03 Feb Il battesimo viola i diritti dell’infanzia
Tratto da MicroMega di Alessandro Giacomini
Battezzare significa imporre una fede a un bambino, ma non solo. Pochi sanno che il battesimo è un contratto che impone degli obblighi: ubbidire alla Chiesa, pagare delle tasse in più e molto altro. Il battesimo è, quindi, una violazione dei diritti dell’infanzia.
Il battesimo religioso dovrebbe essere vietato ai minori. Se non a diciotto anni almeno fino ai dodici. Qualcuno sussulterà a questa affermazione, ma sempre più spesso si sente parlare di “bambini cristiani “, o di “bambini musulmani”, in realtà si stanno riferendo a figli di genitori cristiani o musulmani. Gli stessi genitori sono cattolici, islamici, ortodossi, protestanti, induisti per una mera questione di appartenenza geografica.
Se prendiamo ad esempio la religione cattolica, si battezzano i propri figli nella quasi totalità dei casi da neonati, il cosiddetto “pedo battesimo”. Molti lo fanno per tradizione e per soddisfare quei riti ancestrali di passaggio, altri per il condizionamento ambientale che la Chiesa cattolica ha introdotto nella società civile, costringendo in modo subdolo a battezzare per non essere discriminati nel contesto della propria comunità, ignorando il più delle volte che non si tratta di una semplice tradizione ma che comporta delle conseguenze per il battezzato.
Con il battesimo, l’articolo 1269 del catechismo afferma che “il battezzato non appartiene più a sé stesso”, ed è chiamato, “ad essere obbediente ai capi della Chiesa”. Inoltre, stando al Catechismo della Chiesa cattolica (n. 1.213), il battesimo è il mezzo “mediante il quale ci si libera dal peccato e, rigenerati come figli di Dio, si diventa membra di Cristo, ci si incorpora alla Chiesa e resi partecipi della sua missione”. Come un bambino di pochi giorni, ma anche di qualche anno, possa essere reso partecipe della missione della Chiesa resta, ovviamente, un mistero della fede.
Inoltre, Il Catechismo della Chiesa cattolica rammenta, con l’articolo 1.267, che con il battesimo il bambino non solo è “chiamato a essere sottomesso ai capi della Chiesa”, ma anche, non dimenticando il canone 96 del Codice Canonico: “mediante il battesimo l’uomo è incorporato alla Chiesa di Cristo e in essa è costituito persona, con i doveri e i diritti che ai cristiani”. Quindi, le autorità ecclesiastiche sono giuridicamente autorizzate a “richiamare” pubblicamente il battezzato. Nello specifico c’è un aneddoto che ha fatto storia. Nel 1958 il vescovo di Prato definì «pubblici peccatori e concubini» una coppia di battezzati sposatasi civilmente, denominato “il matrimonio del diavolo”. La coppia subì gravi danni economici, intentò una causa al vescovo e la perse: essendo ancora formalmente cattolici, continuavano infatti a essere sottoposti all’autorità ecclesiastica. Ne consegue che anche ad oggi, ogni prelato può tranquillamente permettersi esternazioni denigratorie nei confronti dei battezzati.
Incominciando a vietare il pedo battesimo, l’Italia eviterebbe un’eventuale procedura dell’Unione Europea. La Convenzione sui diritti dell’infanzia, ratificata dall’Italia nel 1991, strumento sui diritti umani più diffusamente ratificato nel mondo e simbolo della storia dei diritti umani dei bambini, prevede che “ogni decisione, azione legislativa, provvedimento giuridico, iniziativa pubblica o privata deve salvaguardare l’interesse superiore del bambino”. Gli articoli 3 – 12 – 13 – 14 sono chiarissimi e non offrono ambiguità. Ad esempio, l’articolo 14 comma 1 sentenzia: “gli stati rispettano il diritto del fanciullo alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione”. È palese che detto articolo è agli antipodi con i sopracitati articoli della Chiesa cattolica all’atto battesimale.
Nel 2014 si offrì alla stampa una fake news di una ipotetica sentenza della Corte Europea, ma che nel breve potrebbe prestarsi alla realtà come una giusta e “sacrosanta” causa, che sentenziava:
“l’Italia, permettendo il battesimo ai neonati viola l’articolo 3 della Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia in combinato disposto con l’articolo 12 13 14, in quanto i neonati non sono ancora in grado di intendere e di volere o emettere un atto personale e cosciente e, nella fattispecie sono obbligati e far parte di un’associazione religiosa per tutta la vita. L’imposizione del rito chiamato sacramento tradisce il carattere di una dottrina che considera le persone come oggetti, il cui destino è deciso a loro insaputa da una organizzazione religiosa. Infatti, il battesimo impone al battezzato un sigillo indelebile, facendolo diventare a tutti gli effetti un iscritto e membro a sua insaputa e volontà e assoggettandolo ai suoi regolamenti e alla sua autorità. Come si evince nel canone 96 del Codice Cattolico di diritto canonico: «mediante il battesimo l’uomo è incorporato alla Chiesa di Cristo e in essa è costituito persona, con i doveri e i diritti che ai cristiani».
Lo stesso Papa Bergoglio nell’udienza generale dell’8 gennaio 2014 ha tenuto a precisare che: “un bambino battezzato non è lo stesso che un bambino non battezzato”. Nell’affermazione di Bergoglio c’è l’idea che in fondo il bambino non sia ancora un essere umano, ma lo diviene tale con il battesimo.
Se vi fossero ancora dubbi, suggerirei di leggere la sentenza della Corte costituzionale n. 239 del 1984 che ha stabilito che “l’adesione a una qualsiasi comunità religiosa debba essere basata sulla volontà della persona”. Ritengo infattibile che un neonato abbia la consapevolezza di ciò.
L’uomo è libero solo quando può esprimere il proprio pensiero, quando perdiamo il diritto, anche di essere differenti, perdiamo il privilegio di essere liberi. Nel caso in questione abbiamo uno strumento che può rendere liberi chi ha subito questa costrizione, lo sbattezzo. Con lo sbattezzo si possono cancellare le conseguenze giuridiche, che sono l’appartenenza alla Chiesa cattolica, il procedimento burocratico è semplice e gratuito. Per prima cosa bisogna scrivere una lettera raccomandata con allegato un documento d’identità. Nel modulo si chiede di non far più parte della Chiesa Cattolica, questa lettera può essere consegnata a mano al parroco con la sua firma di avvenuta ricezione e una copia da tenere come ricevuta, o inviarla alla parrocchia con ricevuta di ritorno.
Nel web è possibile trovare online il modulo di richiesta da compilare. Il parroco invia la richiesta alla Cancelleria della Curia Vescovile e dopo un periodo massimo di circa 30 giorni si riceve la lettera firmata in cui si certifica l’avvenuto sbattezzo. È importante sapere che il parroco non può in alcun modo rifiutare lo sbattezzo. In caso contrario si può ricorrere al Garante della privacy, all’autorità giudiziaria, oppure l’associazione UAAR che supporta anche legalmente in forma riservata e gratuita.
Con questo atto le conseguenze principali, immediate e automatiche saranno la ovvia scomunica. Oltre a queste conseguenze, ma qualcuno potrà obiettare che sono meri benefici, se ne aggiungono altri. Di fatto per la legge Italiana non si è più sudditi delle gerarchie ecclesiastiche. Non essere più cattolici comporta l’esclusione dai sacramenti, l’esclusione dall’incarico di padrino per battesimo e cresima, la privazione delle esequie. Significa quindi non dover sottostare alle richieste del proprio futuro coniuge di voler soddisfare la parentela con un rito in Chiesa, non vedersi rifilare un’estrema unzione, magari mentre si è immobilizzati, e avere la relativa sicurezza che i propri eredi non effettueranno una cerimonia funebre in contrasto con i propri orientamenti.
C’è pure un vantaggio economico: se si è battezzati e vi capita di dover lavorare all’estero, anche per un breve lasso di tempo, si finisce per essere tassati per la propria appartenenza alla Chiesa cattolica. È noto il caso dell’attaccante Luca Toni cattolico e battezzato, trasferitosi in Germania a Monaco di Baviera, giocò per alcuni anni nella squadra di riferimento locale, dichiarò al fisco di essere ateo, ma dovette restituire all’erario tedesco oltre 1.7 milioni di euro, quando la Vordrucke (agenzia delle entrate) rivelò il suo stato di appartenenza alla Chiesa cattolica. Si chiama Kirchensteuer, una specie di decima, equivale al 9% delle imposte e viene detratta dallo stipendio ogni mese e devoluta per la sua totalità alla chiesa di appartenenza.
Questi sono solo alcuni esempi delle numerose e varie motivazioni, ma forse vale la pena riprendere la premessa iniziale: nessuno nasce cattolico, si nasce figli di genitori cattolici. E allora lasciamo che i bambini crescano liberi, liberi di decidere un giorno la propria appartenenza sia essa religiosa o di nessun Dio.
Vietando per legge il pedo battesimo, al contrapposto un battesimo, diciamo laico, potrebbe essere caldeggiato. Il battesimo laico è più una presentazione del bambino alla società, che una imposizione ad un Dio, poter organizzare una festa di benvenuto al mondo, per il proprio figlio, è un’aspirazione legittima e non è certo necessario che tale rito sia un battesimo in Chiesa, anzi, al contrario del battesimo religioso, al nuovo entrato si ricordano i suoi diritti alla famiglia.
Come già avviene in alcune regioni del nord Europa, il sindaco stesso, con una cerimonia civile, consegna alla famiglia un vademecum dei diritti del neonato, ad esempio, la carta Europea dei diritti per l’infanzia. Essa è la pietra miliare dei diritti spettanti ai bambini, dall’infanzia all’adolescenza, diritti troppo spesso negati, come quello di far parte di una determinata Chiesa senza il proprio consenso.
In questa cerimonia viene valorizzata la gioia della famiglia per il nuovo nato, a cui si dà il benvenuto e si fa l’augurio di una vita serena e ricca. È possibile coinvolgere le persone significative come i nonni, madrina e/o padrino, fratelli, cugini, amici. Il rito in genere si svolge con una presentazione iniziale, una parte centrale dedicata a culture, musica, interventi degli invitati e una parte conclusiva, con ringraziamenti e saluti. Perché una nuova nascita ha sempre bisogno di essere celebrata, serve ad accogliere il bambino nella sua famiglia, presentarlo con il suo nome all’interno di un’atmosfera gioiosa, che celebri tutto il valore della nuova vita giunta fra noi.
Chi scrive, in qualità di capogruppo comunale proporrà al consiglio comunale, una mozione con la quale ad ogni nascita sia consegnato il vademecum dei diritti del neonato, auspicando che tale iniziativa sia rappresentata in ogni comune italiano come un punto di riferimento civico e civile, e permettendo alla stessa famiglia di festeggiare l’evento.
Sarà così un altro modo, altrettanto significante, per dare valore alla gioia e all’amore che non hanno “etichette”.
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