07 Lug RIVOLTA IN FRANCIA: RABBIA CHE NON NASCE DALLA POVERTÀ
Tratto da vita.it
Tommaso Vitale, professore associato di Sociologia all’Istituto di Studi politici di Parigi: «La geografia delle rivolte, la violenza, ha sorpreso tutti. Nessuno aveva idea della forza del portato generazionale di questa rabbia che non si può giustificare con la mancanza di riforme o il tasso di povertà perché la Francia ha un welfare che funziona. Ma mancano adulti credibili per i giovani e la rabbia nasce anche dalla percezione della disuguaglianza e dalla condizione di forti discriminazioni su base razziale, religiosa e culturale»
Nahel, 17 anni, di origine franco-algerina, è stato ucciso lo scorso martedì 27 giugno da un poliziotto che lo aveva fermato alla guida dell’auto. Un video mostra due agenti di polizia che tentano di fermare una mercedes gialla. C’è un breve discussione mentre l’auto rallenta ma non si ferma. Poi uno degli agenti dice “ti pianto una pallottola in testa” e punta l’arma contro il conducente attraverso il finestrino e spara. L’auto prosegue la sua marcia per pochi metri prima di schiantarsi. Nella prima versione della polizia si era detto che il veicolo aveva provato ad investire gli agenti, versione dei fatti poi smentita dalle immagini. L’omicidio è avvenuto a Nanterre, comune francese situato a nord-ovest di Parigi. La maggior parte delle banlieue, nel Paese sono 1500, è abitata dalla seconda e terza generazione di immigrati da Paesi ex colonie. La morte di Nahel ha fatto sprofondare il Paese nel caos. Da giorni le proteste vanno avanti non solo a Parigi, ma anche Lione, Tolosa, Marsiglia, Bordeaux, Amiens, Digione. Sono circa 3.200 i fermi scattati in Francia da quando sono esplose le proteste e i disordini, 200 le città coinvolte megli scontri con incendi, devastazioni, saccheggi. C’è qualcosa che continua a sfuggire di questa rivolta collettiva, qualcosa che si fa fatica a decodificare. VITA intervista, Tommaso Vitale, professore associato di Sociologia all’Istituto di Studi politici di Parigi (Sciences Po), dove è anche direttore del master “Governing the Large Metropolis”.
Professore, che sta succedendo in Francia?
La premessa è che non ne ho la minima idea, faccio lo scienziato sociale e prima di esprimere un’interpretazione bisogna fare ricerche, raccogliere i dati. Non so ancora quale sia l’interpretazione corretta, ma posso dire che certe motivazioni sicuramente non tengono.
Quali?
Alcuni sostengono che dopo le rivolte del 2005 in Francia niente sia cambiato, che nei quartieri più poveri delle città le condizioni di vita siano durissime, e questo, in qualche modo, basterebbe per spiegare la rabbia. Io trovo queste considerazioni imbarazzanti.
In che senso?
Il welfare francese è potente e redistributivo. Dal 2005 sono stati fatti molti interventi in questa direzione come il social housing o il miglioramento dei trasporti e dei luoghi.
Parliamo di un Paese dove le spese per l’assistenza alla povertà e disoccupazione raggiungono i 40 miliardi annui
Ed è per questo motivo che la spiegazione legata all’abbandono delle periferie non è opportuna, da sola non tiene.
Ammettendo, come ha fatto lei, che non abbiamo ancora tutti gli elementi per decodificare quello che sta succedendo, quali sono però i temi che dobbiamo prendere in considerazione, su cui ci dobbiamo soffermare, per iniziare a fare una riflessione seria che non banalizzi le cause reali di quello che sta accadendo?
Io partirei da due fatti. Per primo soffermerei l’attenzione sul persistente élitismo del sistema scolastico francese. In Francia ci sono ottime scuole da un lato e dall’altro scuole con un livello molto mediocre. Ecco questa cosa è percepita dalle persone come una grandissima ingiustizia. La scuola in Francia è un problema: o prepara molto bene o prepara molto male. Non ci sono vie intermedie.
Qual è il secondo fattore a cui prestare attenzione?
Il secondo fattore di rabbia, a mio avviso, è legato alle condizioni di forti discriminazioni su base razziale, religiosa e culturale. Differenze molto poco accettate da ambienti politici ed intellettuali. Certo, ci sono alcuni tentativi di sviluppare politiche di inclusione per contrastare le discriminazioni. Ma direi che questi sono comunque abbastanza timidi.
La disuguaglianza ha scatenato la rabbia?
La disuguaglianza è percepita come una forte ingiustizia. Basti pensare al sistema produttivo: ci sono pochi posti di lavoro altamente qualificati, e quindi se non si ha la possibilità di accedere a buoni livelli di istruzione, si riducono sistematicamente le opportunità di accedere a quei posti. In ogni caso la Francia ha un livello di disoccupazione basso e una redistribuzione del valore alta. Per questo non possiamo fermarci a cercare le ragioni delle proteste solo negli aspetti “materiali”. Non ci sono solo i soldi. C’è una generazione che ha delle aspettative forti, nonostante il sistema dualista, è ben scolarizzata, vive in un momento di piena occupazione e crescita economica e chiede che la promessa repubblicana sia mantenuta. Questa generazione chiede anche interlocutori e mediatori ma non trova niente. I ragazzi non trovano interlocutori adulti nella politica e quindi vedono lo Stato solo attraverso il comportamento della polizia o in parte in una scuola che non li tratta bene. Sia chiaro, non mancano politiche giovanili, sportive e culturali inclusive. Non mancano ma le politiche da sole non bastano.
Quindi non è una questione di quello che c’è, ma di quello che ancora manca
Mancano adulti credibili. Poi c’è un’altra questione, che riguarda il caso specifico, e che non può non essere presa in considerazione. C’è stato un moto di menzogna che nessuno può più permettersi a fronte dell’estrema visibilità dei social media. Tutti hanno visto qual è stata la dinamica dell’omicidio tramite il video diffuso online. E quindi le frasi ambigue e prudenti per raccontare il fatto da parte della politica sono state interpretate come una fortissima menzogna. Le immagini d’altronde sono chiare: la distanza tra la macchina e il poliziotto è evidente. E qui quindi c’è una rabbia che non ha solo una spiegazione culturale. Le bugie fanno arrabbiare e fanno arrabbiare i giovani.
E c’è una rabbia legata al razzismo?
La rabbia nasce dalla percezione della disuguaglianza e la disuguaglianza è molto legata all’umiliazione del razzismo. Ma in ogni caso è ancora troppo presto. Quando ci sono esplosioni di rabbia di questa portata è necessario discriminare: ci sono alcune cose legate alla rivolta generazionale e poi una serie di micro regolamenti di conti locali che possono essere anche molto violenti. In linea generale possiamo dire che si esprime una fortissima protesta e dentro questa protesta trovano spazio le micro ribellioni.
Da dove si può ripartire?
Le indagini più sistematiche che abbiamo ci dicono di una domanda profonda, di una richiesta di riconoscimento. Ma non è la richiesta di riconoscere l’identità religiosa o la composizione multirazziale del Paese. Le persone che protestano chiedono che sia riconsociuto il fatto che in Francia esistono sia razzismo che discriminazione. E sia la classe politica che la classe intellettuale francese fanno molta fatica a parlarne. Ciò non significa, come detto prima, che mancano dispositivi per misurare il livello di razzismo, ma le persone non percepiscono né questi dispositivi e né le politiche in atto per contrastarlo come efficienti. Quindi chiedono che si parli molto di più del loro vissuto discriminato, chiedono anche che la sofferenza dovuta alle discriminazioni sia considerata di più. La Francia è uno Stato che fatica a dire il suo fallimento proprio perché in parte è uno stato che funziona. E quindi nei più esclusi il risentimento che si crea è fortissimo.
L’abuso di violenza della polizia in Francia non è un fatto nuovo, così come il suo razzismo. Solo nel 2022 è stato registrato un numero record di 13 morti durante i controlli stradali
Già nel 2018 e nel 2019 le proteste contro l’uso delle violenza da parte della polizia erano state di massa. Il problema poi è rimasto sottotraccia con il Covid perchè i momenti di aggregazione si sono ridotti e c’è stato il tentativo di convogliare la rabbia sulla riforma delle pensioni. La geografia delle rivolte, la violenza, ha sorpreso tutti. Nessuno aveva idea della forza del portato generazionale di questa rabbia. E ci metteremo un po’ a capirla bene. E io non sottovaluterei neanche la rabbia che attraversa il mondo sociale, quindi un mondo che è vicino ai giovani. Sono settori in sofferenza. Non mi stupirei se questi mondi non fossero attivi nella violenza ma fossero comunque parte di quelli che hanno un sentimento di rabbia forte nei confronti del governo.
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