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Un governo pro-cacciatori si è perso per strada la legge sugli animali prevista dal nuovo articolo 9 della Costituzione

Tratto da Valigia Blu

Strano paese, l’Italia, in cui cambiare la Costituzione è più facile che applicarla. Se mai ci fosse bisogno di un esempio di scuola si potrebbe citare la recente modifica dell’articolo 9. Era l’8 febbraio 2022 quando la Camera dei deputati, al quarto passaggio in Aula (così come previsto dall’art.138 della Costituzione che disciplina l’iter delle leggi costituzionali), aveva modificato per la prima volta nella storia della Repubblica uno dei cosiddetti principi fondamentali, cioè gli articoli che vanno dall’1 al 12 e che definiscono in maniera generale la cornice della Carta. “Una giornata epocale”, l’aveva definita l’ex ministro alla Transizione Ecologica Roberto Cingolani presente in aula a Montecitorio al momento del voto.

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L’approvazione della modifica in Costituzione a tutela dell’ambiente e degli animali

Nei suoi 74 anni di applicazione l’articolo 9 era diventato noto come “l’articolo dell’ambiente”: pur senza un preciso riferimento nel testo, le successive interpretazioni della Corte Costituzionale sulla “tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione”, così come era stato definito nel 1948, erano diventato l’appiglio per preservare un interesse diffuso e una sensibilità crescente. Con la legge n° 1 dell11 febbraio 2022 si attribuisce invece alla Repubblica in modo più netto il compito di “tutelare l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. E si prevede una legge dello Stato per disciplinare “i modi e le forme di tutela degli animali”.

Finora, però, non si hanno notizie di quella legge. E dire che in questo periodo trascorso di animali si è parlato parecchio. Lo si è fatto, per rimanere agli ultimi esempi occorsi in quest’estate che non vuol finire, in occasione dell’uccisione a fucilate dell’orsa Amarena, avvenuta in Abruzzo (a pochi mesi di distanza dalla morte del figlio Juan Carrito) e della soppressione di nove maiali del rifugio Cuori Liberi, in provincia di Pavia, a seguito del contagio di peste suina africana. Viene lecito chiedersi: sarebbe cambiato qualcosa se il Parlamento, così rapido ad approvare la riforma costituzionale, avesse dato seguito ai propri propositi? E c’entra qualcosa il fatto che nel frattempo è cambiata la maggioranza parlamentare e di governo, con un netto spostamento a destra?

Le speranze spente dal compromesso

Di diritti degli animali e di riforme costituzionali si era parlato anche nel giugno 2022 in un affollato convegno a Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato. A presiedere la seduta, ricca di giuriste e giuristi, era stato l’allora presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini, in passato ministro degli Esteri nei governi Berlusconi II (2002-2004) e Berlusconi IV (2008-2011), nonché storico difensore degli animali, tanto da meritarsi dopo la sua morte un commosso ricordo da parte di ENPA, l’ente nazionale per la protezione degli animali. All’incontro del 10 giugno 2022 Frattini aveva osservato che:

È stata la prima volta in assoluto in cui si è modificata la formulazione di uno dei primi 12 articoli della Costituzione, finora ritenuti intoccabili. Questo dà in sé l’importanza di questa riforma. Con la modifica dell’articolo 9 si sancisce che l’ambiente, l’ecosistema, il mondo in cui viviamo non è nostro, di coloro che oggi lo abitano, ma delle future generazioni. E se ci pensate, in fondo, cos’è il patrimonio, nell’accezione latina del termine, se non il lascito dei padri, quello che abbiamo ricevuto? Possiamo mai ricevere un mondo dove decine di migliaia di specie animali non esistono più, semplicemente perché chi doveva fare il lascito ha distrutto una parte consistente della sua eredità? Se andiamo alle radici, dunque, capiamo che non ci si poteva limitare alla visione, pure fondamentale, dei padri costituenti sull’importanza del paesaggio, che poi è stata ampiamente interpretata dalla Corte costituzionale. Ma il quarto capoverso dell’articolo 9 introduce una convivenza positiva e non negativa tra specie diverse di esseri viventi.

Parole alte, quelle di Frattini, che però devono fare i conti con una prassi che alle buone intenzioni non dà seguito con le buone pratiche. Più in generale le giuriste e i giuristi fanno notare come non sia la prima volta che da una riserva di legge prevista nella Costituzione non sia poi arrivata una legge ordinaria, anche a distanza di decenni: i casi più noti in questo senso sono quelli relativi all’organizzazione dei partiti (art.49) e dei sindacati (art.39).

È pur vero che è innegabile il passo in avanti della copertura costituzionale. Anche se l’auspicio, appunto, a poca distanza dalla giornata mondiale degli animali,  è che si passi dalle parole ai fatti. Ma si poteva fare di più nella formulazione in sé della modifica dell’art.9? È quello che abbiamo chiesto a Manuela Giacomini, avvocata specializzata in diritti degli animali.

“Quel che è certo è che dal 2022 gli animali hanno un riferimento costituzionale non solo grazie all’introduzione del termine specifico – dice Giacomini a Valigia Blu – ma sono compresi ben quattro volte, perché sono inclusi anche nelle parole ambiente, biodiversità ed ecosistemi. Allo Stato viene poi demandata la disciplina per quanto riguarda le forme di tutela degli animali. Non c’era però una previsione specifica sull’eventuale legge da emanare”. Se era lecito, dunque, non attendersi grandi migliorie – soprattutto se si considera il fatto che durante il confronto parlamentare la Lega si era opposta al provvedimento presentando ben 246mila emendamenti – è altrettanto innegabile che la scelta di una formulazione ampia, voluta per non scontentare nessun partito, si è rivelata il più classico compromesso che, in fondo, non fa felice nessuno.

“Il contenuto poi non appare molto soddisfacente anche nella formulazione in sé del comma – aggiunge Giacomini – nel senso che per esempio non si fa riferimento alla senzienza degli animali, così come previsto dall’articolo 13 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. La modifica in sé è più formale che sostanziale: è da accogliere con favore perché comunque prevede una tutela che prima non c’era ma si tratta comunque di una riforma un po’ vuota”. Ci si sarebbe aspettati forse un po’ di coraggio in più? “Nel nostro codice civile gli animali sono ancora considerati alla stregua delle cose mentre nel codice penale vengono sì tutelati ma di riflesso rispetto al sentimento dell’uomo nei loro confronti. Ci sono impianti normativi come quelli della Germania a cui si sarebbe potuto guardare”.

Un’Italia divisa

“La Costituzione tutela tanti aspetti ma non li garantisce tutti”. È l’immediata risposta che Carla Rocchi, presidente nazionale di ENPA (la più antica e la più grande associazione animalista italiana), fornisce quando le chiediamo un commento sulla modifica dell’articolo 9 e la sua mancata applicazione. “Nella Carta si stabilisce ad esempio la tutela del diritto all’istruzione: le sembra che questo diritto venga garantito nel nostro paese? Meglio averlo che non averlo, certamente, ma non è che ci cambia la vita. Come ENPA usiamo quel riferimento normativo nei processi, quando magari si spera di trovare qualche giudice sensibile, ma per gli animali vale lo stesso per quel che accade su tanti principi affermati ma mai realizzati”.

Antropologa, ex parlamentare coi Verdi e sottosegretaria di Stato nei governi Amato e D’Alema, Carla Rocchi ha partecipato in prima persona alla mobilitazione collettiva che dagli anni ‘80 è partita da una capillare opera di sensibilizzazione sugli animali per poi ottenere una legislazione all’avanguardia. Che però adesso comincia a sentire il peso degli anni, il mancato raccordo con le normative europee e, soprattutto, gli attacchi da parte di lobby e gruppi di interesse (su cui torneremo a breve):

Noi al momento abbiamo leggi eccellenti sugli animali, e faccio solo due esempi. Il primo è la legge n°281 del 1991, che tutela gli animali domestici: con questa legge noi siamo diventati l’unico Paese al mondo che proibisce l’uccisione degli animali domestici se non per motivi di malattia grave o incurabile. Mentre nella civile Gran Bretagna, considerata la patria dell’animalismo, gli animali domestici vengono soppressi, così come accade ovunque. L’altra legge fondamentale è la n°257 del 1992, che si concentra sulla fauna selvatica, che ne imporrebbe il rispetto. Ma in questo caso ogni anno le regioni, in omaggio all’asservimento che hanno nei confronti dei cacciatori, tentano di modificarne alcuni aspetti. Le leggi ci sono e vanno applicate, non servono nuovi provvedimenti. Certo, fa meno effetto per una classe politica che è interessata unicamente a intestarsi questo o quel provvedimento per mostrare di stare facendo qualcosa, ma la realtà dei fatti è questa. Poi figurarsi, nella logica della comunicazione vale anche solo l’annuncio di qualcosa che poi non si farà mai. Penso per esempio al ministro Salvini che aveva detto di voler introdurre l’abolizione della patente per chi abbandona gli animali. Giusta o sbagliata che fosse, di quella norma non si è mai più sentito parlare. In Italia le cose basta dirle, come avviene per queste modifiche della Costituzione.

Dall’alto della sua decennale esperienza è la stessa Rocchi a dipingere un’Italia spaccata in due anche sulla tutela degli animali e sull’applicazione delle leggi degli anni Novanta:

In Italia fino a Roma esistono sia i canili che le colonie feline, e il volontariato è sostenuto da Comuni e Regioni, così come prevede la legge quadro che, saggiamente, aveva stabilito che fosse lo Stato a guidare la necessaria rete contro il randagismo. Nel Centro-Sud, invece, i branchi di cani per la strada sono la norma e ci si affida unicamente al volontariato. Come ENPA soltanto l’anno scorso abbiamo destinato alle misure necessarie al contenimento del randagismo ben 800mila euro, impegnando una buona parte del nostro 5xmille. Con un terzo di questa spesa che è stata destinata unicamente alla Sicilia. E dire che la legge parla chiaro: dei cani randagi devono occuparsi i Comuni e della loro sterilizzazione le aziende sanitarie locali. Se le Asl si oppongono i sindaci possono emanare un’ordinanza, per garantire il diritto alla salute di cui sono portatori. Di contro, la ferocia dei cacciatori è più accesa nel Nord. Diciamo che la tutela degli animali, in questo senso, è inversamente proporzionale. 

La destra alla caccia degli animali

Fughe in avanti e disparità di trattamento: il quadro di tutela degli animali cambia notevolmente da Regione a Regione. Lo dimostra ad esempio il caso degli orsi: più problematico in Trentino e più convivente in Abruzzo, anche se val la pena ribadire che è improprio accostare due storie dove i punti di contatto sono comunque minori rispetto alle differenze.

Eppure è proprio dalla vicenda trentina che si può ripartire per comprendere come anche le vite degli animali siano soggette alle fluttuazioni politiche, senza che si riesca a stabilire una cornice normativa che sia organica. È il 5 aprile quando nei boschi di Caldes, nella valle di Sole, l’orsa JJ4 uccide Andrea Papi, un giovane 26enne che andava a correre in quei luoghi. Non è la prima aggressione degli orsi in Trentino Alto Adige. Nel frattempo il presidente della provincia autonoma di Trento, il leghista Maurizio Fugatti, dispone l’immediato abbattimento dell’orsa JJ4 e a più riprese si scaglia contro l’intero progetto di reintroduzione Life Ursus che nel 1999, per salvare i plantigradi da un’inevitabile estinzione, rilasciò alcuni esemplari in Trentino, provenienti dalla vicina Slovenia: un progetto che ha portato alla settantina di orsi tuttora esistenti. A fine luglio, poi, il consiglio della provincia autonoma di Trento approva il disegno di legge sull’assestamento di bilancio e ne approfitta per aggiungere due integrazioni all’art.59, relative alla gestione faunistica nel territorio, introducendo la possibilità di abbattimento per orsi e lupi senza chiedere il parere a Ispra – che intanto a settembre rilascia un parere scientifico che valuta il numero massimo di orsi da abbattere in Trentino (otto all’anno) senza che rischi una nuova estinzione.

Al di là del merito della vicenda, particolarmente complessa da sintetizzare in queste poche righe, quel che appare significativo è l’indirizzo politico: di destra è il presidente Fugatti e di destra è il governo nazionale che ha scelto di non impugnare alla Corte Costituzionale la legge provinciale, così come richiesto da ENPA, il cui appiglio normativo è proprio la recente modifica costituzionale dell’art.9.

“I segnali sono davvero pessimi”, afferma Carla Rocchi. Una riflessione che pare confermata dalle numerose decisioni assunte dal governo Meloni in appena un anno di legislatura. Si va dall’emendamento alla Legge di Bilancio 2022 che ha modificato la cosiddetta “legge sulla caccia” (la n°157 del 1992) per consentire l’abbattimento dei cinghiali (Il Manifesto ha parlato a tal proposito di “governo dei cacciatori”) al decreto Asset che nella recente conversione al Senato ha reso non vincolante il parere di Ispra sulla stagione venatoria e ha depenalizzato l’uso delle munizioni al piombo: chiari assist, come scrive Repubblica, ai “470mila cacciatori italiani, blocco sociale di riferimento per Fratelli d’Italia e in particolare per il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, lui stesso detentore di licenza”.

La conclusione di Carla Rocchi non può che essere amara:

Quando ci si immagina l’industria bellica si fa unicamente riferimento alla guerra e ai conflitti internazionali. In realtà la produzione di armi è destinata anche alla caccia sugli animali, che viene usata come schermo protettivo. La verità è che con questo clima politico e con questa maggioranza di governo, e aggiungo anche con la complicità silente di questa opposizione parlamentare su questi temi, è già tanto tenersi strette le leggi vigenti. Anzi, quando si prova qualche nuovo provvedimento normativo si fanno passi indietro e non avanti.

A che serve aggiornare la Costituzione alla sensibilità attuale, come è avvenuto ad esempio con l’ultimo ingresso dello sport all’articolo 33, se poi prevalgono pressioni lobbistiche e interessi di bottega? Davvero ci si deve rassegnare all’idea che la strada dell’Italia sia lastricata da buone intenzioni?

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