Ucraina innevata

VOLONTARI RUSSI PER I RIFUGIATI UCRAINI

Tratto da ValigiaBlu di Roberta Aiello

Una rete di volontari russi, impegnata a sostenere i rifugiati di guerra ucraini e a portarli fuori dal proprio paese verso l’Europa, che sfida le autorità rischiando di pagare un prezzo che può essere molto elevato. La racconta il Washington Post.

Una sorta di Underground Railroad, la rete informale di itinerari segreti e luoghi sicuri utilizzata negli Stati Uniti d’America dagli schiavi afroamericani, dalla fine del XVIII secolo fino alla metà del XIX secolo, per fuggire negli “Stati liberi” e in Canada con l’aiuto degli abolizionisti, solidali con la loro causa.

Chi vi partecipa è consapevole di non far parte di un’organizzazione strutturata, come sa che probabilmente non incontrerà mai di persona, per motivi di sicurezza, chi si sta contribuendo alla stessa maniera in un’altra parte del paese. Il comune denominatore di queste persone è il rischio che si corre nel venire individuati dalle forze di sicurezza russe, che diffidano delle iniziative dei cittadini e reprimono qualsiasi gruppo fondato dalla società civile.

Questi volontari indipendenti si occupano di ogni genere di cose. Alcuni lavorano da casa e processano le richieste di aiuto. Altri si prendono cura degli animali domestici. Altri ancora raccolgono cibo, vestiti e medicine che consegnano a magazzini di fortuna. A esporsi più di tutti è chi ospita i rifugiati ucraini e gli autisti che li trasportano per oltrepassare il confine russo.

Nessuna delle attività che svolgono è illegale, ma in tempo di guerra tutto ciò che è inerente all’Ucraina e mal si adatta al fervore patriottico a favore della ‘operazione militare’ non è visto di buon grado dai servizi di sicurezza, pronti a intervenire duramente.

Subito dopo l’invasione ucraina, Mosca ha messo alle strette le poche realtà sopravvissute della società civile, dimostrando attraverso lo smantellamento dell’opposizione e dei gruppi impegnati nella difesa dei diritti umani di non tollerare alcun dissenso.

Il desiderio del Cremlino di avere il controllo totale in un contesto di guerra ha preso di mira associazioni e movimenti, costringendo alcuni a lavorare in esilio o a chiudere definitivamente.

Gli aiuti ai cittadini ucraini, scrive il Washington Post, provengono da due gruppi opposti: gli ‘ufficiali’, come quello gestito dal partito al governo Russia Unita, e dai ‘non ufficiali’ che non hanno gerarchie o affiliazioni.

I gruppi ‘ufficiali’ aiutano le autorità russe a collocare gli ucraini in rifugi temporanei, dove vengono offerti con insistenza passaporti russi che rendono quasi impossibile il successivo viaggio verso l’Unione europea. In particolar modo questi gruppi forniscono aiuti alle aree occupate dei territori ucraini orientali che il Cremlino definisce ‘liberati’.

I volontari ‘non ufficiali’, invece, si occupano prevalentemente di tutto quello che non fanno quelli ‘riconosciuti’. Consegnano cellulari in sostituzione dei telefoni sequestrati dalla Russia al confine, contattano veterinari per animali domestici malati, trovano medicinali difficili da reperire e svolgono una miriade di altri compiti, alcuni banali, altri essenziali. Noleggiano autobus, acquistano biglietti del treno o accompagnano famiglie ucraine al confine.

In alcune città, i volontari ‘non ufficiali’ sono stati costretti a sospendere le attività su pressione delle forze dell’ordine locali. È quello che è successo a Veronika Timakina, una giovane di 20 anni, e ad altri due volontari impegnati a sostenere alcuni rifugiati ospitati dalla diocesi ortodossa della città di Tver che, secondo la ragazza, venivano trattati in maniera sprezzante.
Dopo aver interrogato alcuni cittadini ucraini la polizia ha perquisito la casa di Timakina e degli altri due volontari nell’ambito di un’indagine penale aperta per divulgazione di ‘informazioni false’ sull’esercito russo, un reato introdotto all’inizio dell’invasione.

Tutti e tre gli attivisti hanno lasciato la Russia, temendo ulteriori persecuzioni.

Stessa sorte è toccata a Irina Gurskaya, un’economista e attivista in pensione nella città di Penza, nella Russia occidentale, per aver aiutato alcuni abitanti di Mariupol, la città ucraina rasa al suolo dall’esercito russo, a raggiungere il confine con l’Estonia.

Alla fine della scorsa primavera, qualcuno ha scritto con lo spray, sulla porta dell’abitazione della donna, ‘favoreggiatrice ucro-nazista’. Pochi giorni dopo, la polizia ha perquisito la sua casa, in seguito a ‘lamentele anonime’ a causa di alcuni pacchi di aiuti riposti sul suo pianerottolo, e l’ha interrogata per sapere quale organizzazione stesse finanziando.

Uscita dalla stazione di polizia, Gurskaya è stata prelevata da due uomini in passamontagna che le hanno infilato un cappello e l’hanno portata via in auto. Mentre le torcevano le braccia, hanno minacciato lei e i suoi figli se avesse continuato ad aiutare gli ucraini.

Gurskaya, protagonista di un documentario del giornalista Vladimir Sevrinovsky in cui ha raccontato la sua vicenda, è stata costretta a lasciare il paese.

Le due volontarie a Tver e Penza avevano espresso apertamente la loro opposizione alle politiche del Cremlino dichiarandosi contro la guerra. Questa esposizione ha aumentato la probabilità che fossero prese di mira. La maggior parte dei volontari, invece, evita di parlare di politica.

«La cosa più importante è non avere alcuna conversazione se non sul problema per cui [gli ucraini] hanno bisogno di aiuto», ha spiegato un volontario che aiuta i rifugiati a reperire documenti e con i trasporti. «Bisogna stare attenti a quello che si dice. È la principale regola per la propria sicurezza».

«Per me, una vita umana viene prima di tutto e poi non faccio nulla di illegale», ha proseguito.

I volontari intervistati da Washington Post hanno espresso il senso di impotenza di fronte all’inizio della guerra. Assistere i rifugiati ucraini in Russia è l’unico modo per affrontare la paura, il senso di colpa, la disperazione e la rabbia.

«Per i miei parenti sarei dovuto scendere in piazza e protestare ma gli ho detto di non credere che sarei stato d’ aiuto se fossi stato multato e poi incarcerato», ha spiegato un cittadino russo di origine ucraina. «Il volontariato era l’unica strada».

«La speranza è creare almeno un piccolo barlume in questo disastro totale», ha detto. «Da qualche parte, nel profondo, ho questo barlume di speranza che forse tra 20 anni, se sarò ancora vivo, l’Ucraina mi permetterà di vedere le tombe dei miei genitori o di incontrare i miei fratelli. Magari ci sarà una possibilità. Forse l’Ucraina vedrà tutto quello che stiamo facendo adesso come un piccolo raggio di luce».

 

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