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Minori stranieri non accompagnati: l’Europa alla prova dei diritti

Tratto da Valigiablu, articolo di Angela Gennaro

‘Ho mia madre e tre fratellini a Kabul che dipendono da questo viaggio, fallire non era un’opzione’. Ahmad (nome di fantasia) ha 16 anni. In Europa ci arriva dall’Afghanistan, per dieci volte prova a saltare il muro del porto di Patrasso, in Grecia. Viene anche morso dai cani delle guardie. Ma alla fine ci riesce. E mentre lo fa, si riprende con il suo cellulare.

Piedi, scarpe da ginnastica nere, pantaloni dello stesso colore sbiaditi, un filo azzurro che passa sopra un piede. Le gambe sono appoggiate a una sbarra di metallo, c’è un rumore intenso, potrebbe essere quello di un aereo o di una nave. Il telefonino si alza, ma ancora non si capisce bene dove siamo, uno scheletro di ferro e l’aria che scorre, sembra per un attimo di essere in volo. Il telefonino si abbassa e finalmente è chiaro cosa sta succedendo in questo video: l’asfalto scorre veloce e la ruota di un camion gira alla stessa velocità. Il telefonino torna sulle sbarre che stanno sotto al camion e la camera si gira verso chi lo tiene: la testa piegata in una posizione innaturale per via del poco spazio, faccia sbarazzina, capelli a spazzola e due baffetti poco credibili. Ahmad guarda in camera e per un secondo sorride. Finalmente ce l’ha fatta.

A raccontare la sua storia in “Perdersi in Europa. Senza famiglia”, edito da Altreconomia, è Fausta Omodeo, ex professoressa universitaria di biochimica. Da quando è in pensione fa la volontaria nel progetto Arca, realtà storica di Milano per le persone “vulnerabili” della città. Un mondo di persone là fuori che, come Ahmad, sfuggono ai servizi, transitanti o invisibili.

Con “le sue amiche”, come dice lei, Fausta si è inventata un servizio di strada con alcune case di emergenza: la sera alla stazione di Milano sono sempre in due o in tre, a cercare persone, principalmente migranti, in difficoltà. Nel 2020 sono diventate un’associazione, Reti Milano, che continua a fare servizio in strada, ma che riesce a dialogare con il Comune e tutti i servizi che si occupano di migrazione e di primissima accoglienza in città. Mantengono lo spirito garibaldino degli inizi e nell’eventualità di casi delicati, minori o famiglie con bambini, piuttosto che lasciarli per strada si attiva una chat per trovare un riparo temporaneo.

Oggi Ahmad è in Germania, sta seguendo un percorso di integrazione e il suo viaggio è stato un successo, ma così non è per molti minori. Da tempo ormai la situazione a Milano, per i minori stranieri non accompagnati, è fuori controllo. E non solo lì.

Almeno 18mila minori migranti non accompagnati scomparsi in Europa tra il 2018 e il 2020

Attualmente in Italia ci sono quasi 22mila minori stranieri non accompagnati (MSNA) e nella maggior parte, come Ahmad, sono ragazzi adolescenti. Dall’estate scorsa resta uno dei numeri più alti mai registrati dal 2015.

Almeno 12 al giorno scappano dai centri e scompaiono. Le loro vite sono al centro del lavoro del gruppo Lost in Europe – un pool di 28 reporter di 14 paesi – che si occupa di non perdere traccia delle storie di questi ragazzi e ragazze, anche molto piccoli, troppo spesso invisibili in tutta Europa. Con una raccolta dati raccolti in 30 paesi europei e analizzati da esperti e data journalists, Lost in Europe ha scoperto che almeno 18mila minori migranti non accompagnati – 17 al giorno – sono scomparsi dopo essere arrivati in Europa tra il 2018 e il 2020.

E sono almeno 289, secondo l’Unicef, i bambini e le bambine morti o scomparsi nel solo 2023 mentre tentavano di percorrere quella che è tra le rotte migratorie più pericolose al mondo, quella del Mediterraneo centrale: 11 bambini morti o scomparsi ogni settimana. Quasi due ogni giorno.

Un lavoro di giornalismo investigativo e collaborativo, quello di Lost in Europe, che prova a rispondere a domande cruciali: quali sono le rotte che utilizzano i minori stranieri non accompagnati per raggiungere l’Europa? Quali i pericoli che corrono? L’Unione Europea è davvero in grado di accoglierli e proteggerli?

Dal Mediterraneo centrale e dai confini tra Italia e Francia, dalla Bosnia alla Grecia, dal Kosovo con il suo contrabbando di minorenni, dai paesi del nord Europa e la realtà dei bambini vietnamiti trafficati, passando per gli orfani ucraini contesi. E dalla situazione nelle maggiori città italiane, dove il sistema di accoglienza è da tempo sotto pressione. A Roma – lo denuncia la società civile ma anche i sindacati di polizia – passano giorni nei commissariati. Anche con il covid, a dormire su una panchina sotto gli occhi di chi passa da lì per un passaporto o una denuncia.

L’azione del governo

Nell’estate 2023, quella in cui a Lampedusa si sono registrate in un solo giorno fino a 7mila persone arrivate dal mare, i comuni, cui è in capo l’accoglienza di chi ha meno di 18 anni, hanno lanciato un allarme a chiare lettere: “Non ci sono più posti”. L’Italia di fatto fallisce nell’attuazione della Convenzione dei diritti dell’infanzia. Il governo ha puntato il dito contro la legge 47/2017, la cosiddetta legge Zampa, che prevede un percorso di accoglienza e integrazione rafforzata (quindi più costoso) per il migrante bambino, che non è possibile respingere, rimpatriare o espellere.

E il dibattito si è concentrato sui presunti ‘falsi minori’, ovvero coloro che, maggiorenni, dichiarano di avere meno di 18 anni. Un fenomeno i cui dati sono quantomeno difficili da raccogliere. Mentre i mali del sistema di accoglienza, per adulti e non, proviene piuttosto, a detta per esempio dell’ARCI, dalla totale – e reiterata da tutti gli ultimi governi – mancanza di programmazione pure prevista per legge.

“Mostri giuridici”

Joof Ousaineu non ha ancora compiuto neppure 16 anni quando sbarca in Sicilia. A bordo del barchino che ha attraversato il Mediterraneo centrale era il più piccolo, o almeno così gli sembrava. Un viaggio da incubo, per lui, che racconta di aver sofferto il mal di mare per tutto il tempo e che, al momento dello sbarco, si è pure passato una notte in ospedale per disidratazione. Da ormai otto anni lotta per dimostrare la sua innocenza. La giustizia italiana lo accusa di aver guidato quel barchino, quindi di traffico di esseri umani. Non solo: inizialmente lo ha detenuto e processato come maggiorenne. La radiografia del polso cui è stato sottoposto allo sbarco diceva così, d’altro canto. “La legislazione di emergenza in tema di immigrazione produce mostri giuridici”, spiega l’avvocata di Ousaineu, Cinzia Pecoraro.

Secondo il cosiddetto decreto ‘Cutro 2’ del 6 ottobre scorso, in momenti di emergenza, con alti numeri di arrivi di persone, le procedure per l’accertamento dell’età potranno essere accelerate. Sì al ricorso più immediato a metodologie come la radiografia del polso che ha portato Joof, minorenne, in un carcere per adulti per quasi un anno. Sì quindi a metodologie invasive, con margini di errore di almeno due anni e che fino a questo momento la legge Zampa del 2017 aveva escluso fermamente come parametro unico, richiedendo invece commissioni multidisciplinari e l’esame invasivo solo come ultimo step. Cinque – sì, cinque – sono i giorni che la persona che si dichiara minorenne avrà per presentare eventuale ricorso.

E ancora. Chi ha meno di 18 anni ma più di 16 potrà essere ospitato in centri per adulti fino a un massimo di 3 mesi, sempre in contesti di “grave crisi migratoria”. I diritti costano, e così si interviene sulle spese per l’accoglienza dei MSNA prevista dalla legge Zampa, a tutele rafforzate nel “superiore interesse del minore”. Mentre l’Italia negli ultimi mesi si è vista condannare più volte dalla Corte europea per i diritti umani proprio per come accoglie i più piccoli e le più piccole: per aver trattenuto una minorenne, vittima di abusi, in un centro per adulti, per esempio. O per aver accolto con “trattamenti inumani e degradanti” e trattenuto illegalmente, anche per lungo tempo, nell’hotspot di Taranto, alcuni adolescenti tra i 16 e i 18 anni non compiuti arrivati in Europa da Gambia, Guinea, Senegal, Mali, Costa d’Avorio e Bangladesh.

E poi, mentre l’asticella dei diritti umani si abbassa sempre più, ci sono i respingimenti. “I minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia non possono essere respinti, hanno diritto ad essere correttamente identificati e collocati in una struttura di prima accoglienza a loro dedicata, così come stabilito dalla legge 47/2017”. L’ottavo rapporto delle organizzazioni della rete Protecting Rights at Borders (PRAB) “Respinti alle Frontiere dell’Europa: una crisi continuamente ignorata” pubblicato a inizio febbraio documenta il respingimento di 3.180 persone nelle zone di Oulx e Ventimiglia. Tra loro 737 bambini e bambine, di cui 519 erano minori non accompagnati. “Un aspetto inquietante è la pratica di respingere minori registrati erroneamente come adulti”, si legge.

(Non) avere 18 anni

Esiste, ed è noto a chiunque lavori nell’accoglienza, un altro fenomeno – che però sembra preoccupare meno il sistema e la politica: quello di giovani, giovanissime (soprattutto ragazze, che da sempre costituiscono una percentuale assai minore sul totale MSNA – in questo momento meno del 12% delle presenze) minorenni ma che si dichiarano maggiorenni. Lo fanno proprio per “sfuggire” alle tutele della legge e all’accoglienza riservata a chi ha meno di 18 anni. Perché così devono fare, incagliate come sono nelle reti criminali della tratta e dello sfruttamento sessuale.

S. ha 14 anni e mezzo quando in Nigeria viene reclutata e mandata a prostituirsi a Torino. Federica Gaspari, psicologa sociale della cooperativa Parsec, la incontra tre anni dopo, nel 2019, all’Istituto penale per minorenni di Roma “Casal Del Marmo”. Borderline, arrabbiata, violenta e a un passo dalla schizofrenia. Arrestata a Torino a 16 anni, viene ritenuta maggiorenne e detenuta nel carcere ‘Lorusso e Cutugno’. “Dopo qualche mese qualcuno deve finalmente averla guardata in faccia”, chiosa Gaspari. Vedendo tutti i suoi anni, certamente meno di 18. S. viene quindi trasferita al minorile, ma la condanna, per direttissima, è molto pesante: tre anni e mezzo, con l’accusa di essere una reclutatrice di altre ragazze. Nessuno, neanche il giudice l’ha ascoltata, dice Gaspari. Nessuno le ha chiesto come è arrivata in Italia. Nessuno capisce che è lei per prima trafficata. Solo dopo molto tempo viene mandata a Casal del Marmo, per decisione del tribunale, nella consapevolezza che a Roma c’è un servizio antitratta e con la richiesta esplicita, finalmente, di attivarlo. E lì finalmente emerge tutta la sua storia, non solo la sua giovane età.

Federica l’ha incontrata di nuovo, dopo tanti anni, da poco.  “Mi è stata ora segnalata nel progetto di reinserimento lavorativo che coordino”, dice. Dopo cinque anni e dopo una storia giudiziaria che si è conclusa con la messa alla prova, oggi S. ha una bimba, un compagno, un progetto famigliare e un lavoro che vuole migliorare. Il sistema l’ha schiacciata, ma lei si è rialzata.

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