Vatican Girl riaccende i riflettori su Emanuela Orlandi. Il fratello: «Il Vaticano non vuole indagare»

Tratto da l’Espresso, di Marco Grieco

La docu-serie Netflix su una delle più misteriose pagine della nostra cronaca. Parla Pietro Orlandi: «Non smetteremo mai di cercare la verità»

Quello intorno a Emanuela Orlandi, la giovane cittadina vaticana scomparsa il 22 giugno 1983, è un silenzio che grava da 39 anni. E che, a partire dal 20 ottobre, anche la piattaforma di streaming Netflix illumina con una docu-serie di quattro puntate dal respiro internazionale. “Vatican girl: la scomparsa di Emanuela Orlandi”, già dal titolo suggerisce la volontà di fare di una delle pagine irrisolte della cronaca italiana una storia collettiva, anche grazie alla copertura che il colosso dello streaming mondiale offre, e che gli ha permesso di lanciarla in 160 paesi. Per questo motivo, è stata prevista una versione totalmente in lingua inglese e una mista, con parti originali in italiano e sottotitolate.

Dopo il successo di serie true crime come “The Keepers”, che racconta la misteriosa morte di suor Cathy Cesnik, l’insegnante di letteratura inglese scomparsa presso la Archbishop Kenough High School di Baltimora nel 1969 e ritrovata morta due mesi dopo, ancora una volta Netflix pesca nelle pagine più irrisolte della cronaca nera, dove la ricerca della verità si scontra col muro di gomma delle gerarchie cattoliche. Stavolta lo fa affidandosi a Mark Lewis, il talentuoso regista britannico vincitore di un Emmy per la docu-serie “Don’t F**k With Cats: Hunting an Internet Killer”. E basterebbe solo questo per distanziare “Vatican girl” dalle serie di successo che pescano nell’immaginario collettivo italiano come SanPa e Wanna, rispettivamente su San Patrignano e Wanna Marchi.

Nella scomparsa di Emanuela Orlandi, lo spacciato politico e sociale italiano si intreccia con l’intenzione di allargare le maglie della cronaca: «Forse per gli italiani che guarderanno la docu-serie molte cose torneranno. Ma per chi nel mondo non conosce la storia di Emanuela, sarà fondamentale» spiega Pietro Orlandi, fratello di Emanuela e indefesso ricercatore della verità su sua sorella: «Si tratta di un documentario cronologico, che percorre tappa per tappa le fasi della scomparsa di Emanuela all’ombra del Vaticano. Per me è come rivivere tutto ancora oggi. Perché la scomparsa di Emanuela è stata per noi una dilatazione del tempo, dove il passato è ancora un presente» spiega.

In 39 anni di ricerca e inquietudine, la famiglia Orlandi ha compreso che c’è un silenzio che può fare ancora rumore. Pietro ne è convinto, mentre beve un caffè a due passi da Porta Sant’Anna, uno degli accessi di città del Vaticano prospiciente la chiesa parrocchiale che ha frequentato anche sua sorella. È proprio lì che, nel 2013, papa Francesco pronunciò quelle parole che riaccesero speranze e allargarono il mistero sulla scomparsa di una ragazza che aveva sempre vissuto il Vaticano come casa sua: «Emanuela è in cielo» disse Francesco ai familiari. Per Pietro quelle parole furono un lampo nel buio: «Dopo gli anni di silenzio di Ratzinger, soltanto sentire il nome di Emanuela pronunciato da un Papa è stata una cosa forte. Pensammo subito che Francesco sarebbe stato disponibile al dialogo. Invece abbiamo poi trovato un muro più alto di prima».

Ancora oggi il nome di Emanuela è tabù in Vaticano, e questo la dice lunga sul peso che la scomparsa di una ragazza ha avuto nel rapporto col mondo circostante: «Noi ci sentivamo i bambini più fortunati del mondo: i Giardini Vaticani erano il nostro giardino di casa. Erano gli anni Settanta e io non vedevo l’ora di varcare quel cancello per trovare la calma. Nei primi giorni dalla scomparsa di Emanuela, la realtà circostante era svanita. Solo il Vaticano era il nostro punto certo».

Ma da nido sicuro per la famiglia Orlandi, il Vaticano diventa con gli anni un luogo di sospetti. In “Vatican girl” questo prende la forma di un filo rosso, lungo cui il nome stesso di Emanuela diventa coordinata e toponimo di un luogo parallelo, finora ignoto anche a Pietro stesso: «Con la chiusura del caso nel 1997, la realtà si fa sempre più pesante intorno a me, sono stato più volte redarguito e mi è stato chiesto di non continuare a indagare. Ma il nostro interesse resta sempre lo stesso: arrivare alla verità».

È in nome della verità che Pietro scrive a papa Francesco, ma senza avere risposte, fino a quella lettera privata scritta di pugno dal Papa e consegnata privatamente, brevi manu: «Ha scritto frasi di circostanza, ha espresso vicinanza e preghiera. Eppure non ci ha mai concesso un incontro privato, nonostante ne avessimo fatto più volte richiesta, anche tramite il suo segretario monsignor Fabián Pedacchio – segretario particolare di papa Francesco dal 2014 al 2019, ndr -. Lo abbiamo chiesto anche tramite il segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin. Ma non ci è mai stato concesso». È un Vaticano fatto di porte che si aprono all’esterno e di altre che si chiudono dentro quello raccontato da “Vatican girl”, che secondo Pietro traccia con coerenza la doppia linea della Santa sede sulla faccenda: «Noi abbiamo sempre chiesto riservatezza, ma è stata una scelta del Vaticano dare un’eco mediatica ai passi fatti sul caso di mia sorella. Come quella creata dalla Sala stampa vaticana nel 2019, quando sono state scavate due tombe nel cimitero teutonico». Era il 2019 e, dietro segnalazione anonima, il Vaticano ha scoperchiato due tombe appartenute a due aristocratiche dell’Ottocento, sepolte nello Stato vaticano. Non è stata rinvenuta traccia di Emanuela, ma neppure delle due principesse che sarebbero state lì tumulate. Anzi, la scoperta fortuita di una stanza sotterranea in cemento armato al di sotto delle due tombe, di certo non coeva, ha accresciuto il mistero su quello che era inizialmente apparso come un buco nell’acqua: «Sono state analizzate le ossa rinvenute in un ossario prospiciente: nessuna traccia di Emanuela, malgrado alcuni resti umano siano stati datati persino agli anni Cinquanta» spiega Orlandi.

Ancora oggi Pietro esprime inquietudine di chi non smette di cercare nei gesti. Traccia con ampie falcate il perimetro del Passetto, sbuca a Borgo Pio animata dal vociare dei turisti e dallo svolazzare delle talari nere: «Non mi darò pace fino a quando non saprò qualcosa di più su mia sorella». Pietro sa che, con l’uscita di “Vatican girl”, dovrà anche arginare l’eco di mitomani e 007 improvvisati, come già è accaduto in passato: «Non appena la storia di mia sorella varca i confini dell’Italia, si fanno avanti investigatori alla giornata o semplici curiosi desiderosi di aiutarci. Una volta un gruppo di canadesi mi propose di usare le arti marziali per entrare in Vaticano e parlare direttamente col papa. A volte fanno sorridere, ma ho per tutti un senso di compassione per la vicinanza che dimostrano. Se queste cose non le vivi, è dura immedesimarsi».

E così il rumore mediatico diviene l’altra faccia di un’indagine che per la famiglia Orlandi è una ricerca di resti e di ossa: «Eppure, fino a quando non ne avrò la certezza, per me Emanuela può essere ancora viva!» esclama Pietro. È il paradosso di uno Stato che vive reiterando la venerazione dei resti di un apostolo in un luogo di ritrovamento di duemila anni, ma che non riesce a trovare quelli di una ragazzina risucchiata nel nulla quarant’anni fa. In quel luogo più santo, che tanto Pietro quanto Emanuela pensavano li avesse tenuti al sicuro per sempre, ma che si è poi svelato un altro mondo oltre l’immaginario. Il mondo continua a scorrere qua fuori ma lì, oltre quegli accessi picchettati giorno e notte dalle guardie svizzere, tutto sembra cristallizzarsi nel marmo freddo. Come la storia di Emanuela Orlandi, “Vatican girl” per sempre.

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