27 Ott I falò della democrazia
Libri bruciati con il lanciafiamme, liste di titoli da bandire in scuole e biblioteche, un’insegnante denunciata dai suoi studenti. Le derive del «semifascismo» statunitense
Tratto da Il Manifesto
Articolo di Luca Celada
Il video mostra il senatore Bill Eigel, candidato a governatore del Missouri ed il collega parlamentare dello stesso stato, Nick Shroer, che imbracciano due lanciafiamme. I due aprono il fuoco su un mucchio di scatole di cartone, una scena che evoca inevitabilmente i falò del Terzo Reich. I senatori piromani diranno poi che nel fundraiser intitolato “literal book burning” non è stato bruciato nessun libro, ma che si trattava di un atto «dimostrativo» per illustrare quello che si propongono comunque di fare coi materiali «osceni e pornografici introdotti nelle scuole dei nostri bambini».
AL SOLITO, nell’incendiario kabuki politico reazionario, l’iconografia è intenzionalmente impiegata per provocare scalpore e generare l’effetto trigger, le provocazioni mirate che sono parte integrante della dialettica di neo destra, come le cartoline di Natale coi pupi che imbracciano gli AK-47 o gli spot elettorali in cui candidati di destra crivellano caparbiamente oggetti inerti con fucili a ripetizione.
L’omaggio a Fahrenheit 451 del trumpista Eigel non è quindi un caso isolato. L’anno scorso il reverendo Greg Locke ha invitato i fedeli della sua Global Vision Bible Church in Tennessee a gettare nel grande falò copie di Twilight e Harry Potter come atto di fede contro le «forze demoniache».
I LIBRI stanno rapidamente diventando vittime designate dell’ultima jihad di destra contro la corruzione antiamericana, e l’immaginata rivincita culturale contro «l’egemonia di sinistra». Nella metà d’America che sembra non aver atteso una rielezione di Trump per secedere dalla costituzione e dalla modernità, sui codici penali sono tornati ad iscriversi i reati di pensiero.
Non si tratta infatti più di solo teatro. Nei red states la rivalsa di destra è oggi politica ufficiale, e così anche le liste di proscrizione di libri «dannosi» (fra questi, titoli di Anna Frank, Kurt Vonnegut, Amanda Gorman, Toni Morrison). Alcuni stati usano commissioni speciali per individuarli, o ronde di “volontari” come quelle associate alle Moms for Liberty, preposte a rimuovere libri da biblioteche scolastiche – sempre, ovvio – per la tutela delle giovani menti. Pen America, l’associazione degli autori, avverte che i titoli censurati quest’anno sono aumentati del 33%, 40% di essi nella sola Florida. Il governatore di quello stato, Ron DeSantis, minaccia di licenziare docenti attenzionati da comitati anti-woke e decreta quali argomenti o parole possono essere pronunciate in scuole e università. Negli atenei statali sono state chiuse facoltà di gender studies e storia afroamericana, per manifesto «disfattismo». Basta una segnalazione anonima di uno studente o un singolo genitore per esporre il docente a sospensioni, sanzioni penali o la perdita dell’abilitazione professionale come è successo ad un’insegnante del South Carolina denunciata perché agli studenti aveva dato da leggere Ta-Nehisi Coates.
IN TEXAS c’è un disegno di legge per sottoporre i docenti di ruolo a regolari «verifiche» ideologiche. «Non sono loro che decidono, ma noi rappresentanti del popolo», ha tuonato il vice governatore Dan Patrick. «Non lasceremo che una manciata di professori minoritari inculchino agli studenti la critical race theory che insegna loro che gli Stati Uniti sono un paese razzista». Sempre il Texas ha rescisso ogni legame con la American Library Association – associazione dei bibliotecari ritenuti pericolosi radicali perché contrari alla censura dei testi scolastici. Arizona, Idaho, Illinois, Georgia, Louisiana, South Carolina e Wyoming si sono subito associati.
In Usa, il conflitto fra post democrazia autoritaria e liberismo in atto in molte democrazie mature, si esplicita in una mappa politica che disegna una frattura polarizzante fra stati blu e rossi, democratici e repubblicani. Il national divorce invocato dalla trumpista Marjorie Taylor Greene sembra già a buon punto. Negli stati che controlla, quello che era il partito del governo minimo, ha adottato un integralismo liberticida e inquisitorio non visto dai tempi di McCarthy. L’involuzione ha dato luogo a distopie che sembrano usciti da un capitolo di La svastica sul sole di Philip K Dick.
Nell’America post-aborto esiste ad esempio una Ong che organizza voli segreti da stato a stato per portare donne a consultori come se volassero sopra settori occupati da forze ostili.
I PROGETTI DI DESTRA, le scuole segregate, ad esempio (o lo schiavismo), sono sempre stati sdoganati dalla dottrina degli states’ rights, l’indipendenza delle amministrazioni locali. Ma oggi si assiste ad una divergenza ben oltre le autonomie costituzionali alla base del federalismo, si profila una reale disfunzione, e una crisi di coesione difficilmente sostenibili. Nel congresso perfino gli stanziamenti per la difesa – e le nomine degli stati maggiori – sono bloccati da parlamentari Maga, contrari al rimborso dell’interruzione di gravidanza per le soldate. Oggi giovani americane spesso decidono se studiare in determinate università in base al grado di erosione dei diritti civili negli stati dove sono ubicate. Uno scolaro che entra alle elementari avrà impartite visioni radicalmente divergenti del mondo a seconda del suo codice postale.
LA REGRESSIONE è presentata come legittima insurrezione contro l’insopportabile egemonia culturale della sinistra, ma a meglio vedere non è difficile discernere una precisa regia. Una recente analisi del Washington Post ha per esempio rivelato che il 60% delle denunce di libri “osceni” dal 2021-2022 sono provenute da 11 cittadini. Fra questi Jennifer Petersen che da sola ha chiesto la rimozione di 71 titoli dalle scuole pubbliche della Pennsylvania.
Esiste poi un’industria “culturale” per la produzione di materiali didattici conservatori. Ad esempio la Prager University Foundation, specializzata nella produzione di cartoni per i più piccoli. Fra questi quello che segue le disavventure della piccola Ania che rimane al freddo perché gli ambientalisti hanno chiuso la centrale a carbone. E quello in cui Cristoforo Colombo (con accento da immigrato italiano) respinge accuse di colonialismo e schiavitù perché ai suoi tempi era «ordinaria amministrazione». Tutto parte della “par condicio” che la destra reclama oggi da storia e scienza. Il concetto è puntellato da think tank come il Claremont Institute, la Federalist Society ed altre fondazioni finanziate da magnati reazionari come i fratelli Koch, che producono un gettito costante di talking points, un copione unificato che immesso nelle “bolle” di destra, spunta poi spesso sotto forma di testuali dichiarazioni in bocca a politici a Dallas come a Budapest o Pontida.
EMERGONO in questo panorama personaggi emblematici dell’oligocrazia imperante che non si limitano più ad influenzare le stanze del potere, ma implementano in proprio progetti radicalmente reazionari, come Leonard Leo che tramite la sua Federalist Society vicina all’Opus Dei ha infarcito i tribunali federali con fidati conservatori originalisti, o Elon Musk e gli altri potenti del silicone che agiscono come miliardari-nazione.
Il vittimismo e le geremiadi contro le «minoranze prevaricatrici» e le denunce di «devianti gender» che hanno fatto la fortuna del generale Vannacci sono le stesse che permeano dozzine di siti Maga e ricorrono in comizi di candidati populisti o podcast di Steve Bannon.
PARTE INTEGRANTE della strategia è l’attacco preventivo alla correttezza woke o, come amano ripetere Musk e Trump, la censura di voci conservatrici. Le denunce martellanti della cancel culture sono copertura giustificante per una soppressione ben più efficace, con forza di legge. La falsa equivalenza che permette al movimento più reazionario e totalitario da quasi un secolo, di ergersi quasi a movimento di liberazione dall’oppressione di illegittime minoranze. Ma dietro la nebbia – o meglio la cortina fumogena – dell’anti woke si sta sviluppando un assalto frontale alla democrazia o per dirla con DeSantis, per «estirpare il pensiero di sinistra» una volta per sempre.
Dalle democrature degli stati rossi ci sarebbero lezioni importanti da imparare sulla transizione a quello che Joe Biden ha definito «semi fascismo».
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