Il trattenimento amministrativo dei migranti è contrario alle norme costituzionali

Tratto da Micromega.net

La costituzionalista e Professore Ordinario di Diritto costituzionale e Giustizia costituzionale dell’Università degli Studi di Milano analizza la legittimità dei decreti legge del governo Meloni attualmente in discussione.

 

Cpr, rimpatri e procedure “alla frontiera”
Pur non essendo ancora pubblicato il testo, sappiamo che il decreto-legge in materia di migrazione in discussione in questi giorni (il terzo nel 2023) persegue due obiettivi principali:
a. Potenziamento delle procedure accelerate per il riconoscimento della protezione internazionale in frontiera, al fine di precludere immediatamente l’ingresso nel territorio dello Stato a chi non ne presenta i requisiti
b. Accelerare i rimpatri, con il conseguente incremento dei CPR, quale luogo di trattenimento in attesa dell’espulsione.
Riguardo alle procedure accelerate, il Decreto legge n. 20 del 2023 (c.d. Decreto Cutro) ha previsto una specifica procedura accelerata nei casi di domanda di protezione internazionale presentata alla frontiera o in caso di domanda presentata da un cittadino/a di un Paese c.d. sicuro. In questi casi la procedura può essere svolta direttamente in frontiera e la Commissione territoriale deve decidere entro 9 giorni dalla ricezione della domanda.
In attesa della decisione sulla domanda di protezione, mediante la procedura accelerata descritta, il Decreto Cutro ha previsto il trattenimento dello straniero “al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato”.
In particolare, il trattenimento può essere disposto qualora il richiedente non abbia consegnato il passaporto oppure non presti idonea garanzia finanziaria. Al fine di dare attuazione a questa disposizione, il Decreto interministeriale del 14 settembre 2023 ha indicato l’importo di tale garanzia finanziaria a 4.900 euro. In sostanza solo lo straniero che paga tale cifra può evitare il trattenimento.
Da questo punto di vista, il diritto europeo sembra consentire, in via generale, forme di trattenimento “per decidere sul diritto del richiedente di entrare nel territorio” (art. 8, comma 3 lett. c Direttiva 33/2013) specificando anche che il diritto nazionale può prevedere forme alternative al trattenimento, come la costituzione di una garanzia finanziaria (art. 8, comma 4 Direttiva 33/2013).
Tuttavia, pare che una simile misura presenti forti criticità dal punto di vista dei principi costituzionali. Sin dalle sue prime pronunce (C. cost. sent. n. 120 del 1967), la Corte costituzionale ha affermato come i diritti inviolabili debbano essere garantiti a tutti in condizioni di eguaglianza, in forza del combinato disposto degli artt. 2, 3, 10 della Costituzione. In altri termini, la Costituzione italiana impone che i diritti inviolabili – come la libertà personale compromessa in questo caso dalla misura del trattenimento – siano garantiti a tutti in quanto persone umane (Corte cost. sent. n. 105 del 2001), indipendentemente dalla cittadinanza e dalle capacità economiche. I diritti fondamentali, quindi, non possono essere a pagamento.
Più nel dettaglio, il fatto che la procedura accelerata di frontiera e il conseguente trattenimento siano rivolte ai richiedenti, provenienti dai c.d. Paesi di origine sicura mi pare in contrasto con l’art. 10, comma 3 della Costituzione. La norma costituzionale, infatti, impone un esame individuale dell’impedimento dell’effettivo esercizio delle libertà democratiche sancite dalla Costituzione, non rilevando in alcun modo la sola cittadinanza del richiedente.
Peraltro, l’elenco dei cosiddetti “Paesi di origine sicura” è previsto con un Decreto ministeriale in violazione della riserva di legge prevista all’art. 10, comma 3 secondo la quale “le condizioni” dell’asilo devono essere stabilite per legge.
Il contrasto con la Costituzione e il diritto europeo ha portato il Tribunale di Catania a non convalidare il trattenimento di un richiedente tunisino – Paese considerato di origine sicura – che non aveva prestato la garanzia finanziaria il 29 settembre 2023.
Il Tribunale di Catania non ha applicato la normativa interna perché incompatibile con il diritto UE e poiché «in ogni caso, l’art. 8, lett. c) della direttiva 2013/33/UE va interpretata alla luce del principio sancito dall’art. 10, co. 3, Cost., […]» ovvero quello di diritto soggettivo di ingresso nel territorio dello Stato al fine di presentare la domanda di protezione internazionale.
Prosegue inoltre il Tribunale affermando che alla luce dell’art. 10, comma 3 della Costituzione deve «escludersi che la mera provenienza del richiedente asilo da Paese di origine sicuro possa automaticamente privare il suddetto richiedente del diritto a fare ingresso nel territorio italiano per richiedere protezione internazionale». Visto il dubbio di costituzionalità, il Tribunale avrebbe dovuto sollevare la questione davanti alla Corte costituzionale e auspico che i prossimi giudizi si pronuncino in tal senso.
Riguardo al secondo punto sull’accelerazione dei rimpatri, con il conseguente incremento dei CPR, possiamo dire che non si tratta certo di una novità: i diversi decreti-legge, a partire dal Decreto Salvini I hanno tentato di proporre un uso più esteso dei rimpatri. Tuttavia, anche a causa delle note difficoltà pratiche di esecuzione materiale dell’espulsione, viene predisposta la misura del trattenimento amministrativo, che costituisce la principale misura esecutiva dell’espulsione.
Tale misura presenta non poche criticità dal punto di vista dei diritti umani, poiché si tratta di una misura ibrida a carattere “detentivo”, slegata da ogni valutazione di pericolosità sociale e priva delle garanzie proprie del procedimento penale. Non a caso è stato definito dalla dottrina costituzionalistica “la galera amministrativa”.
La Corte costituzionale con una sentenza molto significativa, la n. 105 del 2001 ha affermato che il trattenimento configura una misura limitativa della libertà personale, che comporta «quella mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui». Per tale ragione le misure limitative della libertà personale dovrebbero costituire l’extrema-ratio, preferendo sempre ove possibili misure meno invasive dei diritti individuali.
Nel sistema attuale mi pare che il trattenimento sia disposto ormai in via generale, tanto quale misura esecutiva dell’espulsione, tanto quanto “filtro” di ingresso nel territorio dello Stato (es. il trattenimento durante le procedure accelerate appena visto art. 6 bis Dlgs. 142 del 2015, il trattenimento dei richiedenti asilo art. 6 Dlgs. 142 del 2015, il trattenimento a fini identificativi art. 10 ter Dlgs 286 del 1998), slegato da ogni valutazione di pericolosità.
Infatti, alle frontiere dello Stato stanno proliferando forme di privazione della libertà personale “di fatto”, non previste dalla legge e non disposte dal giudice. Ne sono un esempio gli hotspost, le navi quarantena, la costrizione a bordo di navi a cui è negato l’accesso in porto.
Le misure di controllo delle frontiere per essere coerenti con i principi costituzionali devono essere bilanciate con i diritti delle persone in ingresso, nel rispetto delle garanzie costituzionali (Riserva di legge e riserva di giurisdizione).

 

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