori di Bolsonaro che occupano posizioni di rilievo, dai governatori regionali ai legislatori. Seguiranno le norme democratiche? O saranno alla mercé delle frange estreme di bolsonaristi, come accaduto ai trumpiani che abbiamo visto all’opera in questi giorni alla camera dei rappresentanti?

Resta la questione democratica, che è anche universale: come riparare un tessuto democratico lacerato dalla retorica populista ma anche disilluso dal mancato rispetto di molti valori? In fin dei conti questa sarà la missione più ardua. Lula dovrà dimostrare di esserne capace, proprio lui che ha attirato sul suo nome parte dell’odio esploso l’8 gennaio. Non sarà affatto facile.

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