Assolto ma non innocente

Tratto da la Repubblica di Massimo Recalcati

La recente sentenza sul caso Berlusconi è l’ennesimo segnale di un grande problema che attraversa il nostro tempo, ovvero quello della confusione tra la dimensione sostanziale della Legge e quella formale delle regole. L’assoluzione di Berlusconi è stata resa possibile da un vizio formale che si è rivelato, secondo i giudici, sostanziale. In realtà, anziché porre fine ad una persecuzione, come sostengono i fedelissimi di Berlusconi, questa sentenza occulta di fatto la sproporzione profonda che intercorre tra il senso della Legge e l’applicazione delle regole.

Si tratta, ripeto, di una tendenza generale del nostro tempo che travalica decisamente il caso Berlusconi. Non è una valutazione giuridica, ma etica: il nostro tempo ha perso il significato più profondo del senso della Legge cercando di rimediarvi accentuando il valore e la moltiplicazione delle regole. L’appello alla necessità del rispetto delle regole rimbalza, infatti, dalla politica alla pedagogia, dalla filosofia morale alla vita sociale come un vero e proprio mantra dei nostri giorni, come una sorta di invocazione collettiva. In realtà, l’oblio più drammatico non riguarda tanto il rispetto delle regole, ma il senso della Legge. Se le regole non vengono rispettate è perché il senso della Legge non viene trasmesso con efficacia da una generazione all’altra. Da questo punto di vista il berlusconismo ha indubbiamente inaugurato un’epoca. Non solo piegando il senso della Legge ad interessi personali – vedi le cosiddette leggi ad personam -, ma facendo, ben più gravemente, dei propri interessi personali l’unica forma possibile della Legge.

La dimensione perversa di questa distorsione trascende di gran lunga i “vizi” che hanno caratterizzato la vita privata dell’ex-presidente del Consiglio. In psicoanalisi la categoria di perversione non definisce infatti i comportamenti sessuali più o meno aberranti – la sessualità umana è per Freud, in quanto tale, sempre perversa-polimorfa -, ma il rapporto del soggetto con la Legge. Nella perversione questo rapporto si distorce al punto da negare l’esistenza della Legge per affermare i propri interessi personali – la propria volontà di godimento – come unica forma possibile della Legge. Il vero perverso non è colui che vive la sessualità con acceso e acrobatico slancio, ma colui che non crede alla Legge degli uomini ritenendo che ogni ingerenza di questa Legge nella propria vita personale sia un abuso di potere. Per questa ragione la negazione della Legge si sposa, nella vera perversione, con la negazione o la mistificazione sistematica della verità. Contrabbandare come una piena assoluzione una sentenza che s’impernia su di un vizio di procedura, è un esempio di piena contraffazione della verità. Il non rispetto delle regole, come hanno ritenuto i giudici, non può rimuovere il senso della Legge e la verità che esso comporta. Pagare dei testimoni per dire il falso può anche essere un comportamento assolto per un vizio di procedura – i testimoni sarebbero stati degli indagati e dunque avrebbero avuto diritto ad una difesa che non è stata loro concessa -, ma resta un chiaro comportamento “fuorilegge”. Il fatto che questa evidenza venga occultata è un segnale che riguarda la degradazione perversa del senso della Legge che caratterizza non tanto il caso Berlusconi, ma una tendenza di fondo del nostro tempo. Quale è, infatti, la differenza tra le regole e la Legge? Le prime sono impedimenti esterni di tipo formale che siamo tenuti a rispettare nel nome di una convivenza civile. La seconda, come direbbe la Torah, è scritta nella carne del cuore. Essa riguarda il senso dell’impossibile: non si può avere tutto, essere tutto, godere di tutto, sapere tutto.

La finalità più profonda della Legge dovrebbe essere quella di custodire il senso dell’impossibile come fondamento della possibilità della vita collettiva e individuale. Diversamente nel nostro tempo la moltiplicazione delle regole si fonda sull’evaporazione del senso della Legge come custode del senso dell’impossibile.

Non è Berlusconi il problema, ma una tendenza assai più generale che corrompe il nostro tempo. Tutto, infatti, sembra divenuto possibile. Lo abbiamo visto anche, a contrario, nella pandemia: l’insofferenza nei confronti delle regole imposte dall’emergenza sanitaria ha fatto emergere un rifiuto più profondo del senso della Legge. Il berlusconismo esprime in questo senso ampio la cifra psicopatologica di un’epoca: le regole valgono più della Legge. Sia quando si utilizzano per screditare la Legge – come è avvenuto nella recente sentenza che assolve Berlusconi con formula piena -, sia quando si calpestano o si ripudiano nel nome di una libertà che vorrebbe essere senza Legge. La vera vocazione perversa del nostro tempo – quella che ha trovato storicamente nel marchese de Sade il suo antecedente più puro – non consiste tanto nella semplice trasgressione della Legge, ma nel sostituire alla Legge dell’impossibile quella che rende tutto possibile. È il carattere fondamentalmente incestuoso del desiderio perverso: considerare la Legge degli uomini una impostura, una maledizione, un ingombro inutile, rigettare ogni limite al proprio godimento per fare del proprio godimento la sola forma possibile della Legge.

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