Meloni

Pirateria di Stato. L’ultima invenzione di Meloni

Articolo di Silvio Lavalle

Del protocollo sulla deportazione di migranti in Albania siglato da Meloni e Edi Rama, primo ministro albanese, si sa ancora poco, ma quel che si sa, per metodo e per merito preoccupa molto. Il metodo è ancora una volta quello dell’improvvisazione, del proclama e dello slogan, in assenza di un approccio strategico e di una ricerca di risposte vere e di carattere strutturale al fenomeno migratorio. Quanto al merito, i due primi ministri hanno annunciato in conferenza stampa la firma di un protocollo che prevede la costruzione, a carico dell’Italia, di un centro di prima accoglienza per migranti e di un centro per il rimpatrio (CPR). Le strutture, 70 km a nord di Tirana, saranno sotto la nostra giurisdizione e gestite da nostro personale. In pratica l’Albania metterà a disposizione il proprio suolo e, soprattutto, l‘extraterritorialità. Il centro ospiterà solo naufraghi di sesso maschile “non fragili”. Delle loro famiglie, delle donne e dei minori non è chiaro il destino. Flussi previsti: circa 39.000 persone all’anno, raccolte in mare da navi delle nostre Guardia Costiera, Guardia di Finanza e Marina Militare.
Dal centro di prima accoglienza al CPR il passo sarà breve (20 chilometri) ma fatale per quella grande maggioranza dei migranti a cui non sarà concessa nessuna delle forme di protezione vigenti e che dovrebbero essere rimpatriati, non si capisce come e da dove. Avvio del progetto: primavera del 2024.
Insomma si andrebbe in mare aperto a caccia di migranti da deportare, qualcosa di simile, per il suo carattere piratesco, ad un’altra vecchia e celebre  idea di Meloni: quella di bombardare le imbarcazioni dei migranti in mezzo al Mediterraneo.
L’unica logica che si ravvede in tutto ciò sembra essere quella di tenere, almeno per un po’, quei migranti fuori dal territorio italiano, concentrandoli in un paese complice, il più possibile al riparo da ingerenze umanitarie, giornalistiche, legalitarie. Una soluzione che ricalca quella già adottata con i lager libici, ma in apparenza più decente, e con un partner più collaborativo.
I deportati in attesa di rimpatrio eventualmente evasi dall’hot spot o dal CPR, invece di turbare i sonni dei nostri bravi concittadini, scenderanno in Grecia o vagheranno nei Balcani, o magari risaliranno fino all’Austria…(tanto meglio?).  Quanto a quelli che risulteranno titolari di diritto alla protezione, aspetteranno, in un surreale va e vieni di navi militari, che li si riporti in Italia e, una volta lì, come sempre, si vedrà.
Sul versante albanese un Rama spericolato ed in cerca di ruoli sulla scena europea, ha dichiarato, coniugando franchezza e falsità “Non risolveremo il problema dell’immigrazione, ma quando l’Italia chiama, l’Albania risponde”.
L’Unione Europea, già allarmata dal recente tentativo inglese di deportare i migranti in Rwanda, nel chiedere chiarimenti, premette che questa dell’Italia “sembrerebbe una cosa diversa”, e la premessa suona come un ammonimento. Chiarimenti hanno chiesto anche i ministri e gli alleati di governo, scavalcati da Meloni.
In attesa di un auspicabile dietrofront per la palese illegalità del progetto, bisogna registrare ancora una volta l’inconsistenza politica di Meloni e dei suoi, e l’incapacità di avviare vere politiche per l’immigrazione lavorando in Europa per il superamento del regolamento di Dublino, e in Italia per la programmazione di flussi legali, per l’accoglienza, per la formazione e l’inclusione sociale.

Silvio Lavalle

Crediti immagine: Autore Mauro Biani

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