LA TURCHIA I DESAPARECIDOS E LE MADRI DEL SABATO

Tratto da Libero Pensiero di  Matthew Andrea D’Alessio

Le Madri del sabato sono un gruppo di protesta pacifica che ogni sabato a mezzogiorno si riunisce davanti al liceo Galatasaray in Istiklal Street a Istanbul, in Turchia. Il movimento è nato nel 1995, dopo che la polizia turca ha arrestato e poi fatto sparire diversi giovani sospettati di essere legati al Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK). I manifestanti, composti principalmente da madri delle vittime, si sono quindi riuniti per chiedere giustizia per i loro familiari scomparsi o uccisi. Nel corso degli anni il movimento si è ampliato abbracciando anche altre cause come i diritti delle donne, la libertà di espressione e la giustizia sociale, diventando un simbolo di resistenza e lotta per i diritti umani in Turchia.

Le scomparse sono state un fenomeno molto diffuso in Turchia soprattutto durante gli anni ‘90, quando il Paese stava affrontando un conflitto interno con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan. I gruppi di attivisti per i diritti umani, come quello delle Madri del sabato, hanno affermato che alcune delle persone scomparse sono state arrestate e detenute illegalmente dalle forze di sicurezza turche, senza processo o accuse formali. Gli scomparsi spesso appartenevano a gruppi vulnerabili come studenti, attivisti politici, giornalisti e minoranze etniche, che venivano percepiti dalle autorità come una minaccia alla stabilità del Paese. L’uso della violenza per la repressione del dissenso da parte delle forze di sicurezza turche è stato ampiamente criticato dalle organizzazioni per i diritti umani.

Secondo la Human Rights Association, una ONG per la promozione dei diritti umani in Turchia, solo tra il 1992 e il 1996 sono state segnalate 792 sparizioni, ma il numero potrebbe essere di gran lunga superiore siccome molte di esse non sono mai state denunciate.

Il conflitto interno tra il governo turco e il Partito dei Lavoratori del Kurdistan

Per risalire alle origini della protesta e all’atteggiamento del governo turco nei suoi confronti è necessario un breve excursus sulla cosiddetta “questione curda” in Turchia.

I curdi sono un popolo originario della regione del Kurdistan, la quale si estende su una vasta area tra la Turchia, l’Iraq, l’Iran e la Siria. Secondo il CIA World Factbook, si stima che ci siano 30-40 milioni di curdi nel mondo di cui circa la metà vive in Turchia.

In Turchia, dunque, i curdi rappresentano una minoranza etnica significativa, ma a lungo sono stati oggetto di discriminazione e repressione da parte dello Stato turco. Per molti anni il Governo ha negato l’esistenza della questione curda e ha cercato di assimilare questa minoranza etnica nel tessuto culturale e nazionale della Turchia. Questo ha comportato una serie di politiche che hanno limitato i loro diritti, come la proibizione dell’uso della lingua curda e la negazione del loro patrimonio culturale.

Negli anni ‘80 e ‘90 la questione curda è diventata sempre più conflittuale, con l’emergere di un movimento separatista guidato dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan. Il PKK è considerata un’organizzazione terroristica da molti Paesi, tra cui la Turchia, l’Unione Europea (con il regolamento di esecuzione (ue) 2022/147 del consiglio del 3 febbraio 2022) e gli Stati Uniti. La Turchia lo considera una minaccia per la sicurezza nazionale e ha adottato una politica di tolleranza zero nei suoi confronti. Il conflitto armato tra il PKK e lo Stato turco ha causato decine di migliaia di morti e scomparsi da entrambe le parti coinvolte. La questione curda rimane ancora oggi un problema irrisolto in Turchia.

La repressione delle Madri del sabato

Nel febbraio 2011 Recep Tayyip Erdoğan, che in quel periodo ricopriva ancora la carica di primo ministro, aveva invitato presso il suo ufficio a Istanbul le Madri del sabato per ascoltare le loro richieste. Erdoğan aveva assicurato che il Governo si sarebbe impegnato a ottenere giustizia per i familiari delle vittime, aggiungendo che però non sarebbe stato facile ottenere dei risultati in casi risalenti a più di 30 anni prima. Nonostante ciò, a seguito alla sua elezione come presidente della Turchia nel 2014, non sono stati fatti sforzi in tal senso e, al contrario, le repressioni sono aumentate.

La protesta delle Madri del sabato è stata ufficialmente vietata dalle autorità il 25 agosto 2018 mentre celebravano la loro settecentesima veglia settimanale.

Nel novembre 2020 un pubblico ministero ha chiesto fino a tre anni di reclusione per i manifestanti che avevano organizzato una “riunione illegale”. Il procuratore Dönmez si è appellato alla legge n. 2911 del 1983 in materia di Riunioni e Manifestazioni, che regola il reato di «non disperdersi nonostante un avvertimento partecipando a riunioni e cortei illegali disarmati». Ai sensi dell’articolo è stata chiesta la condanna di 46 persone con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. L’articolo di legge su cui il pubblico ministero fonda il caso recita: «Se coloro che partecipano a riunioni o manifestazioni illegali persistono nel non disperdersi nonostante l’ammonizione e l’uso della forza, sono condannati alla reclusione da sei mesi a tre anni. Se tale delitto è commesso da coloro che organizzano l’adunanza e la manifestazione, la pena da irrogare ai sensi del presente comma è aumentata della metà». Il processo alle Madri del sabato è iniziato a Istanbul il 25 marzo 2021. Tra le persone arrestate vi è anche l’attivista ottantaduenne Emine Ocak, la co-fondatrice delle Madri del sabato. Suo figlio Hasan aveva solo 23 anni quando è scomparso nel 1995.

In una dichiarazione congiunta, Amnesty International, Human Rights Watch e Front Line Defenders hanno definito il divieto di protesta delle Madri del sabato «un’implacabile repressione della società civile, dei difensori dei diritti umani e di coloro che esprimono pacificamente il loro dissenso in Turchia». Amnesty International ha inoltre organizzato una raccolta firme per sollecitare il presidente Erdoğan a mantenere le promesse fatte nel 2011.

 

Secondo il Truth Justice Memory Center (Hafıza Merkezi), un’organizzazione indipendente per i diritti umani fondata a Istanbul nel 2011, «la Turchia è stata dichiarata colpevole di violazioni dei diritti umani in 55 ricorsi alla Corte europea dei diritti umani, riguardanti 103 persone scomparse. Delle denunce penali interne riguardanti 344 persone, solo due procedimenti giudiziari riguardanti 2 persone sono sfociati in condanne». Tuttavia, le violazioni dei diritti umani non sembrano essere una questione di primaria importanza per il governo turco che il 1° luglio 2021 ha anche ufficializzato il suo ritiro dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne.

Per l’Europa gli interessi economici sono più importanti dei diritti umani

La Turchia chiese di entrare a far parte dell’Unione Europea nel 1987 ed è stata riconosciuta come Stato candidato nel 1999, ma i negoziati sono iniziati solo nel 2005. Attualmente l’ammissione della Turchia nell’Unione Europea sembra però alquanto improbabile a causa delle già citate violazioni dei diritti umani da parte del Governo, come riportato nel comunicato stampa dell’UE del 7 giugno 2022. Tuttavia, la Turchia continua a essere un importante partner commerciale dell’Unione Europea, soprattutto per quanto riguarda le risorse energetiche e ha un ruolo fondamentale nel contenimento dei flussi di migranti verso l’Europa. Nella dichiarazione UE-Turchia, firmata il 18 marzo del 2016, lo Stato turco si è impegnato a impedire che le persone abbandonino il Paese per emigrare in Europa e, in cambio, l’Unione Europea ha dato alla Turchia miliardi di euro negli ultimi anni.

Per quanto riguarda l’Italia, il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha auspicato di rafforzare le relazioni bilaterali con la Turchia. Durante il G20 di Bali, Meloni ha avuto un incontro con Erdoğan e «i due leader hanno posto l’accento sulla necessità di lavorare insieme per contrastare la migrazione irregolare e favorire la risoluzione della crisi libica. […] I leader hanno condiviso inoltre l’auspicio di un ulteriore rafforzamento dei rapporti commerciali bilaterali».

Le associazioni per i diritti umani restano in attesa di una presa di posizione più netta da parte della comunità internazionale nei confronti della Turchia affinché il governo non continui a sopprimere la protesta delle Madri del sabato. Come si legge nel report del 1° novembre del 1998 di Amnesty International, «la “sparizione” è una violazione dei diritti umani inflitta non solo alle vittime, ma anche alle loro famiglie. Non sapere se sono vivi o morti causa sofferenze incalcolabili ai loro parenti. Amnesty International si appella alle autorità turche affinché non mettano a tacere le Madri del sabato, ma rispondano alle loro richieste di indagini serie e di chiarimenti sulla sorte dei loro cari».

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