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Il caso di Indi Gregory: basta con gli sciacalli del dolore

Tratto da Valigia Blu

 

Avremmo dovuto imparare con il caso di Alfie Evans, il bambino di 2 anni morto nel 2018. E, prima ancora, con i casi di Eluana Englaro, di Piergiorgio Welby, e di tanti altri. Avremmo dovuto imparare dalle decisioni sofferte e irreversibili che la salute dei propri cari talvolta impone.

Siccome questa lezione è tutto fuorché norma, e anzi, in Italia è persino eresia, occorre esplicitarla. Il rispetto, la dignità, sono prima di tutto delle soglie: si varcano solo dopo aver chiesto il permesso, e dopo averlo chiesto in modo chiaro, senza alcuna ambiguità. E anche allora, dopo averlo ottenuto, la soglia va varcata in punta di piedi, con una cura e uno spirito di servizio infiniti, consapevoli che si sarà sempre in difetto con il dolore e lo strazio altrui.

Invece niente. Ci troviamo di fronte a una politica che, per una bambina data per incurabile dai medici, invece di bussare e chiedere permesso, sfonda la porta, naturalmente dopo aver messo mano alla calcolatrice.

È evidente, se prendiamo il caso di Indi Gregory, la bambina data per incurabile dai medici nel Regno Unito. La concessione della cittadinanza onoraria è prima di tutto un calcolo. Di consensi da guadagnare, di spazi sui media ricavati dai miraggi di cure, di ideologie da espandere fino a farne monopolio.

Quel corpo è spendibile politicamente, e per far fruttare l’investimento si sostiene che sia meglio trasportarlo in Italia, che un viaggio simile sia affrontabile, che la famiglia possa porre fine al calvario. Si sostiene che ci sarà una speranza, una volta pagato questo costo emotivo immenso, il cui conto è scaricato su altri, a partire dalla famiglia stessa.

E per meglio vendere l’idea, altrimenti ripugnante, gli imbonitori mettono la parola “vita” sulla confezione, dichiarano di esserne i più grandi difensori di quella parola. Così, pensano, si noterà di meno il suono che modulano di tanto in tanto, tra uno slogan e l’altro, lontano da microfoni e telecamere. Un ululare da sciacalli pronti a banchettare, si tratti di una piccola preda, o dei resti di un cadavere.

Nulla di questa storia parla davvero di amore per la vita, desiderio di custodire e proteggere, se non per quel vasto mondo che sta oltre una soglia che ovviamente non ci sogneremo mai di varcare.

Vedere i diritti impugnati come un’arma, in casi del genere, è davvero un oltraggio di cui i corpi inermi e le famiglie che vi si stringono attorno non hanno bisogno. Non è la prima volta, non sarà certo l’ultima, ma proprio per questo ci rifiutiamo di assuefarci a un simile spettacolo.

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