Un libro sulla laicità di Norberto Bobbio. Intervista a Cesare Pianciola

Hai pubblicato La persona laica. Norberto Bobbio nel Novecento filosofico,
appena uscito in una collana di Studi bobbiani promossa dal Centro studi
Piero Gobetti per l’editore Biblion di Milano (pp. 275, € 24). Spiegaci intanto
il titolo.

Ripensando al seminario Etica e politica del centro Gobetti, iniziato nel 1980, che con la
guida di Bobbio per venti anni fu per molti di noi una scuola di pensiero, ho cercato di
ricostruire intorno al tema della laicità la filosofia più generale di Bobbio, la sua visione
dell’uomo e della storia, tenendo sullo sfondo i contributi specifici di filosofia del diritto e
della politica.
Il titolo si deve a Pietro Polito e allude sia al modo d’essere di Bobbio sia alla sua filosofia
della persona.
Nella prima parte del mio lavoro ho dedicato ampio spazio agli agli scritti giovanili,
fenomenologici e di critica dell’esistenzialismo. Negli anni ‘30 e ‘40 il personalismo di
Bobbio è alla ricerca di un modello di convivenza e di stato fondato sul rispetto della
persona, dell’individuo come valore. Il programma delineato in La filosofia del
decadentismo (1944) era questo: «Tenendo fermo il punto che persona significa individuo
innalzato a valore, la via da seguire è quella di trovare il valore dell’individuo nella
storicità della sua esistenza, che è esistenza con gli altri, di giungere pertanto ad una
fondazione non più metafisico-teologica, ma storico-sociale della persona».
Ho cercato di ricostruire le sue affinità e divergenze con i filosofi italiani con i quali fu in
rapporto (Abbagnano, Paci, Pareyson, Della Volpe, Luporini…) e di rintracciare quanto
rimane del personalismo giovanile nell’opera matura, nella sua concezione dei diritti
fondamentali e della democrazia.

Ma cosa intende propriamente Bobbio per “laicità”?
L’esprit laïque delinea un campo più ampio delle tradizionali questioni del rapporto tra
Stato e istituzioni religiose, e in Italia principalmente tra Stato e chiesa cattolica. L’esprit
laïque è prima di tutto un atteggiamento mentale e uno stile di pensiero. Una sola
brevissima citazione da Politica laica del 2 febbraio 1946, sul quotidiano “Giustizia e
Libertà”: «Il nostro laicismo […] deve essere nutrito di spirito critico, di chiaroveggenza
realistica, di positivismo costruttivo», non limitarsi a contrastare il clericalismo.

Ha fatto discutere la sua non adesione nel 1999 al Manifesto laico, firmato da Giorgio
Bocca, Critica liberale, Alessandro Galante Garrone, Vito Laterza, Paolo Sylos
Labini, che raccolse in breve tempo migliaia di altre firme.
Nella sua lunga lettera a Enzo Marzo, Bobbio diceva di condividerne la presa di
posizione in difesa della scuola pubblica, ma non il tono, «più laicista che laico». Bobbio
distingueva nettamente tra laicità come metodo e come insieme di dottrine areligiose o
antireligiose e per lui la laicità era soprattutto la regola di convivenza tra le varie culture.
Sosteneva una laicità procedurale come tolleranza positiva, come positività del pluralismo
conflittuale nelle democrazie.
Bobbio ha sempre sottolineato il contrasto insanabile tra una concezione religiosa e una
concezione laica – orizzontale, senza trascendenza – dell’uomo e della storia, che era
anche la sua, ma riteneva che per la convivenza democratica fosse necessaria un’altra
accezione (non sostantiva) della laicità, su cui potessero convenire credenti e non credenti.
La laicità procedurale di Bobbio però non è “debole”, nel senso di cedevole e
compromissoria, perché ha presupposti liberali molto impegnativi, in quanto implica
l’accettazione del weberiano “disincanto” della modernità, con l’abbandono di verità
assolute metafisiche e religiose, che possono essere credute e professate, ma devono
essere messe tra parentesi nella dimensione pubblica, dove valgono solo argomenti fondati
su ragione ed esperienza.

Bobbio si è dichiarato sempre uomo di ragione e non di fede. A quale nozione di
ragione fa riferimento?
Questo ci rimanda alla terza parte del libro in cui metto in evidenza alcuni aspetti del suo
neoempirismo e del suo neoilluminismo, ispirati alla linea – troppo trascurata – che va da
Cattaneo a Gobetti e Salvemini contro le metafisiche e le filosofie della storia. Non tutto si
può dimostrare in modo logicamente incontrovertibile. Secondo Bobbio la ragione
scientifica e dimostrativa non può fondare i valori e i principi ultimi dell’agire, ma «c’è
posto per le verità da sottoporsi a continua revisione mercé la tecnica di addurre ragioni
pro e contro… Quando gli uomini cessano di credere alle buone ragioni, comincia la
violenza.», come scrisse presentando nel 1966 il Trattato dell’argomentazione di Perelman
e Olbrechts-Tyteca.

In conclusione, cosa ci dice oggi Bobbio?

Ritengo la lezione di Bobbio preziosa per le distinzioni analitiche che propone e per lo
spirito neoilluministico che anima il suo pensiero anche prima e dopo la stagione
propriamente neoilluministica degli anni ‘50 e ‘60.
Per apprezzare e proseguire la sua lezione, non è necessario condividere alcune sue prese
di posizione particolari – sul permissivismo eccessivo delle nostre società, sul rifiuto etico
dell’aborto, sul Concordato come compromesso pratico migliorabile ma irreversibile. Direi
di applicare anche a Bobbio la sua lezione, distinguendo tra il metodo e i contenuti, alcuni
validi e attuali, altri meno convincenti.

Cesare Pianciola (Torino, 1939) è nel Consiglio direttivo del Centro studi Piero
Gobetti e nel Comitato editoriale dell’“Indice dei libri del mese”. È stato presidente
del Comitato Torinese per la Laicità della Scuola e condirettore, con Carlo Ottino, del
trimestrale “Laicità”. Ha curato con Franco Sbarberi la raccolta di inediti di Norberto Bobbio Scritti
su Marx. Dialettica, stato, società civile (Donzelli, 2014).

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