Tratto da Internazionale di Pierre Haski

La democrazia brasiliana è sopravvissuta. Tuttavia, come è accaduto negli Stati Uniti dopo l’assalto al congresso del 6 gennaio 2021, in futuro il paese dovrà superare una crisi politica che colpisce le basi del sistema democratico.

La domenica nera della democrazia brasiliana è stata la cronaca di una catastrofe annunciata, perché in Brasile abbiamo ritrovato tutti gli elementi che avevano caratterizzato la crisi degli Stati Uniti. E proprio come accaduto a Washington, anche in Brasile lo stato si è dimostrato più resistente di quanto pensassero gli insorti. E soprattutto l’esercito non ha risposto ai loro appelli.

Le similitudini sono evidenti: l’indebolimento delle regole democratiche, con la pericolosa contestazione dei processi elettorali senza alcuna prova e nonostante le smentite delle istituzioni di controllo indipendenti; un discredito permanente del mondo dell’informazione, che l’8 gennaio ha portato all’aggressione di sei giornalisti; e infine un rifiuto della democrazia stessa, i cui simboli sono stati saccheggiati da un esercito di esaltati.

Tratto da IlManifesto, di Glória Paiva VITTORIA AL FOTOFINISH. 50,9% contro 49,1%. 2 milioni di voti in più rispetto a Jair Bolsonaro consentono al leader del Pt di essere rieletto per la terza volta. Il leader del Partito dei lavoratori (PT), Luis Inácio Lula da Silva, ha vinto le elezioni presidenziali brasiliane nel combattuto ballottaggio di ieri in Brasile, con il 50,9% dei voti – meno dell’1% in più del suo avversario, di estrema destra, Jair Bolsonaro, che ha raggiunto il 49,1%. La distanza tra i due candidati è la più esigua della storia della democrazia brasiliana: 2,1 milioni di voti. Le astensioni sono arrivate a 20,57%, fa sapere il Tribunale Supremo Elettorale (TSE).  La scelta finale degli elettori pone fine così a una campagna elettorale caratterizzata da un grado di violenza, disinformazione e polarizzazione senza precedenti. Dopo 12 anni, Lula tornerà al potere per il suo terzo mandato, un fatto inedito nel Brasile. Questa è anche la prima volta, dall’impeachment di Fernando Collor di Mello, nel 1992, che un capo di Stato non è riuscito a farsi rieleggere per un secondo mandato.