AI BAMBINI LA MISSIONE DI GINO STRADA

Tratto da L’Espresso di Chiara Sgreccia

«Ma qual è il senso della guerra se si dichiara di combattere contro dittatori e terroristi e poi il risultato finale è che nove volte su dieci è un civile a perdere la vita? Che medico prescriverebbe un farmaco che nove volte su dieci uccide il paziente?». Così si legge in “Diario di un sogno possibile”, l’adattamento per ragazzi, edito da Feltrinelli Junior, del racconto in prima persona della missione del chirurgo di guerra e fondatore di Emergency Gino Strada.


Una missione che parte da Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia con le grandi industrie, gli operai, il partito Comunista, il passato partigiano, e arriva in Pakistan, Etiopia, Thailandia, Perù, Gibuti, Somalia, Bosnia. Fino all’Afghanistan che diventa il simbolo dell’atrocità della guerra, della sua impossibilità di essere arma di difesa dei diritti, perché «è essa stessa terrorismo legittimato, ingiustizia assoluta, violazione irrimediabile dei diritti», scrive Strada nel capitolo in cui ricorda l’inizio dei bombardamenti statunitensi su Kabul.

Il 7 ottobre 2001, quando Emergency era l’unica Ong occidentale a testimoniare l’avvio dell’operazione Enduring Freedom: «C’erano morti nelle strade, gli ospedali erano pieni di gente fatta a pezzi da missili e bombe. La quantità di civili che pagava i costi della guerra era spaventosa, bambini, donne, ragazzi. Tra i feriti, tanti neanche sapevano che cosa fosse successo l’11 settembre a più di 10mila chilometri di distanza».

Secondo i dati che Strada ha ricavato dai registri dell’ospedale, i feriti di Kabul erano per più del 90 per cento civili. Ma non si tratta di una situazione particolare, «è la realtà dei conflitti. Oggi è statisticamente provato che è più sicuro essere un combattente che che un civile».

«Oltre a essere brutale e contraddittoria la scelta della guerra è anche inutile. Come nel caso dell’Afghanistan che Gino aveva voluto prendere come esempio nel libro. Qual è oggi la verità dell’Afghanistan? Duecentoquarantuno mila morti, cinque milioni di profughi, il ritorno vittorioso dei talebani al potere, attentati quotidiani, la comparsa di gruppi fondamentalisti violenti, la fame. La guerra non è mai la soluzione. Ma sempre il problema», scrive Simonetta Gola, responsabile della comunicazione Emergency, seconda moglie di Strada, nella postfazione di “Diario di un sogno possibile” che ha curato. «Il libro serve per far riflettere le nuove generazioni sul fatto che un mondo senza conflitti può esistere. Che si può pensare un’alternativa. I ragazzi non hanno ancora l’inerzia e gli interessi che abbiamo noi ma tutta la vita davanti per provare a cambiare», spiega. Perché «la guerra, come diceva Einstein, non si può umanizzare. Si può solo abolire».

Dopo il 1945 hanno insanguinato il pianeta altri 265 conflitti, con una percentuale di vittime civili che ha continuato a salire: «La guerra noi la prepariamo, compriamo le armi, addestriamo gli eserciti. Dovremmo imparare a preparare anche la pace. Il lavoro da fare è doppio: sia politico, sia culturale. Per questo vorrei che il libro andasse il più possibile nelle scuole», chiarisce Gola. «Gino aveva fatto sua la lezione di Giulio Alfredo Maccacaro: “non basta curare le persone che si ammalano, bisogna anche dire il perché, per evitare che si ammalino nuovamente”. Sappiamo bene che non è una fatalità morire in guerra. E sebbene non sia facile intervenire sulle cause bisogna fare tutto quel che si può». Perché la maggior parte delle conquiste che oggi ci sembrano normali, «come il voto alle donne, la democrazia, la sanità e l’istruzione pubblica per qualcun altro in passato sono state grandi sfide da affrontare. Eppure sono state raggiunte».

Utopia proprio come si legge in “Diario di un sogno possibile” non è il nome dell’assurdo ma quello dei desideri, delle idee di progetti che possono diventare realtà.

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