Politica minimal per cattolici light: dall’omologazione all’irrilevanza

Tratto da Lo Spiffero, articolo di Eusebio Episcopo

Il discorso dell’arcivescovo di Torino Repole è piaciuto a tutti gli schieramenti. E ciò dovrebbe far riflettere. Addio ai principi non negoziabili oggi trionfa il relativismo e la soggezione temporale. Il novarese Ciampanelli sempre più in vista alla corte di Francesco

L’intervento dell’arcivescovo di Torino Roberto Repole all’incontro con i politici ha suscitato unanime apprezzamento e ampio plauso in tutti gli schieramenti e questo già dovrebbe inquietare. Benedetto XVI ne era ben conscio: «Se avessi continuato a ricevere soltanto consensi, avrei dovuto chiedermi se stessi veramente annunciando il Vangelo». Alcune esortazioni dell’arcivescovo appaiono del tutto generiche – la politica come più alta forma di carità, cercare ciò che unisce, affrontare i problemi e i disagi delle persone, combattere le diseguaglianze, riaffermare la laicità ecc. – affinché «chi si impegna in politica, oltre il consenso, metta al centro il bene della persona in tutte le dimensioni sociali: lavoro, istruzione, sanità».

Questi temi, pur importanti e che uniscono i cattolici schierati sui vari fronti non riescono tuttavia a farli uscire dalla marginalità che li affligge da anni e che al massimo li vede come estenuati eredi di una grande tradizione. Perché? La possibile unità dei cattolici in politica è un obiettivo sempre valido ma che si declina in modo diverso nelle varie epoche. Il cattolico che oggi ancora voglia caratterizzarsi come tale in politica ha la chiara consapevolezza – a meno che si voglia fare finta di niente – che è presente una spaccatura verticale la quale, prima di essere politica, è teologica. Tra coloro che parlano di ecologia, arcobaleno e di Madre Terra e quelli che parlano di vita, famiglia, homeschooling c’è una comprensione molto diversa della fede, della politica, della realtà stessa. Gli esempi sono molteplici e rinviano a due paradigmi teologici e a due sensibilità ecclesiali e civili diversi, se non opposte, che i vescovi tacciono per amor del quieto vivere. I primi considerano una strumentalizzazione ideologica e di potere se i cristiani cercano di plasmare le leggi e, in nome della autonomia dell’ordine temporale, rifiutano una presenza visibile e dottrinalmente attrezzata. I secondi, invece credono che la politica abbia per essenza bisogno della religione cattolica e che l’ordine sociale e il bene comune non si reggano da soli.

Quello che colpisce è come la consapevolezza di questa dicotomia sembra mancare del tutto – o anche qui si fa finta di niente – nei vescovi e nei pastori. Solo vaghi accenni per incidens nel discorso dell’arcivescovo sono dedicati a temi come il fine vita, l’aborto o la libertà della scuola che rinviano ai famosi – e oggi impronunciabili – “principi non negoziabili”: la tutela della vita in tutte le sue fasi, il riconoscimento e la promozione della struttura naturale della famiglia, il diritto dei genitori a educare i propri figli. Tali principi non sono verità di fede ma, come ben spiegava Benedetto XVI, fondano e sorreggono tutti gli altri e sono inscritti nella natura umana stessa. Per i vescovi non aver preso in mano quella bandiera ha avuto e avrà come conseguenza la condanna dei cattolici all’omologazione prima e all’insignificanza poi, generando un processo inarrestabile: trovarsi uniti quando si parla di fragili, anziani e disabili è utile e meritorio ma anche facile, più difficile – ed è qui che dovrebbe situarsi l’insegnamento dei vescovi – quando si parla di bioetica. Eppure, su tali temi il Magistero è sempre stato chiaro, senza necessità di scomodare il teologo della liberazione Gustavo Gutiérrez. Per l’arcivescovo il cattolico può stare in ogni partito ma con un proprio «stile». Che è forse un po’ poco ma il minimalismo, anche su questo fronte, è la cifra del suo episcopato.

In Francia è passata al Senato – voluta dal presidente Emmanuel Macron – la proposta di inserire il diritto all’aborto nella costituzione. Sentiamo già levarsi le voci di quei cattolici progressisti che si dichiareranno a favore in nome della laicità, dell’autonomia dei politici, del no all’integralismo e all’identitarismo e di una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale – nociva per la stessa vita democratica – con i vescovi muti o ammutoliti. Finora l’unico a parlare è stato l’ex arcivescovo di Parigi, Michel Aupetit, rimosso dal papa in seguito a calunnie e insinuazioni rivelatesi del tutto false.

Come false si sono rivelate le notizie diffuse, con enorme clamore mediatico in tutto il mondo, quando nel 2008 in Canada, si disse che erano stati scoperti i «collegi cattolici dell’orrore» in cui furono lasciati morire un numero imprecisato di bambini, gettati poi in enormi tombe collettive. Fu istituita una commissione indipendente d’inchiesta che ha sezionato tutte le opere cattoliche del Paese concludendo che nei collegi religiosi il tasso di mortalità era pari a quattro decessi all’anno per ogni mille bambini, soprattutto per tubercolosi. Durante la visita in Canada nel 2022 il premier Justin Trudeau chiese che il papa si recasse in un villaggio – dove si sospettava fossero avvenuti i gravi fatti – a chiedere scusa in nome della Chiesa alle popolazioni. Dopo aver effettuati vari scavi nella località incriminata non sono stati rinvenuti resti umani.  L’ondata di odio anticattolico aveva provocato intanto la profanazione e l’incendio di 96 chiese.

Mercoledì scorso il Santo Padre ha presieduto l’udienza generale in sala Nervi ma, non ancora ristabilito dall’influenza, ha incaricato di leggere la sua catechesi all’emergente prelato novarese monsignor Filippo Ciampanelli, 45 anni, ordinato nel 2003, diplomatico nella Nunziatura di Georgia e Bielorussia e dal 2020  in servizio presso la Segreteria di Stato.

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