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Tratto da MicroMega di Alessio Salviato

Le proteste servono a convincerci che l’unico modo che abbiamo per risolvere il problema è agire tutti e subito. Perché soffermarsi sul dito mentre gli attivisti ci indicano la luna?

Negli ultimi mesi abbiamo visto decine di attivisti ambientali lanciare vernice fresca contro i quadri esposti nei musei, bloccare le strade romane, impedire la partenza dei jet privati. Alcune settimane fa gli attivisti di “ultima generazione” hanno colpito anche la facciata del Teatro alla Scala. Di fronte a questi atti, la reazione di dissenso e condanna da parte della società civile sembra unanime – basta leggere qualche commento nei social network per cogliere la rabbia collettiva. Qualche forma di sostegno l’hanno ricevuta solo gli attivisti di Linate, complice il recente dibattito sull’inquinamento dei jet privati, rei di consumare in quattro ore l’equivalente di un cittadino medio in un anno.

Tratto da Valigia Blu di Alice Facchini

“Smettete di indorarvi la pillola!”, o meglio “Arrêtez de vous dorer la pilule!”, come si dice in francese. È proprio in Francia infatti che si è riaperto il dibattito su un tema che in Italia ancora fatica a trovare spazio: la contraccezione maschile. La scorsa estate il quotidiano francese Libération ha pubblicato in prima pagina un appello per chiedere al governo di portare avanti la discussione e la ricerca sugli anticoncezionali maschili. L’appello, accompagnato da una petizione online sulla piattaforma Change.org e da una campagna con l’hashtag #ContraceptonsNous, ha raccolto più di 31mila adesioni. Tra i primi firmatari ci sono medici, psichiatri, andrologi, attivisti, giornalisti e scrittori.

Nel paese già da alcuni anni esistono diversi collettivi di uomini che discutono delle opzioni a disposizione e cercano di creare consapevolezza su questo tema, per spingere la comunità scientifica a rendersi conto delle attuali esigenze delle coppie. Fino a oggi, infatti, sono state soprattutto le donne a farsi carico della contraccezione: esiste la pillola anticoncezionale, l’anello, il cerotto, il diaframma, la spirale, la pillola del giorno dopo e diverse altre opzioni. E per gli uomini? Le alternative sono poche e scarsamente impiegate, come vedremo.

In Italia la discussione sulla contraccezione maschile è ancora acerba. Emblematico è il fatto che l’ISTAT abbia pubblicato una rilevazione sulla salute riproduttiva della donna (e non degli uomini), quando nel frattempo è ancora difficile misurare anche solo quanti uomini usino regolarmente il preservativo. Nel capitolo sulla contraccezione femminile, i dati mostrano che il metodo più utilizzato dalle italiane sia proprio il preservativo (41%), seguito dalla pillola (27%) e dal coito interrotto (20%): quest’ultimo è considerato un metodo non sicuro secondo l’indice di Pearl, eppure siamo il Paese europeo che più lo pratica.

Nel 2016 anche la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) ha pubblicato un’indagine che mostra come solo il 30% degli intervistati ritenga che la contraccezione sia una responsabilità di entrambi nella coppia. Per ben il 62%, quasi 2 su 3, è un compito che riguarda solo e unicamente la donna. E in caso di gravidanza indesiderata, per il 41% si tratta di un “colpo basso” del partner.

Tratto da Comune Info

Denunciare l’apartheid israeliana contro la popolazione palestinese è un’attività politica, quindi non si può fare. Lo sostengono l’azienda dei trasporti di Torino e Mondadori a Milano, proprietarie degli impianti che ospitano pubblicità sui pannelli luminosi delle pensiline. La campagna non gradita è nata dal basso a Firenze per denunciare, anche sulla base del dossier di Amnesty International, le leggi e le violente pratiche di oppressione dello Stato ebraico che nega il diritto all’autodeterminazione – e ad esistere come popolo – ai palestinesi. Sulla possibilità di utilizzare il concetto di apartheid, non necessariamente identico a quello adottato fino al 1991 in Sudafrica, si veda anche l’ampia e bella recente intervista a Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu per i diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati.

I pannelli luminosi che riportano la denuncia di Amnesty e la condanna dell'Apartheid israeliano devono spegnersi a Torino e mai accendersi a Milano.

I contratti stipulati sono stati rescissi e il danaro già versato sarà restituito.

L’Azienda Trasporti GTT, proprietaria degli impianti a Torino, non ammette messaggi di connotazione politica e Mondadori a MILANO inibisce il caricamento di messaggi con richiamo ad attività politiche.

Tratto da Il Fatto Quotidiano

La decisione, presa con un atto amministrativo ma che per il Pd ha "le impronte della giunta" di centrodestra, dispiegherà i suoi effetti dal prossimo mese di febbraio. La collaborazione con l'associazione, che ha garantito anche il diritto per alcune province e regioni limitrofe, erano in essere da 42 anni.

Le Marche, regione guidata da Francesco Acquaroli di Fratelli d’Italia, hanno cancellato la convenzione con l’Aied, in piedi da diversi decenni, per praticare l’aborto in una delle regioni con il tasso di obiettori di coscienza più alto d’Italia. La decisione, presa con un atto amministrativo ma che per il Pd ha “le impronte della giunta” di centrodestra, dispiegherà i suoi effetti dal prossimo mese di febbraio. La collaborazione con l’Associazione Italiana per l’Educazione Demografica era iniziata nel 1981 e nel 2020, ultimo anno per cui sono disponibili i dati, ha garantito 232 interruzioni di gravidanza nelle Marche su 1.351 aborti volontari in regione.

Tratto da Volere La Luna di Angelo Tartaglia

Come di tanto in tanto succede, nei giorni scorsi i maggiori mezzi di comunicazione hanno dato grande risalto a una notizia relativa al settore nucleare: in questo caso alla fusione nucleare. È la seconda volta in dodici mesi. La prima volta si informava il mondo del fatto che dal reattore a fusione JET (Joint European Torus), a Culham, in Inghilterra, si era riusciti, il 21 dicembre 2021, ad estrarre, in cinque secondi, un’energia di circa 16 kWh (usando unità da bolletta domestica, piuttosto che quelle più scientificamente corrette ignote al grande pubblico). Era la prima volta che si riusciva a estrarre energia dalla macchina, solo che l’energia spesa per ottenere il risultato era maggiore di quella ricavata… La seconda notizia è quella recentissima che ci informa che nella National Ignition Facility (NIF) del Lawrence Livermore National Laboratory (LLNL) in California, il 5 dicembre scorso, si è riusciti a produrre la fusione nucleare ricavandone circa 0,8 kWh. La novità è che questa volta l’energia prodotta è stata maggiore di quella iniettata dai 192 laser utilizzati per attivare la fusione: è la prima volta che succede. C’è, a dire il vero, anche un altro dettaglio che sembra essere sfuggito ai mezzi di comunicazione che hanno riportato la notizia. Se si va a leggere il comunicato ufficiale dell’LLNL (che immagino i giornalisti dovrebbero leggere e che è reperibile al link https://www.llnl.gov/news/national-ignition-facility-achieves-fusion-ignition) si trova che le attività di ricerca relative alla fusione condotte in quel laboratorio sono anche di interesse militare. Già nelle prime righe del comunicato si trova, oltre alle solite cose sull’energia pulita, l’affermazione che il risultato «lastrica la via al miglioramento della difesa nazionale» (traduzione mia); più oltre si legge che il lavoro futuro del NIF aiuterà a «mantenere un deterrente nucleare senza bisogno di test nucleari» (cioè di esplosioni in atmosfera o sotterranee oggi bandite dai trattati internazionali). Ancora: nello stesso comunicato compare una dichiarazione entusiasta del senatore Charles Schumer, portavoce della maggioranza democratica del Senato, che si dice fiero di aver contribuito a far assegnare quest’anno più di 624 milioni di dollari nel National Defense Authorization Act per il proseguimento della ricerca su questo tipo di fusione.

Tratto da Il Foglio The Lancet in allarme per l’eutanasia in Canada: anche la “bibbia” dell’establishment medico-scientifico denuncia la deriva della “dolce morte”. “Con l’aumento del numero di decessi in base alle disposizioni della legge sull’assistenza medica a morire, la sua imminente espansione includerà le persone con malattie mentali”, racconta la rivista. L’anno scorso, già tre esperti dei diritti umani delle Nazioni Unite hanno riferito che la legge canadese vìola la Dichiarazione universale dei diritti umani. Il Bill C-7 riconoscerà il diritto all’eutanasia non più soltanto ai malati terminali capaci di intendere e di volere, ma anche alle persone affette da demenza. “I futuri canadesi dovranno scusarsi per l’eutanasia ai disabili?”. L’editoriale è stato pubblicato due settimane fa dal Washington Post, un giornale non certo avvezzo alle guerre culturali. Tra il 2016 e il 2021, il personale medico  ha somministrato dosi letali a più di 31 mila persone che di solito, ma non sempre, erano malate terminali. Una inchiesta dell’Associated Press ha tirato fuori un audio in cui il direttore di un ospedale canadese dice a un paziente non terminale che la sua degenza in ospedale “ci costa 1.500 dollari al giorno” e che l’eutanasia sarebbe raccomandata. Dei 10 mila canadesi che hanno ricevuto l’eutanasia lo scorso anno, 1.740 soffrivano di solitudine, come si evince dal rapporto annuale del dipartimento della Salute. La “dolce morte” non era riservata soltanto ai malati terminali? Tim Stainton, direttore del Canadian Institute for Inclusion and Citizenship dell’Università della British Columbia, ha descritto la legge canadese come “probabilmente la più grande minaccia esistenziale per le persone disabili dai tempi del programma nazista nella Germania degli anni 30”. C’è più di un motivo per essere allarmati da questo piano inclinato.
Tratto da Today di Eleonora Mureddu Mai come in questo caso l'espressione "urne deserte" ha poco di eufemistico: in Tunisia, appena l'8,8 per cento degli elettori si è recato al seggio per il rinnovo del Parlamento. Al voto, che si è tenuto sabato, ha partecipato meno di 1 avente diritto su 10. Otto anni fa, l'affluenza era stata del 68%. Nel 2019, l'ultima volta che si sono tenute le legislative, il dato era sceso al 40%. Una traiettoria discendente che è per molti osservatori il simbolo della crisi del Paese considerato fino a poco tempo (almeno dall'Ue e dall'Italia) il più avanzato sul fronte della democrazia nel Maghreb. Un riconoscimento che ha fatto il pari con una pioggia di fondi attivati da Bruxelles e da Roma, in particolare per la gestione dei flussi migratori e per sviluppare il potenziale energetico tunisino. Come i 600 milioni stanziati proprio in questi giorni per la costruzione di un cavo sottomarino che trasporterà energia elettrica tra la sponda nordafricana e la Sicilia.

Le elezioni farsa

L'Europa, dunque, continua ad avere fiducia nella Tunisia, a dispetto della organizzazioni internazionali per i diritti umani e dei partiti di opposizione tunisini. Il fiasco delle elezioni, del resto, era stato già ampiamente preventivato alla vigilia: la maggior parte dellle forze politiche del Paese avevano invitato a disertare le urne dopo l'appovazione di un legge di riforma costituzionale che ha privato il Parlamento di diversi poteri, tra cui quello fondamentale di eleggere il governo. E così, l'attuale capo di Stato, Kais Saied potrà crearsi un esecutivo senza dover passare dall'assemblea. Ecco perché la maggioranza dei partiti di opposizione ha deciso di non partecipare alle elezioni, sostenendo che gli emendamenti costituzionali, approvati da un basso numero di elettori tramite un referendum lo scorso luglio, non erano legittimi. Ahmed Nejib Chebbi, leader del Fronte di salvezza (composto da cinque partiti di opposizione), ha descritto la bassa affluenza alle urne come un "vero terremoto che avrà gravi conseguenze". Anche l'Union Générale Tunisienne du Travail, la principale federazione sindacale del Paese, ha contestato pubblicamente la legittimità delle elezioni.
Tratto da Valigia Blu di Massimo Prearo La battaglia condotta contro il fu “DDL Zan” – che prevedeva “misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità” – ha rappresentato un momento cruciale della mobilitazione che gruppi quali ProVita & Famiglia o l’associazione Family Day, conducono da almeno una decina d’anni contro “la teoria del gender”, “l’ideologia gender”, “il gender”. Queste campagne fanno riferimento a un insieme eterogeneo di organizzazioni, gruppi, associazioni, e network digitali, ormai conosciuti e studiati come movimenti “anti-gender”, attivi anche a livello internazionale e transnazionale, in lotta contro le politiche che vanno nella direzione del riconoscimento dei diritti delle persone LGBTQIA+.
Tratto da La Stampa di Francesca Paci Aveva tre anni l’ultima vittima del Mediterraneo, l’hanno trovata insieme a decine di naufraghi gli uomini della Guardia di Finanza ieri, nelle ore in cui l’Argentina incassava la Coppa del Mondo e i parlamentari italiani riponevano il telefonino per archiviare la finale più sudata e tornare a discutere la legge di bilancio. Sarà una manovra meno ostile a Bruxelles di quanto il governo avrebbe voluto mostrare agli italiani, suggeriscono i primi indicatori. In compenso però, si accelererà sui migranti, quel famoso pacchetto di ulteriori restrizioni per le ong del mare che sarebbe atteso a gennaio ma potrebbe anche saltar fuori prima, quasi fosse una compensazione muscolare per le obbligate retromarce economiche. Con le nuove norme in arrivo, che in gran parte ricalcheranno il modello del codice Minniti, le competenze della domanda di asilo dovrebbero incardinarsi nel Paese di bandiera della nave, quindi, per esempio, i naufraghi soccorsi dalla norvegese Ocean Viking sarebbero obbligati a presentare la loro richiesta a bordo e da lì indirizzarla a Oslo. Un’antica tesi che, al netto di tanto buon wishful thinking, contrasta in pieno con il diritto dell’Unione europea, la cui procedura è scritta nero su bianco nei criteri previsti dal Regolamento Dublino III e dalla Direttiva procedure, dove l’ipotesi di equiparare territorialmente un’imbarcazione al proprio Stato di provenienza semplicemente non c’è. Perché mai riproporre allora ancora una volta una soluzione che si sa essere impraticabile? Il sospetto è che proprio nell’ora più buia della manovra meno identitaria tornino buoni i migranti, la vecchia carta da giocare per dimostrare che il governo italiano non è sempre compiacente con Bruxelles, che almeno sugli sbarchi senza redistribuzioni in Europa non cederà, che seppure non c’è alternativa all’assegnare un porto sicuro alle navi delle ong lo farà solo e soltanto alle sue precise condizioni.