17 Feb Reddito di cittadinanza oltre la propaganda
Tratto da L’Essenziale di Maurizio Franco
Da Milano a Bari chi riceve il sostegno economico si mobilita per smentire lo stereotipo del fannullone e per aiutare chi fatica ad arrivare a fine mese.
Quando nel 2022 Giacomo Turci, 30 anni, ha vinto il concorso per insegnare nelle scuole superiori, aveva ancora una vaga speranza di cambiare la sua situazione, fatta di precarietà e lavoro nero per mantenersi agli studi. Uscito dall’università nel 2018, aveva ottenuto i 24 crediti formativi necessari per superare le prove che avrebbero trasformato la sua laurea in geografia in una cattedra a tempo indeterminato. Ma non è stato così: i posti messi a bando non erano abbastanza per tutti i vincitori e le assegnazioni sono andate a rilento.
Turci si è ritrovato così al punto di partenza, disoccupato e con l’affitto di una stanza a Roma da pagare. “Non so neanche se a settembre entrerò di ruolo, nonostante sia abilitato da un concorso pubblico”, dice, mostrando a ogni parola la frustrazione che prova per il mancato riconoscimento del suo percorso di studi e per la condizione di precarietà che è costretto a vivere.
Nel frattempo ha fatto domanda per il reddito di cittadinanza (rdc). “Una toppa che mi ha permesso di affrontare questo periodo”, sottolinea. Riceve 780 euro al mese: 500 euro per le spese e 280 euro per l’affitto.
Di fronte all’ipotesi della futura abolizione dell’rdc proposta dal governo Meloni, però, il sentimento di insoddisfazione si tramuta in rabbia. “Mi impegnerò in prima persona per il reddito di cittadinanza, perché questa misura, per quanto criticabile, va difesa a oltranza”, afferma Turci.
È convinto che soltanto le lotte possano invertire la rotta presa dal governo di destra. E in Italia non è il solo ad avere questa consapevolezza. Con etichette e nomi diversi, in molte città stanno nascendo reti e collettivi per arginare le conseguenze sociali del carovita e della crisi economica.
La protesta dei comitati
Il pomeriggio del 20 dicembre 2022, a Roma, un centinaio di persone circondate dalle forze di polizia hanno piazzato un divano gonfiabile davanti al ministero del lavoro, per ironizzare sullo stereotipo del percettore di rdc come un fannullone. C’è anche un microfono con cui poter raccontare la propria storia. Cartelli e striscioni mostrano lo slogan: “Vogliamo molto più del reddito”. Così, mentre era in discussione la legge di bilancio, le Camere del lavoro autonomo e precario (Clap) – un sindacato indipendente nato nel 2014 – hanno lanciato pubblicamente insieme ad altri collettivi e associazioni i “comitati a difesa del reddito di cittadinanza”. Organizzazioni ibride, incubatrici delle battaglie che si preparano sul fronte del welfare e del lavoro, le cui pratiche, come sottolineano gli attivisti, sono ancora da sperimentare: blitz in luoghi simbolo della precarietà, sit-in, manifestazioni e occupazioni temporanee di stabili abbandonati.
“L’obiettivo è coinvolgere un numero significativo di beneficiari dell’rdc, allargando la partecipazione ai lavoratori poveri, agli studenti, ai disoccupati e a tutti coloro che sono stati esclusi dalla misura a causa dei criteri di selezione sempre più stringenti”, spiega Biagio Quattrocchi, sindacalista delle Clap.
A costruire i comitati romani, quartiere per quartiere, ci sono centri sociali, movimenti per il diritto alla casa, tra cui i Blocchi precari metropolitani (Bpm), e associazioni come Nonna Roma, punto di riferimento in città sul tema delle nuove povertà.
“Eliminare il reddito di cittadinanza significa obbligare migliaia di persone a lavorare a qualsiasi condizione. Quella che il governo esprime è un’ideologia contro i poveri”, dice Quattrocchi. Secondo il sindacalista, l’rdc ha avuto un ulteriore valore aggiunto: ha avvicinato persone ai margini del mercato del lavoro ai centri per l’impiego, dando linfa vitale al collocamento pubblico, ponendolo al centro del dibattito politico.
“Questo governo ha introdotto di nuovo i voucher, ha cancellato dall’agenda politica la norma sul salario minimo e ha azzerato i fondi per l’affitto e la morosità incolpevole”, che aiutavano chi non riusciva a pagare il canone per cause impreviste, come la perdita del lavoro. Questioni fortemente intrecciate su cui i comitati intendono dare battaglia, andando oltre la difesa della norma partorita dal primo governo Conte.
A Roma le prime riunioni per la costituzione dei comitati sono state ospitate nelle sale di Esc atelier e di Communia, due spazi autogestiti nel quartiere di San Lorenzo. Il prossimo 20 febbraio un’assemblea pubblica darà il via definitivo alla mobilitazione dei nuclei capitolini. “Intendiamo esportare il modello in tutto il paese”, continua Quattrocchi. “Il fine è istituire un comitato in ogni città”.
Milano contro il carovita
Il prezzo esponenziale di luce e gas e la crescita dell’inflazione pesano sui portafogli di milioni di persone. Lo smantellamento dell’rdc potrebbe inasprire una situazione già critica. Fedele (nome di fantasia), 55 anni, ne è consapevole. Non percepisce da quattro mesi i 500 euro del reddito di cittadinanza. Ha subìto uno sfratto e ha perso la residenza, elemento fondamentale per continuare a beneficiare della misura. Nel corso della sua esistenza, per sopravvivere al costo della vita a Milano, ha fatto di tutto: il muratore, il magazziniere, l’operaio in un’azienda metalmeccanica e le pulizie negli androni dei palazzi. Oggi è invalido al 50 per cento ed è in attesa di un alloggio popolare. Ha poca fiducia nel futuro e si sente abbandonato dalle istituzioni. “Sono combinato male. Con l’aumento del costo della vita, è impossibile vivere qui . Anche con il reddito, non è che me la passassi bene. Ma come faccio a lavorare? Vado in giro con le stampelle”, racconta con un filo di voce.
A Milano, numerose realtà sociali e sindacali hanno dato vita al comitato referendario “No carovita”. “Un contenitore largo dove poter ricominciare a parlare di periferie e disuguaglianze in una città vetrina dove le contraddizioni sono sistematicamente occultate ”, spiega Emilia Piccolo, attivista della rete. “Con il referendum, vogliamo imporre all’amministrazione la riduzione del costo delle bollette attraverso la ripartizione pubblica degli extra-profitti di A2A, l’azienda energetica che opera su Milano, per il 25 per cento di proprietà del comune”. Lo scopo è ridistribuire quote di reddito indiretto alle fasce più vulnerabili della società, ottenendo servizi e welfare urbano per la comunità.
Il 7 dicembre, durante la prima della Scala, il comitato ha inscenato una protesta sul carovita, per raccogliere firme. Nella piazza antistante il teatro, icona della cultura meneghina, è stata imbandita una tavolata: una cena a lume di candela a base di pasta e fagioli e uno stuolo di “commensali” seduti a brindare contro la precarietà e il clima di austerity che pervade la città.
“La gente non riesce più a pagare le bollette e, a forza di tagli, dei servizi è rimasto poco o niente. Noi pretendiamo di più. Neanche il reddito di cittadinanza, così come è stato pensato, è sufficiente”, dice Riccardo Germani, sindacalista dell’Adl Cobas, un “sindacato sociale” nel senso che fonde le battaglie tradizionali nei luoghi di lavoro a un intervento capillare sul territorio.
L’organizzazione è uno dei perni del comitato e funge da osservatorio privilegiato sulle macerie della recessione economica. “Dallo scoppio della pandemia, i nostri sportelli hanno registrato un flusso crescente di richieste di aiuto”, rivela il sindacalista. “Abolire l’rdc significa far esplodere una bomba sociale che travolgerà Milano, dichiarando guerra, per l’ennesima volta, ai poveri”.
Da Napoli a Bari i disoccupati si organizzano. “La pandemia ha consolidato il nostro legame, spingendoci oggi a fare un altro passo in avanti: uno sportello di aiuto dove integrare la solidarietà di base alla tutela dei diritti”, racconta Angelo Cassano, referente a Bari dell’associazione Libera e parroco di San Sabino, nel cuore popolare della città pugliese, tra i quartieri di Madonnella e Japigia.
Con l’associazione sindacale Fuori mercato, lo spazio di mutuo soccorso Bread & Roses e il gruppo Lavoro rifugiati, don Angelo ha impostato una macchina “che punta a far sentire le persone protagoniste di un percorso di emancipazione complessiva”.
La parrocchia assicura cibo, indumenti e una doccia calda a circa duecento nuclei familiari. Fuori mercato, invece, ha messo a disposizione l’esperienza acquisita con lo sportello di autodifesa sindacale allestito a villa Roth, realtà abitativa autogestita: lettura dei contratti di lavoro e delle buste paga, supporto legale alle vertenze e orientamento ai servizi pubblici. “È necessario abbattere l’idea per cui chi percepisce il reddito non ha voglia di lavorare. In molti casi è un lavoratore povero ed estremamente ricattabile”, evidenzia Gianni De Giglio, militante di Fuori mercato.
La storia di Viktor è un esempio eclatante di questo processo. Cinquantacinque anni, originario della Nigeria ma in Italia da vent’anni, ha percepito il reddito di cittadinanza per 18 mesi. Dopo aver trovato un lavoro temporaneo, durato solo otto mesi, ha superato, senza rendersene conto, la soglia di Isee consentita per percepire l’rdc. Ora l’Inps, per potere presentare un’altra richiesta, gli chiede di restituire 600 euro. Viktor, attualmente, fa il bracciante nelle campagne pugliesi con un debito da saldare con lo stato. È assunto in grigio: le ore segnate in busta paga sono inferiori a quelle effettivamente lavorate. Il suo salario, sulla carta, è di 240 euro. Il resto è dato in nero.
Antonio (nome di fantasia) si ritiene fortunato perché, al contrario di altri, ha alle spalle i propri genitori. Ha 48 anni, è disoccupato e vive nella casa di famiglia a Napoli. “Voglio un lavoro e un salario dignitoso”, ripete instancabilmente. Maria è stata licenziata senza preavviso e si è dovuta barcamenare tra impieghi precari e in nero. Ha due figlie a carico e una voglia inesauribile di lottare per sé e per gli altri. Tutti e due fanno parte del Movimento di lotta disoccupati 7 novembre, nato a Bagnoli nel 2014, dopo un’imponente manifestazione contro il decreto Sblocca Italia, emanato dal governo Renzi.
Il movimento è attivo in ogni rione del capoluogo campano con sportelli e spazi di aggregazione, dove profila e cerca di organizzare la moltitudine dei senza lavoro. Negli ultimi mesi ha fatto sentire la propria voce per chiedere lo sblocco dei fondi del Pnrr per la formazione e l’assunzione dei disoccupati.
La mobilitazione è vivace, quotidiana e spontanea per le strade della città. Il 5 gennaio, gli attivisti hanno occupato il duomo di Napoli, hanno interrotto il consiglio comunale e sono scesi in corteo da piazza Dante. “Ora è anche il momento di difendere il reddito di cittadinanza. Stiamo stilando le liste dei percettori, costruendo i comitati zona per zona, unendo le lotte per il salario minimo a quelle per un welfare universale”, dice Maria. “Per adesso ci siamo mossi per aiutare concretamente coloro a cui è stato tolto ingiustamente l’rdc. In questa fase, anche un piatto di pasta fa la differenza”.
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