dire “color carne” è discriminatorio

Tratto da Lifegate di Ilaria Chiavacci

Se lo scorso febbraio avessimo aperto il dizionario Devoto Oli, alla voce “color carne” avremmo letto: “Color rosa pallido simile a quello della pelle umana”. Oggi, oltre al Nuovo Devoto Oli, hanno cambiato la loro definizione di color carne anche il Dizionario Garzanti di Italiano, il Nuovo De Mauro per Internazionale, la Treccani e lo Zingarelli-Zanichelli.

Tutto questo è merito di una campagna di comunicazione lanciata da due donne, Cristina Maurelli e Giuditta Rossi, che sono riuscite a spostare un piccolo grande tassello rispetto a quello che consideriamo lo status quo. Cristina Maurelli è un’autrice e regista che si occupa di cinema per il sociale, insegna discipline dello spettacolo all’università e lavora come consulente per le aziende così come Giuditta Rossi, che è una brand strategist e che si occupa di campagne multicanale e branding. Si sono conosciute lavorando a un progetto comune di consulenza e poi sono diventate partner d’affari prima, e partner di attivismo poi.

“Color Carne” è una campagna nata lo scorso febbraio

“Un giorno ho detto a Giuditta che sotto a un abito che indossava un giorno avrebbe dovuto mettere un reggiseno color carne: non appena ho finito di pronunciare quella frase mi sono sentita morire. L’avevo detto proprio io, che mi sono sempre battuta per i diritti e che su questi argomenti ho centrato mille spettacoli teatrali e documentari. Lei si è messa a ridere, perché le succede sempre di andare in un negozio per chiedere qualcosa del suo color carne e ricevere in cambio una cosa rosa, ma per me è stata come un’epifania. Semplicemente non ci avevo mai pensato” racconta Cristina Maurelli a proposito della nascita della campagna. La questione è tanto semplice quanto importante: dando per scontato che la normalità sia avere la pelle bianca, si escludono automaticamente tutti quelli che non ce l’hanno.

“Questa uscita ci ha dato però lo spunto per lavorarci, così  abbiamo messo in pratica il nostro mestiere e abbiamo strutturato una campagna di advocacy integrata e pensata in modo tale che le persone potessero loro stesse dare la propria opinione sulla tematica”, integra Giuditta Rossi. “L’obiettivo era quello di creare un tipo di comunicazione assolutamente non colpevolizzante. Volevamo fare una cosa leggera, che però rivela un tema enorme, ovvero quante cose non vediamo, non sentiamo e diamo per scontate.”

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