Il neonato morto al Pertini e la “violenza ostetrica”

Tratto da Il Messaggero

Sui social tantissime donne hanno raccontato la loro esperienza, definendo una “violenza ostetrica” il fatto di essere costrette ad andare oltre le loro possibilità per mancanza di aiuto.

«Non devi lamentarti, è tuo figlio. Sai quante ore senza sonno ancora avrai davanti?». E ancora: «Devi sforzarti, non puoi chiamare per queste cose, ora sei una mamma». Già una mamma. Come lo era la donna di  30 anni che  qualche giorno fa ha partorito il suo primo figlio all’ospedale Sandro Pertini di Roma. Emozionata ma stanca, dopo 17 ore di parto, si è addormentata con il suo piccolo tra le braccia e l’ha soffocato. La donna era sul letto con il neonato  che sarebbe dovuto essere rimesso in culla dopo l’allattamento, ma le cose non sono andate così. Ora quella mamma, “colpevole” di essere stremata da un lungo travaglio iniziato in piena notte e da un parto, ha perso il suo neonato a soli 3 giorni di vita. Ma la sua storia è quella di tante altre donne che sul web hanno condiviso le loro esperienze. Moltissime potevano essere lei, moltissime hanno rischiato la stessa tragedia lamentando che qualcosa sarebbe dovuto cambiare: «Se ad altre mamme non è capitato, è solo perché noi siamo state fortunate».

Tante, infatti, sono le donne che hanno raccontato e ricordato sui social il momento dopo il parto, la violenza, sottile, subita nei reparti che ha fatto sentire molte di loro inadeguate, inappropriate, incapaci di fare la “cosa più naturale del mondo”.  Denunciando quella credenza secondo la quale dal momento che si è mamme si deve – come se fosse un dovere, qualcosa di immediato e automatico – avere la forza di badare al proprio bambino.

Le accuse del papà

Il papà del neonato morto, 36 anni, libero professionista originario dell’Abruzzo, ha accusato l’ospedale: «Lei aveva implorato più volte il personale del reparto di portare il piccolo al nido per qualche ora per potere riposare un po’. Non ce la faceva più. Ma la risposta era sempre “no, non si può”.  Molte donne sono lasciate sole nei reparti, complici anche le restrizioni anti–Covid che impediscono ai familiari di rimanere in stanza ad aiutare le neo-mamme. Ecco, i protocolli adottati negli ospedali andrebbero rivisti anche alla luce di questa considerazione. Se ad altre mamme non è capitato, è solo perché loro sono state fortunate».

Violenza ostetrica

Sulla pagina Instagram Mamma di Merda, community social nata nel 2016 da Francesca Fiore e Sarah Malnerich, attiviste e scrittrici dedite a smontare la retorica della mamma perfetta, tantissime donne hanno raccontato la loro esperienza di parto, ma soprattutto del dopo parto. Tantissime donne riportano quella che ha a tutti gli effetti un nome, “violenza ostetrica”: denigrate, sminuite nel loro dolore, giudicate, costrette ad andare oltre le loro possibilità per mancanza di aiuto, accusate di essere lamentose e soprattutto umiliate.

Le testimonianze

Nelle testimonianze raccolte dalla community MammadiMerda, si parla sia della solitudine che le normative Covid, in molti casi rimaste invariate, nonostante la fine dell’emergenza, che dei comportamenti scorretti di ostetriche e infermiere. Quella mamma è tante donne: «A ventiquattr’ore dal parto, chiamo l’infermiera per chiederle di tenermi la bambina. Mi risponde: “Devi sforzarti, non puoi chiamare per queste cose», ma anche «Me la portano a mezzanotte, nata sottopeso e con la flebo. Chiedo per favore se mi aiutano ad attaccarla al seno. Me l’ha piazzata sulla pancia e mi ha detto “è un fatto naturale, vedrà che ci arriva”», «Ho rischiato di far cadere mio figlio dalle mie braccia e poi di soffocarlo, crollavo dal sonno e avevo il terrore di farlo cadere. Mi sono fatta la pipì addosso, perché non riuscivo ad alzarmi. Nessuno mi ha aiutato», ancora: «Mi hanno detto: si lavi con una bottiglietta se non riesce a fare il bidet»…e così di seguito.

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