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Procreazione assistita, a 20 anni dalla legge 40 quali criticità restano

Tratto da La Repubblica, articolo di Noemi Penna

Nonostante la Pma sia entrata nei Lea, e dunque sia garantita con pagamento del biglietto, ci sono profonde diversità regionali e difficoltà d’accesso. Che cosa resta in piedi della legge 40.

A vent’anni dalla legge 40 sulla procreazione assistita, da gennaio la Pma è entrata ufficialmente a far parte dei nuovi Livelli essenziali di assistenza garantiti. Questo vuol dire che dal primo aprile, con l’entrata in vigore delle nuove tariffe per la specialistica ambulatoriale, i reparti di ginecologia e ostetricia dei centri pubblici o privati ​​convenzionati di ogni regione dovrebbero offrire alle coppie che hanno problemi di fertilità la possibilità di accedere alla fecondazione assistita totalmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale, pagando un ticket. Ma il condizionale è d’obbligo, così come è evidente un vuoto normativo non in grado di garantire pari diritti e opportunità a tutti coloro che desiderano un figlio, nonostante la denatalità ei livelli sempre più bassi di fertilità.

I precedenti Livelli essenziali di assistenza risalivano al novembre 2001 e non garantivano il diritto delle persone, tant’è che “già da tempo nel pubblico le coppie infertili possono accedere alla procreazione medicalmente assistita ma solo in deroga, con percorsi non codificati, a discrezione dei singoli reparti e con pochi centri organizzati per farlo, con regole che cambiano da regione a regione. Ora, con l’ingresso nei Lea, tutti gli ospedali dovrebbero attrezzarsi, ma servirà tempo e soprattutto servono fondi che al momento non ci sono”, spiega a Salute la dottoressa Paola Anserini del Policlinico San Martino di Genova, nonché presidente della Società italiana di fertilità e sterilità Sifes.

Si può andare in un’altra Regione se la propria non dà accesso

Questa novità implica che, nel caso in cui una coppia non possa accedere al percorso di Pma necessario a causa della mancanza di erogazione in una specifica Regione o di lunghe liste di attesa si ha anche il diritto di sottoporsi allo stesso trattamento in un’altra regione , a spese di quella di residenza. “In questi vent’anni, la Legge 40 è stata più volte superata dalle sentenze della Corte costituzionale che hanno senz’altro migliorato le condizioni di applicazione – prosegue la ginecologa – , anche se restano una serie di problemi sempre più evidenti su chi può accedere al servizio, sulla gestione e conservazione degli embrioni non impiantati o non utilizzabili, così come sulla banca dei gameti, che attualmente non esiste e porta sempre più persone a rivolgersi all’estero”.

Grazie alle battaglie legali che hanno portato anche al riconoscimento dell’eterologa, ovvero alla fecondazione con gameti donati, con la Pma in questi vent’anni sono nati 217 mila bambini  ma non è possibile conoscere l’esatto numero di embrioni inutilizzabili attualmente crioconservati. Prima delle modifiche del 2009 alla legge 40 vi era “il divieto di creare più di tre embrioni e l’obbligo di impiantarli tutti contemporaneamente. Ora questa parte è stata modificata, per cui si può trasferire solo il numero opportuno, con una diagnosi genetica preimpianto che ci porta ad escludere quelli non sani. Questo ha ovviamente portato a un accumulo di embrioni inutilizzati o inutilizzabili che sono lì bloccati perché la legge non dispone cosa farne”.

3000 euro per gli ovociti e 900 per gli spermatozoi

Questo materiale genetico potrebbe essere donato, utilizzato per scopi scientifici, così come arriverà inevitabilmente il momento di eliminarlo. “Altro punto è la donazione dei gameti, che in Italia si può eseguire gratuitamente solo in Toscana mentre nelle altre regioni i donatori devono pagarsi esami e terapie, e la cui scarsità porta a spendere milioni di euro per l’acquisto da biobanche estere”. Io costi? “La media è di 3 mila per gli ovociti e 900 euro per lo sperma. Già solo rendendo gratuiti gli esami si potrebbe iniziare a contare anche su donatori italiani. Un’altra strada importante potrebbe essere una campagna di prevenzione alla fertilità femminile attraverso la preservazione dei propri ovociti, procedura che oggi si può fare solo privatamente con costi intorno ai 5 mila euro, che a sua volta potrebbe diventare una fonte di donazione di gameti non utilizzati”, propone Anserini.

Le indagini sull’embrione a spese delle coppie

A esortare “un censimento del numero degli embrioni non idonei a una gravidanza e attualmente crioconservati presso i Centri di procreazione medicalmente assistita, e di conoscere il destino degli embrioni che risulteranno essere in stato di abbandono” è anche l’associazione Coscioni. Come spiega l’avvocata Filomena Gallo , “abbiamo inviato una richiesta urgente al ministro Orazio Schillaci per intervenire su queste critiche. In particolare chiediamo una modifica al decreto che governa la raccolta dati del Registro nazionale Pma, così come di inserire nei Lea anche le indagini diagnostiche sull’embrione, che invece sono ancora a carico delle coppie, nonostante la loro importanza clinica”.

Le criticità che restano

Saranno trascorsi anche vent’anni da quel 19 febbraio 2004 in cui è stata firmata la legge 40 ma “sono ancora tante le critiche presenti, oltre ai divieti ancora in vigore che impediscono a molte persone di diventare genitori e di fare una famiglia, ea tante altre di beneficiare dei progressi della ricerca su patologie incurabili”, aggiunge l’avvocata, che al momento sta assistendo una donna nella richiesta “per ottenere l’autorizzazione del tribunale ad accedere alla Pma da single, cosa che al momento viene preclusa dalla legge italiana , che esclude anche le coppie omogenitoriali e la gravidanza solidale per altri”. L’Associazione Coscioni sta promuovendo “diversi ricorsi giudiziari, a sostegno delle coppie che hanno embrioni crioconservati non idonei a una gravidanza, aiutando il tribunale li autorizzi a donarli ai centri di ricerca italiani” e, seguendo il modello adottato da altri paesi da cui importiamo i gameti, “si dovrebbero includere indagini cliniche diagnostiche di preimpianto e rimborsi adeguate per le donatrici, sempre nel rispetto del divieto di commercializzazione, conforme alle norme comunitarie superiori in vigore in tutta Europa. Insomma – conclude Gallo – , la strada da fare è ancora lunga”.

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