Ritratto di Nietzsche

UNA PAROLA AL GIORNO: NICHILISMO

Tratto da una parola al giorno

ni-chi-lì-smo

SIGNIFICATO Atteggiamento filosofico che nega l’esistenza di qualunque valore o verità

ETIMOLOGIA derivato del latino nihil ‘nulla’, col suffisso -ismo.

  • «Non ha valori, non crede in niente, è nichilista».

La nostra, a quanto pare, è l’epoca del nichilismo: «fa parte ormai dell’aria stessa che respiriamo», ha scritto il filosofo Franco Volpi, mentre per Umberto Galimberti è un «ospite inquietante», che affligge tutti ma specialmente i giovani; «si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima».

Ma cos’è precisamente, il nichilismo? La risposta migliore resta quella del suo araldo, Friedrich Nietzsche (1844-1900), colui che lo ha definito «il più inquietante fra tutti gli ospiti» e per primo ne ha annunciato l’avvento: «Significa che i valori supremi si svalutano. Manca lo scopo. Manca la risposta al ‘perché?’». La paternità del termine, in realtà, non spetta a Nietzsche. In precedenza, però, esso era stato affibbiato in modo polemico a diversi pensatori o dottrine ritenuti nullificanti(nichilismo deriva dal latino nihil ‘nulla’) rispetto all’essere, a Dio e quindi ai valori morali, perché era convinzione di molti che se Dio non esiste tutto è lecito; e si definì come ‘nichilista’ il movimento di protesta giovanile e intellettuale sorto in Russia nella seconda metà dell’Ottocento, che contestava radicalmente la cultura e i valori tradizionali.

Con Nietzsche, però, il nichilismo acquista ben altro spessore filosofico: non è un atteggiamento individuale ma la diagnosi di un’epoca, di una condizione umana. Nietzsche non afferma semplicemente che Dio non esiste e dunque non ci sono valori: dice che i valori «si svalutano» e che «Dio è morto» – quindi un tempo era vivo, nel senso che la sua presenza permeava e muoveva le menti, i cuori e le società. Ora invece «la fede nel Dio cristiano è divenuta inaccettabile», e ciò proprio in virtù di una «bimillenaria educazione alla verità» promossa dal cristianesimo stesso: grazie, cioè, al «concetto di veracità» connesso alla moralità cristiana, fattosi in epoca moderna spirito scientifico, il quale alla fine riconosce l’interpretazione filosofico-religiosa del mondo come «opera di falsari».

Ma il nichilismo, secondo Nietzsche, ha radici ancora più profonde: esso infatti «non è una causa, ma solo la logica della decadenza», una decadenza iniziata col dualismo socratico-platonico che ha opposto un mondo ideale e razionale a quello reale, svalutato e bollato come ‘apparente’. Questa fiducia nell’esistenza di un mondo di Verità attingibile dal pensiero, unita all’etica cristiana fondata sulla repressione degli istinti vitali, ha condotto l’Occidente a una condizione di profonda malattia, che diventa nichilismo quando gli umani comprendono che le basi su cui si fondava questa visione razionalistica e rassicurante della realtà sono false e illusorie, che «non v’è nel mondo assolutamente nulla di divino, anzi neppure qualcosa di razionale, di pietoso o di giusto secondo l’umana natura: (…) troppo a lungo ce lo siamo interpretato in maniera falsa e menzognera (…), secondo un bisogno». Un bisogno «umano, troppo umano» – ma il mondo non esiste per compiacere i nostri desideri.

Vivere in un universo totalmente disincantato – senza Dio, senza scopo, senza verità – produce la forma peggiore di nichilismo: quello passivo, frutto di disperazione, perché è impossibile credere alla vita in un mondo che la scienza pone in balìa del puro determinismo naturale. In una tale condizione si può solo volere il nulla, come nella filosofia di Schopenhauer. Ma c’è una via d’uscita, per Nietzsche: accettare «l’esistenza, così com’è, senza senso e scopo»; trasformare il nichilismo passivo in nichilismo attivo, rivendicandolo come punto di forza. Per questo, però, servono esseri umani nuovi, che sappiano sopportare di essere essi stessi il fondamento dei valori, senz’alcuna garanzia superiore; serve un Übermensch, un ‘oltreuomo’ – ideale che non ha nulla da spartire con le ridicole caricature superomistiche partorite dal Novecento: «Quali uomini si riveleranno allora i più forti? I più moderati, quelli che non hanno bisogno di articoli di fede estremi, quelli che non solo ammettono, ma amano una buona parte di caso, di assurdità, quelli che sanno pensare all’uomo con una notevole riduzione del suo valore, senza per questo diventare piccoli e deboli». Un tale essere umano sarebbe in grado non solo di sopportare, ma di desiderarel’idea di un eterno ritorno dell’uguale, ossia la ripetizione, per «innumerevoli volte», di «ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa» della propria vita.

È questo che siamo, quasi un secolo e mezzo dopo Nietzsche? Stiamo passando dal nichilismo passivo a quello attivo, diventando creatori oltreumani di «nuove tavole di valori» post-metafisiche, che «dicono sì alla vita»? O siamo più che mai impelagati nel nichilismo più nero e indifferente? Oppure anche il nichilismo non è che un’idea umana, troppo umana, un’idea come un’altra? Lasciamo che sia ancora lo stesso Nietzsche a rispondere: «E ammettendo che anche questa sia semplicemente un’interpretazione (…), ebbene tanto meglio».

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