Bangadesh

Le grosse proteste del settore tessile in Bangladesh

I manifestanti chiedono l’aumento del salario minimo, in un paese che è il secondo produttore al mondo di abbigliamento dopo la Cina

 

Tratto da Il Post

Mercoledì una donna di 26 anni è stata uccisa negli scontri con la polizia durante una protesta dei lavoratori del settore tessile a Dacca, in Bangladesh, organizzata per chiedere l’aumento del salario minimo. La donna, Anjuara Khatun, è la terza persona a essere uccisa dall’inizio delle rivendicazioni, che vanno avanti dallo scorso aprile. Il Bangladesh è il secondo produttore al mondo di abbigliamento dopo la Cina, e dal 2011 al 2019 le sue esportazioni del settore sono più che raddoppiate: ciononostante le persone che impiega sono tra le più povere del paese e le loro condizioni di lavoro continuano a essere pessime.

Le proteste più grosse sono avvenute nell’ultima settimana, dopo che il governo aveva annunciato un aumento dei salari minimi ritenuto inadeguato dai manifestanti. Al momento le persone che lavorano nel settore, perlopiù donne, guadagnano 8.300 taka al mese, poco più di 70 euro. Martedì una commissione nominata dal governo aveva accettato di alzare il salario minimo mensile a 12.500 taka (106 euro) a partire da dicembre. L’aumento è però molto inferiore rispetto a quello richiesto dai sindacati, pari a un minimo di 23mila taka, cioè circa 200 euro, più o meno il triplo di quello garantito finora.

Per dare l’idea, secondo due siti specializzati citati dal giornale locale Dhaka Tribune, nel marzo del 2022 il salario medio mensile del Bangladesh, che ha più di 170milioni di abitanti ed è l’ottavo paese più popolato al mondo, corrispondeva all’equivalente di 280 euro, quattro volte quello percepito da chi lavora nell’industria del tessile.

Nei giorni scorsi nelle principali zone industriali attorno alla capitale Dacca, tra cui Ashulia, Gazipur e Savar, ci sono state manifestazioni a cui hanno partecipato in tutto circa 25mila persone. Più di 10mila lavoratrici e lavoratori hanno bloccato le strade e sono rimasti coinvolti negli scontri con le forze dell’ordine, che hanno reagito duramente usando gas lacrimogeno e proiettili di gomma, e almeno nel caso di Khatun cominciando a sparare su chi protestava. Le proteste hanno portato alla chiusura di almeno 100 fabbriche, e secondo la polizia altre 70 sarebbero state saccheggiate. Più di 100 persone, tra cui alcuni leader sindacali, sono state arrestate con l’accusa di violenze e di aver provocato danni a edifici e auto. Sono state segnalate anche decine di feriti.

Per produrre i propri capi e massimizzare i profitti, spesso le aziende di fast fashion che producono collezioni economiche e a grandissima distribuzione si affidano a fabbriche di paesi in cui la manodopera costa molto poco, come il Bangladesh. Al momento le circa 3.500 fabbriche tessili presenti nel paese producono vestiti anche per marchi molto conosciuti, come H&M, Zara o Levi’s. Le esportazioni di questo tipo di prodotti compongono l’85 per cento di quelle totali del Bangladesh.

I lavoratori del settore protestano perché ritengono che il loro salario non sia adeguato all’aumento dell’inflazione registrato negli ultimi cinque anni, che secondo l’Ufficio nazionale di statistica tra il 2022 e il 2023 è stato del 9 per cento, l’aumento maggiore degli ultimi 12 anni. Il mese scorso diciotto marchi, tra cui appunto H&M e Levi’s, ma anche Gap, Puma e Abercrombie & Fitch, avevano inviato una lettera alla prima ministra del paese, Sheikh Hasina, sollecitando trattative con lo scopo di tutelare le necessità di base dei lavoratori. Hasina però si è rifiutata di effettuare ulteriori interventi, sostenendo che l’aumento concesso dal governo al settore fosse di gran lunga superiore a quello riconosciuto ad altre categorie di lavoratori, come quelli pubblici.

Hasina ha detto che durante le proteste sono state «attaccate e distrutte» 19 fabbriche, che «garantiscono pane e burro e cibo e lavoro»: la prima ministra ha aggiunto che i lavoratori «devono capire» che «se queste fabbriche vengono chiuse, la produzione è interrotta e le esportazioni calano», loro rischiano il posto di lavoro. Secondo il funzionario di un sindacato del Bangladesh che ha parlato con France 24 a condizione di restare anonimo, il discorso di Hasina ha creato «un clima di paura» nel settore e darà ancora più potere alle forze dell’ordine per reprimere eventuali future proteste.

Le rivendicazioni dei lavoratori del settore tessile si inseriscono nel contesto delle più ampie proteste antigovernative organizzate nelle ultime due settimane dai principali partiti di opposizione del paese, tra cui il Partito nazionalista del Bangladesh (BNP). Hasina governa il Bangladesh da 15 anni ed è riuscita a garantire al paese una forte crescita economica, ma a detta delle opposizioni sta mettendo in atto una repressione generalizzata del dissenso. Negli ultimi giorni la polizia ha arrestato quasi 8mila membri e sostenitori dell’opposizione accusati di essere coinvolti a vario titolo nelle violenze sfociate durante le proteste.

L’arresto di un numero così elevato di persone è considerato un tentativo del governo in carica di reprimere l’opposizione a pochi mesi dalle prossime elezioni parlamentari, previste a gennaio.

Le proteste antigovernative del 28 ottobre a Dacca

Le proteste antigovernative del 28 ottobre a Dacca (AP Photo/ Mahmud Hossain Opu)

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