Gli imam americani

Tratto da La Repubblica, di Michele Serra

Tra la miriade di categorie che si sentono offese per ragioni di genere o di etnia o per una qualche cicatrice storica da dissotterrare, si sente la mancanza degli atei e degli agnostici americani (ce ne sarà pure qualcuno,a parte Woody Allen).
A proposito di violazione dei diritti della persona, quale più macroscopica, e quale più attuale della decisione di diversi Stati repubblicani, ultimo il Texas, di appendere nelle scuole il cartello “Noi crediamo in Dio”?
E chi non ci crede che fa, tace e se ne vergogna, si sente indegno della comunità, cerca rifugio in Europa, accetta l’esclusione a capo chino, come una sua grave colpa?

La scusa formale è che “In God we trust” è il motto nazionale, così che l’arrembante fondamentalismo neocristiano che sta mettendo ginocchioni la cosiddetta “prima democrazia al mondo” può cavalcare l’equivoco nazionalista per giustificare una così ottusa violazione al diritto dei non credenti di sentirsi, con pari dignità, cittadini americani.
Ma è, appunto, una scusa, vale quanto il Salvini che comizia con il rosario in mano, è politica allo stato puro, sottomissione ideologica nella forma, odiosa, del conformismo religioso che si impone come Verità comunitaria e addirittura come Verità statuale.
Ce la prendiamo tanto, e giustamente, con il patriarca Cirillo e con le teocrazie islamiche, ma che ne dite di sette Stati della “prima democrazia del mondo” che pongono la fede cristiana come condizione identitaria della società?
E dunque, a quando un #MeToo di chi si sente violato, nel profondo dal fanatismo neocristiano che considera l’esistenza di Dio (il suo. ovviamente) un obbligo pubblico?

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