FRANCA VIOLA: UN FILM RIPARATORE

Tratto da Avvenire di Eugenio Fatigante

Una di quelle piccole storie di grande coraggio che però hanno inciso nel profondo del vissuto delle donne in Italia. E’ la storia di Franca Viola che ad Alcamo, nella Sicilia ancora arcaica del 1966, fu la prima a rifiutare il “matrimonio riparatore” (previsto dalle leggi dell’epoca dopo quella che sull’isola viene chiamata “fuitina” fra due giovani), portando la vicenda in un’aula di tribunale e contestando al suo rapitore e stupratore di essere stata consenziente. Una eroina, Franca (tuttora vivente), che ha fatto tanto per tutte le donne e che è meno conosciuta di quanto meriterebbe. Protagonista di una vicenda conclusa di fatto solo nel 1981 quando il “matrimonio riparatore”, che prima estingueva addirittura il reato di stupro, venne definitivamente cancellato dal codice penale. Pare un’eternità fa, sul piano culturale e del costume, eppure in fondo sono passati “appena” 40 anni.

Questa vicenda, reale ma romanzata sullo schermo, arriva ora nei cinema giusto dall’8 marzo con “Primadonna”, sorprendente opera prima (come lungometraggio) di Marta Savina, che al tema è con tutta evidenza affezionata anche per le sue origini (messinesi), avendone già fatto oggetto nel 2017 del corto pluripremiato “Viola, Franca”. Girato in siciliano stretto (con tanto di sottotitoli) il film, già presentato al London Film Festival e alla Festa di Roma nella sezione “Alice nella Città” (dove ha vinto il concorso Panorama Italia), racconta di Lia Crimi (interpretata da una Claudia Gusmano da applausi), una ragazza di 21 anni semplice e volitiva, animata dal sogno di essere scelta ogni anno come Madonna nella rappresentazione natalizia e con la passione – già essa rivoluzionaria per la mentalità dell’epoca – di lavorare nei campi col padre (Fabrizio Ferracane). Ha una simpatia per Lorenzo Musicò (Dario Aita), figlio – rientrato dalla Germania – del boss locale. Subito capisce però che Lorenzo non apprezza il suo spirito indipendente, anche nei dettagli, come il fermaglio comprato coi suoi soldi. Quando egli la rapisce e la violenta, seguendo il rituale locale, lei non ci sta e lo denuncia ai carabinieri. Da qui iniziano per Lia e la sua famiglia l’inferno del tribunale, dove sfiderà leggi e mentalità, e la persecuzione da parte di mafiosi e paesani (inclusa la figura del parroco purtroppo, interpretato da Paolo Pierobon), con l’unico supporto dell’ex sindaco (che la difenderà da avvocato, lo interpreta Francesco Colella) e della sua amica, una prostituta dai gusti raffinati (Thony, anche cantautrice).

Produzione italo-francese di Capri Entertainment e Medset Film, in associazione con Tenderstories, il film si avventura nell’Italia bigotta dell’epoca, già descritta a suo tempo da Pasolini, per descrivere con garbo e con gusto volontà ed esitazioni di una giovane – e della sua famiglia – messe dai fatti, e contro la loro volontà, davanti a una vicenda troppo grande. Descrive la contrapposizione fra la mentalità “machista” e patriarcale di quella società e l’amore sconfinato di un padre (Fabrizio Ferracane, mentre la madre è Manuela Ventura) che tutto capisce e tutto accetta di quella figlia, anch’egli una figura rivoluzionaria in quel contesto. Un film volutamente solo in apparenza di “basso profilo”, a partire dal cast scelto (nessuna “star”, tutti nomi noti per lo più agli addetti ai lavori, ma tutti straordinari, con in testa una Gusmano da premiare), ma che ha la capacità di elevarsi, a parte qualche sbavatura, per i temi trattati e l’intensità del racconto. Col culmine nella scena in cui la famiglia riunita si ribella alle chiacchiere del paese, che li vorrebbe reclusi ed esiliati, per concedersi una straordinaria gita, notturna, in riva al mare.

La regista Savina, già autrice di sport tv (fra i quali peraltro uno noto, di una marca di gelati, ambientato guarda caso al mare), durante la presentazione a Roma ha spiegato che «è soprattutto una storia di autodeterminazione femminile. Rispetto alla storia originale – ha aggiunto – è stata fatta un’operazione di lungo rimpasto, tanto da far perdere i confini iniziali. Sono partita dall’idea che gli esseri umani sbaglino, al di là del fatto di essere uomo e donna. Non c’è in questo film il vero cattivo. Lo stesso Lorenzo – continua la regista – non è un vero antagonista. Il fatto che si ritrovi a fare cose atroci non dipende neppure da lui. Per lui è normale, solo quando si ritrova in tribunale capisce, forse, di aver sbagliato». Ha spiegato invece l’interprete Claudia Gusmano (“La mafia uccide solo d’estate”, “Guida astrologica per cuori infranti”), anche lei in conferenza stampa: «Il mio è un personaggio contemporaneo nel quale mi sono completamente immedesimata. Non sono così andata indietro nel tempo, ho raccontato invece Lia come una donna moderna, una donna coraggiosa, una ragazza incosciente che ha subito un’ingiustizia enorme. “Primadonna” è un film, forse, più per gli uomini che per le donne, perché noi donne conosciamo già tutto quello che la protagonista prova. Lei e il suo stupratore sono poi entrambi vittime, in modo diverso, della società in cui vivono, perché se non sei abbastanza uomo, come nel caso di Lorenzo, vieni comunque giudicato».

 

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