Nel decreto Caivano manca tutto quello che serve davvero ai giovani

Cioè un grande piano di riscossa culturale e di sostegno educativo. Il provvedimento del governo Meloni risponde invece con inasprimenti, zero risorse e un approccio punitivo

Articolo tratto da Wired.it

 

È il focus che sembra del tutto appannato. Al netto di qualche misura accettabile e forse perfino inevitabile, il cosiddetto decreto Caivano ce lo saremmo aspettato pieno di cultura, di finanziamenti per centri sportivi, polifunzionali, biblioteche e stanziamenti straordinari per le scuole di tutte le Caivano d’Italia, non solo quella del napoletano. Anzi, questi ultimi ci sono: ammontano a 6 milioni di euro, giudicate voi.

Ci saremmo aspettati – anzi forse no, in fondo non ci saremmo aspettati nulla del genere da questo governo – un piano di riscossa che certo, combinasse anche elementi di inasprimento di pene e misure per garantire la sicurezza. Ma che non dimenticasse di avere a che fare con un pezzo di generazione perduta non per maledizione divina ma perché mancano percorsi alternativi, perché in certe zone del paese da dispersione scolastica è altissima e ne abbiamo contezza da anni (e in questo senso benissimo responsabilizzare i genitori, se serve una causa penale così sia), perché c’è un abominevole modello di disvalori che non so quanto l’ammonimento del questore a un 12enne possa incrinare.

Non è benaltrismo, ed è chiaro che l’arresto in flagranza se si gira con una pistola carica a 17 anni non è uno scandalo, così come la custodia cautelare in caso di fuga. È l’idea di fondo del decreto Caivano – pensare di mandare un segnale esclusivamente mettendo mano al codice penale e di procedura penale – che non basta. Con buona pace di Meloni, non c’è nulla che riguardi la prevenzione. Se non interpretata dal punto di vista dell’eventuale deterrenza, che forse qualche piccolo risultato potrà portare. Ma la prevenzione inizia molto prima e si fa in grandissima parte con altri mezzi: quelli della qualità della vita, del lavoro, della legalità, della cultura, della salute. Con un sistema di diritti e garanzie che nel medio periodo costruiscono un tessuto sociale decente, soffocando le sacche criminali. O almeno cercando di segnare una distanza. Di quella prevenzione non c’è traccia.

Ci sono in sostanza tanti inasprimenti penali e amministrativi, alcune norme – come quelle sul daspo urbano o sul divieto di possedere telefoni cellulari su proposta del questore – di quasi impossibile applicabilità, l’invito a installare app e servizi di controllo parentale e – questo sì – il sacrosanto ritorno a individuare nelle figure dei genitori un bel pezzo della chiave per garantire un percorso educativo decente ai più giovani. Sulla boutade dell’accesso ai siti porno targata Eugenia Roccella, ministra della famiglia, che è entrata e uscita dal decreto, non conviene neanche soffermarsi. Non perché il problema non esista, anzi, ma perché mette insieme così tanti ostacoli sotto tanti punti di vista, dalla privacy ancora all’effettiva applicabilità. Fino allo sforzo di domandarsi se non sia finalmente il caso di parlare di sessualità in modo libero, approfondito e scientificamente documentato proprio a scuola. Così da lasciare il porno al suo ruolo di finzione. Questa dovrebbe essere la logica.

 

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