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Nel tentativo di fronteggiare le critiche crescenti per le violazioni dei diritti umani, il governo di Doha gioca la carta del “volto buono”. Ma ancora una volta elude i temi più scottanti.
Tratto da rainews, di Vittorio di Trapani "Ho provato qualcosa di dolce e mi piacerebbe condividerla con te”. E’ questa la frase scritta sull'adesivo di un pacchetto che, passeggiando per Doha, si può ricevere in regalo da un bambino in abiti tradizionali qatarini, accompagnato dalla sua mamma. Anche lei vestita con consueto abito nero. Stessa scena all'uscita dello stadio di una delle partite dei Mondiali. Si tratta di dolci o di datteri. “Scopri la nostra identità”, c’è scritto sull'adesivo. E poi c'è un Qr Code. Scansionandolo, porta al sito web del Ministero delle donazioni e degli Affari islamici del governo del Qatar. In particolare ad una pagina che propone il testo “comprendere l’islam” in 6 lingue diverse. Quindi, evidentemente, non un regalo, una attenzione per i tifosi. Ma un altro pezzo di propaganda da parte del governo qatarino, e in qualche modo anche di proselitismo in favore dell’Islam. Che, è bene ricordarlo, è uno dei doveri in capo a ciascun musulmano. E, come tutte le propagande che si rispettino, passa attraverso i canali che possono maggiormente far abbassare le difese all'interlocutore: quindi, la scelta di far consegnare questo regalo da un bambino, accompagnato dalla mamma. Nessuna presenza maschile. Per mostrare il volto buono, più accogliente di questo Paese.Le recenti “esternazioni” del ministro dell’Istruzione (e del Merito, come ora viene definito), relativamente al rapporto fra giovani percettori del reddito di cittadinanza (RdC) e abbandono scolastico meritano qualche riflessione. Dice il ministro che dei 364.000 percettori del RdC nella fascia compresa fra 18 e 29 anni, 11.000 hanno solo la licenza elementare (o nemmeno quella) e 129 mila appena la licenza di scuola secondaria di primo grado. La conclusione del ministro è chiara: occorre portare questi soggetti (per amore o per forza, ma questo è un nostro inciso) a completare l’obbligo scolastico poiché, sono parole sue: «Questi ragazzi preferiscono percepire il reddito anziché studiare e formarsi per costruire un proprio dignitoso progetto di vita». Inoltre, continua il ministro: «Il reddito collegato all’illegalità tollerata del mancato assolvimento dell’obbligo scolastico […] è inaccettabile moralmente: significherebbe legittimare e addirittura premiare una violazione di legge» (il video con l’intervista è su Youtube e il testo è sul sito del ministero dell’Istruzione).
Si delinea così una relazione diretta fra abbandono scolastico / RdC / illegalità (cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia). Tale relazione, che non neghiamo affatto possa esserci, andrebbe non solo “proclamata” ma dimostrata sulla base di dati, poiché in questi casi la quantità assumerebbe valore di qualità nel definire il fenomeno. Il quale fenomeno, anche se riguardasse poche decine di soggetti sarebbe comunque grave e andrebbe affrontato; ma come…? Facile togliere il RdC (questo è ciò che il governo comincerà a fare), più difficile riportare a scuola quei soggetti che la scuola l’hanno abbandonata anzitempo: che cosa è avvenuto nella loro vita da condurli a questa decisione?
<<Facile togliere il RdC, più difficile riportare a scuola quei soggetti che la scuola l’hanno abbandonata anzitempo: che cosa è avvenuto nella loro vita da condurli a questa decisione?>>
Non credo che il ministro pensi di rimandarli a scuola scortati dai Carabinieri. Questi processi vanno governati dal basso, non dall’alto. Vorrei ricordargli l’importante lavoro dei “maestri di strada” a Napoli e delle molte realtà del terzo settore che nel nostro Paese hanno lavorato e lavorano sul piano educativo per contrastare le condizioni di marginalità e devianza che portano spesso all’abbandono scolastico. Forse il ministro ignora che a queste realtà i fondi sono stati tolti in passato, e con il solo volontariato non possono sopravvivere, perché sono ambiti difficili in cui servono professionalità e continuità. Una proposta semplice: fare una ricognizione su queste realtà, individuare le migliori, promuoverne lo sviluppo, finanziarle adeguatamente, monitorarne i risultati, nel tempo necessario per avere risultati.
Quando alla fine degli anni Cinquanta del secolo passato ci si accorse che uno dei problemi dell’Italia era l’alto numero di adulti analfabeti o semianalfabeti, non si esitò a mettere in campo un progetto straordinario che coinvolgeva il ministero dell’Istruzione e la Rai: circa 2.500 Posti di Ascolto Televisivo sparsi nel Paese con altrettanti maestri-tutor e un programma TV affidato ad un maestro elementare, Alberto Manzi: si chiamava “Non è mai troppo tardi”. Ando in onda dal 1960 al 1968, si calcola che circa un milione e mezzo di italiani presero la licenza elementare grazie a quel progetto; a “Non è mai troppo tardi” nel 1965 fu assegnato il Premio Unesco come miglior programma televisivo per l’educazione. Intendo dire che se l’abbandono scolastico e i rischi conseguenti sono un’emergenza allora ci vuole coraggio, come si ebbe allora, il coraggio di un progetto che vada incontro a quelle persone, non che le punisca poiché la punizione, per chi la commina, non è un atto di coraggio e, per chi la subisce, assai spesso non è nemmeno efficace.