La ricostruzione della democrazia, un’urgenza attuale

Tratto da il Manifesto, articolo di Mario Ricciardi

Perché il 25 aprile? Perché questo 25 aprile? La prima questione se la poneva Piero Scoppola già nel 1995, in un breve libro che si apriva proprio con la domanda se avesse senso e, nel caso, quale fosse il senso di celebrare l’anniversario della liberazione.

L’occasione era il cinquantennio del 25 aprile del 1945, ma la riflessione di Scoppola non era motivata soltanto dalla ricorrenza «tonda», come si usa dire. Lo storico scriveva poco tempo dopo le inchieste di Tangentopoli che avevano innescato una crisi del sistema politico italiano destinata a modificare profondamente il profilo dell’offerta politica. Buona parte dei partiti che nel 1945 avevano guidato, dopo vent’anni di regime fascista, la transizione dell’Italia verso la democrazia, erano stati travolti dalle indagini della magistratura.

Messi di fronte a una drammatica crisi di credibilità, alcuni si erano sciolti, altri stavano cambiando la propria identità. La suggestione del «nuovo inizio» (della «seconda repubblica») appariva irresistibile, anche per via di un diverso sistema elettorale che segnava una profonda discontinuità con la scelta proporzionalista cui il parlamento repubblicano era rimasto fedele per più di quaranta anni.

Pur essendo un convinto sostenitore della necessità di cambiare il sistema elettorale, e di aggiornare alcuni aspetti della Costituzione, Scoppola non fu allora tra quelli che si lasciarono inebriare dall’idea di fare «tabula rasa» della cultura politica nata dall’antifascismo, consolidatasi nella resistenza e, poi, passaggio di cui lui sottolineava l’importanza, nei lavori dell’Assemblea costituente. Al contrario, egli difendeva con forza l’idea che «l’antifascismo è stato declinato (…) in positivo nell’affermazione dei valori della persona umana, della libertà e della solidarietà, è stato tradotto cioè nei valori che il fascismo stesso, specie nella sua ultima fase, aveva negato e calpestato.

Per la Costituzione repubblicana può valere perciò quella identificazione fra democrazia e antifascismo che non può essere affermata né sul piano astratto dei principi né sul piano storico generale: la Costituzione democratica del ’48 è antifascista perché l’antifascismo della Costituzione stessa è compiutamente democratico». Era, insomma, il nesso tra antifascismo e i valori della prima parte della Costituzione repubblicana, per Scoppola, a dare ancora un senso al 25 aprile a cinquanta anni dalla Liberazione. Proprio nella fase in cui si rimetteva in discussione buona parte dell’eredità politica – le persone, i partiti, le culture – del dopoguerra, i principi costituzionali rimanevano un punto fermo.

A me pare che, nel tempo trascorso dal 1995, le ragioni di fondo proposte da Scoppola per difendere il senso del 25 aprile come festa repubblicana siano ancora valide. Che lo siano anzi, ancor di più, in considerazione di quanto sappiamo oggi, e Scoppola non poteva prevedere, sull’evoluzione del sistema politico, e della cultura pubblica, del nostro paese. Oggi al governo c’è una coalizione guidata da un partito che affonda le proprie radici proprio nel fascismo (anche e soprattutto quello repubblichino, di cui Scoppola segnalava l’incompatibilità con i valori repubblicani).

L’esperienza ci ha mostrato che il processo di revisione culturale a destra, avviato negli anni Novanta, non è mai stato portato a termine in modo compiuto. Una studiata strategia di ambiguità e ammiccamenti rassicura i nostalgici del passato mentre si blandiscono i moderati assumendo posture bellicose in politica estera e nella politica economica. Non si attaccano direttamente i principi della Costituzione, ma si opera (sempre con l’acquiescenza dei moderati) per eroderne la forza. Si ignorano i diritti delle persone (a partire da quelli dei migranti), si restringono gli spazi per il dissenso (anche con l’uso sproporzionato della forza), si indeboliscono di proposito i legami di solidarietà tra forti e deboli, sia sul piano dei rapporti interpersonali, sia su quelli tra nord e sud del paese (con la «secessione dei ricchi»).

Per questo credo sia doveroso rispondere all’appello lanciato da questo giornale per trovarci tutti in piazza a Milano il prossimo 25 aprile. Per festeggiare la liberazione dal fascismo e dall’occupazione nazista, e per difendere lo spirito della Costituzione che costituisce il frutto positivo di quella lotta. Cui hanno contribuito non solo i combattenti, e i resistenti disarmati, ma anche tutti coloro che dopo la fine delle ostilità hanno fatto la propria parte nella costruzione della democrazia a cui dobbiamo quasi ottanta anni di pace e di progresso morale.

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