Macellazione rituale, controversia tra libertà religiosa e benessere animale

Tratto da Libero Pensiero, di Alessio Arvonio

Nell’antica religione persiana del Manicheismo vi era l’idea che alla base della realtà vi fosse una lotta perenne tra il bene e il male; due forze in conflitto che muovevano le trame della storia. Ad oggi alcune cose sono cambiate. La lotta continua, ma a smuovere la storia partecipa, in aggiunta, una contrapposizione inedita fra due beni, per così dire, sul piano teorico. Il campo di battaglia è la macellazione rituale, che porta al fronte due diversi diritti: da un lato il benessere degli animali, dall’altro la libertà religiosa.

L’alimentazione è un atto naturale, ma nel corso dei secoli ha assunto, presso molte civiltà e religioni, connotazioni sacre che prescrivono determinati procedimenti (preghiere, qualità tipiche del macellaio, condizioni geografiche particolari, invocazioni e benedizioni) per la produzione di un prodotto affinché diventi edibile. Un caso particolare riguarda la carne, per cui si parla talvolta di macellazione rituale, espressione intesa a sottolineare la sacralità di alcuni gesti, giudicati da molti cruenti. Ciò avviene soprattutto presso due grandi religioni: l’Ebraismo e l’Islam.

In entrambe esistono due termini ben precisi finalizzati a connotare il cibo che può essere ingerito. Kasher è la parola che gli ebrei utilizzano per marchiare gli alimenti che hanno subito i processi tipici della propria religione, garantiti dalla presenza di un rabbino. Per la cucina islamica invece vi è la parola “Halal” (“Lecito”). In tutte e due le religioni è fatto divieto il consumo del sangue, con le dovute e occasionali eccezioni. Per questo motivo vi è la propensione, non sempre univoca, ad uccidere l’animale senza stordimento, perché ciò garantirebbe un perfetto dissanguamento e perché i testi sacri stabilirebbero uno stato vigile dell’animale. Contrariamente a quanto si è portati a credere, e per quanto opinabile agli occhi di molti, l’uccisione dell’animale in entrambe le religioni ha alla base un precetto fondamentale: ridurre al minimo lo stress e la sofferenza.

La macellazione rituale di tipo musulmano prevede solitamente che l’animale venga ucciso senza la presenza di suoi simili, spesso bendato in modo che non possa vedere la lama. Il metodo più diffuso consiste nel recidere completamente la gola dell’animale con un unico movimento della mano con un coltello che deve essere affilatissimo. Anche nel caso del rito ebraico le procedure sono molto simili. È previsto l’uso di strumenti lisci, privi di dentature e molto più lunghi della superficie su cui devono agire. L’esposizione alla lama da parte dell’animale avviene in modo particolare, cioè mediante un apposito box metallico. La carne in seguito subisce un processo di purificazione, che consiste nell’esportazione dei vasi sanguini. Il motivo alla base di questo particolare accorgimento ebraico risiederebbe nel principio espiatorio del sangue, preceduto a sua volta da una motivazione più profonda, ovvero il dissanguamento garantirebbe, secondo i precetti biblici, una minore sofferenza dell’animale.

Tuttavia, la posizione di alcuni animalisti nei confronti della macellazione rituale è critica ed è per questo motivo che è stata lanciata una petizione affinché lo stordimento degli animali diventi obbligatorio e senza deroghe. La normativa vigente a livello europeo, Il Regolamento (CE) 1099/2009 (G.U. dell’Unione Europea n. 303 del 18/11/2009) del 24 settembre 2009 “relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento”, infatti, prevede che gli animali destinati alla macellazione subiscano uno stordimento preventivo (mediante pistola a proiettile captivo, elettronarcosi o esposizione a biossido di carbonio) al fine di garantire una morte dignitosa e senza sofferenze.

A questa norma, però, si affiancano le deroghe che alcuni Stati membri possono concedere a religioni come l’Ebraismo e l’Islam. È il caso dell’Italia, che permette la macellazione rituale, ma solo nei circa 200 macelli autorizzati. A questo punto si accende la lotta: da un lato il dovere dello Stato di permettere ad ogni culto di potersi manifestare, dall’altro il dovere di garantire il benessere degli animali, entrambi contemplati nell’ordinamento legislativo. Al di là del parteggiamento, però, permane lo scetticismo di alcuni ricercatori per l’impossibilità di stabilire con certezza il grado di sofferenza dell’animale in entrambe le procedure. Peccato, invece, che con forza si affermi la certezza che la sofferenza animale non si limiti solo agli ultimi istanti di vita.

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