I MIGRANTI PAGANO IL DIETROFRONT SUL POS

Tratto da La Stampa di Francesca Paci

Aveva tre anni l’ultima vittima del Mediterraneo, l’hanno trovata insieme a decine di naufraghi gli uomini della Guardia di Finanza ieri, nelle ore in cui l’Argentina incassava la Coppa del Mondo e i parlamentari italiani riponevano il telefonino per archiviare la finale più sudata e tornare a discutere la legge di bilancio. Sarà una manovra meno ostile a Bruxelles di quanto il governo avrebbe voluto mostrare agli italiani, suggeriscono i primi indicatori. In compenso però, si accelererà sui migranti, quel famoso pacchetto di ulteriori restrizioni per le ong del mare che sarebbe atteso a gennaio ma potrebbe anche saltar fuori prima, quasi fosse una compensazione muscolare per le obbligate retromarce economiche.

Con le nuove norme in arrivo, che in gran parte ricalcheranno il modello del codice Minniti, le competenze della domanda di asilo dovrebbero incardinarsi nel Paese di bandiera della nave, quindi, per esempio, i naufraghi soccorsi dalla norvegese Ocean Viking sarebbero obbligati a presentare la loro richiesta a bordo e da lì indirizzarla a Oslo. Un’antica tesi che, al netto di tanto buon wishful thinking, contrasta in pieno con il diritto dell’Unione europea, la cui procedura è scritta nero su bianco nei criteri previsti dal Regolamento Dublino III e dalla Direttiva procedure, dove l’ipotesi di equiparare territorialmente un’imbarcazione al proprio Stato di provenienza semplicemente non c’è.

Perché mai riproporre allora ancora una volta una soluzione che si sa essere impraticabile? Il sospetto è che proprio nell’ora più buia della manovra meno identitaria tornino buoni i migranti, la vecchia carta da giocare per dimostrare che il governo italiano non è sempre compiacente con Bruxelles, che almeno sugli sbarchi senza redistribuzioni in Europa non cederà, che seppure non c’è alternativa all’assegnare un porto sicuro alle navi delle ong lo farà solo e soltanto alle sue precise condizioni.

Non ci faremo calpestare, insomma. O perlomeno ce la metteremo tutta. Giacché è infatti chiaro ormai che il diritto del mare non è negoziabile e che la geografia impone all’Italia di accogliere chi viene salvato in mare, resta un margine minimo in cui imporre la propria assertività. Resta l’arbitrio di assegnare un remoto porto toscano a una nave che ha chiesto aiuto al largo della Sicilia, nel maldestro tentativo di ritardare l’inevitabile momento dello sbarco che per i migranti in fuga da un nulla fagocitante è un ritorno alla vita e per l’Italia, evidentemente, una resa disonorevole.

Le migrazioni sono un fenomeno complesso da capire e da gestire perché tira in ballo tanto il diritto internazionale quanto i diritti umani. E ancora più complessa è la situazione dei territori liminali, a cominciare da quell’isola Lampedusa sottoposta a fortissima pressione dove ieri sera è atterrato il vicepremier Matteo Salvini. Per questa ragione sventolare come una muleta il drappo identitario della paura nazionale serve a poco altro che a distogliere l’attenzione da altri problemi. Serve a noi. Mentre in mare gli altri muoiono.

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