La gran corsa al Concordato. Unico ostacolo: Garibaldi

Tratto da La Repubblica

Il 18 febbraio 1984 Bettino Craxi riesce là dove i democristiani avevano fallito. Soltanto sulla scuola non andò tanto liscia. Storia di un patto che ha messo d’accordo tutti. O quasi

Pensate che ci perdonerà?» chiede Bettino Craxi guardando di sottecchi il ritratto di Giuseppe Garibaldi alle sue spalle. È il 1984, un mercoledì di inizio anno. Il presidente del Consiglio socialista sta per ricevere nelle sue mani l’ultimissima bozza del nuovo Concordato fra Stato e Chiesa cattolica. La porterà ai ministri il venerdì. A consegnargliela sono Giuliano Amato, allora sottosegretario, e Francesco Margiotta Broglio, uno dei “saggi” chiamati a redigere il testo, giurista finissimo e arguto – tuttora, a 86 anni, frequenta con la stessa disinvoltura i porporati della Santa sede e quei diavolacci dell’Uaar, l’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti. Il 18 febbraio 1984 arriva la firma ufficiale, con il Segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli (braccio destro di Giovanni Paolo II nella battaglia contro l’Urss) e Bettino Craxi, in cravatta rossa: il presidente-mangiapreti è riuscito là dove i democristiani hanno fallito.

Con vari appuntamenti e il convegno che si è tenuto ieri all’ambasciata italiana in Vaticano, si celebrano così i primi quarant’anni dell’accordo che superò i Patti lateranensi (firmati nel 1929 da Mussolini) attraverso un delicato do ut des, alla fine del quale è caduta la definizione di “religione di Stato”, mentre la congrua e gli altri privilegi economici hanno lasciato il posto al meccanismo dell’8 per mille (invenzione, si dice, di un giovane Giulio Tremonti); si è deciso sugli effetti civili dei matrimoni religiosi; sui beni ecclesiastici e le festività; e, soprattutto, si è stabilito di mantenere nella scuola l’insegnamento della religione cattolica, rendendolo però facoltativo, con una “scelta attiva” delle famiglie e degli studenti maggiorenni.

Principi e proteste

Il gravoso impegno deve avere fatto bene ai due protagonisti di parte italiana della trattativa, il professor Margiotta Broglio, appunto, e un altro insigne giurista, Cesare Mirabelli, 81 anni, anche lui in gran forma («Scusi se la richiamo così tardi, ero in un cda»). Entrambi consapevoli di avere partecipato a un’impresa storica, non vedono macchie nel “loro” Concordato, nemmeno rispetto al punto più controverso, la religione a scuola – che, per inciso, alla materna prima non c’era e da allora si traduce in due ore settimanali.

Mirabelli ricorda: «Invece di eliminare ciò che era in contrasto con la Costituzione, come si era tentato di fare in una fase precedente, il nostro lavoro si concentrò su un adeguamento al mutare dei tempi. Il Concordato confessionistico del 1929 è stato sostituito da un impianto al servizio della persona. Quanto all’insegnamento, si è passati dall’obbligatorietà, con la possibile esenzione attraverso un atto amministrativo per ragioni giustificate, a una materia presente nelle aule per ragioni culturali e storiche, con finalità formative ma non catechistiche. Del resto, come fai a studiare la Commedia e l’arte se non hai un’infarinatura religiosa?». Forse li sfiorò l’idea di introdurre una “storia delle confessioni”: «Ma l’ipotesi di una comparazione tra le religioni, o della loro storia, al Vaticano non piaceva. E anche se parte dei cattolici era favorevole, avrebbe significato affidare allo Stato una valutazione e una presentazione delle fedi, le quali invece hanno il diritto di fare da sé. Poi, certo, all’inizio c’è stato qualche problema applicativo. Ma nel complesso il Concordato ha funzionato senza traumi, garantendo libertà religiosa».

Il negoziato andò avanti veloce. Il socialista Gennaro Acquaviva e il cardinale Achille Silvestrini si vedevano in una parrocchia di Roma Nord. Francesco Margiotta Broglio («ateo sì, ma ateo cattolico» lo definì Dossetti), che si occupava di queste faccende già al tempo di Pietro Nenni, segretario Psi, ed è anche stato nel Comitato centrale del partito, dice che non si registrarono impuntature perché tutt’e due i contraenti erano ben decisi ad arrivare al traguardo: «Il momento di svolta era stato il referendum del 1974 sul divorzio, per cui già Paolo VI, ma poi soprattutto Casaroli, suo braccio destro, avevano ben chiaro che non si potesse andare avanti così, con i Patti firmati dal Duce che ancora sancivano l’indissolubilità del matrimonio. E il Psi, be’, al contrario del Pci non aveva votato per introdurli nella Costituzione, il famoso articolo 7, e anche questo spinse Craxi ad agire». Del Garofano, insomma, ora, ci si poteva fidare.

Deputati cicciolini

Ecco, e il Pci? In Parlamento (agosto ‘84 alla Camera e marzo ‘85 in Senato) votò il Concordato in nome della pace religiosa. Strada facendo, Enrico Berlinguer era stato consultato più volte, grazie al senatore Paolo Bufalini e al giurista Carlo Cardia. Che su Avvenire nel 2019 ha fissato il momento decisivo di questa “diplomazia dell’amicizia”: Casaroli e Silvestrini vollero sapere «quale fosse il pensiero del segretario comunista sull’insegnamento religioso nella scuola pubblica ritenendolo centrale». Berlinguer fece rispondere che era «…prezioso per la formazione dei giovani, consentiva di parlare loro dei valori, in una scuola che altrimenti rischiava di rimanerne priva». L’importante, fu il suo messaggio per il Vaticano, era la volontarietà.

Meno inclini agli accordi si mostrarono gli intellettuali indipendenti eletti nelle liste comuniste. Il politologo Gianfranco Pasquino la racconta così: «Non dovendo obbedire alla disciplina di partito, procedemmo in ordine sparso. Alcuni si astennero, io e altri, per esempio l’economista Filippo Cavazzuti, votammo contro. Cose come il reclutamento dei docenti affidato alla Chiesa erano troppo lontane dall’idea di pluralismo e di indipendenza perché potessimo accettarle».

Il bello venne quando si trattò di varare le leggi applicative, e piovvero sulle scuole le circolari del ministero dell’Istruzione – al tempo ancora Pubblica – con la confusione delle questioni lasciate in sospeso nell’84, dall’inquadramento dei docenti (scelti dalla Curia, pagati dallo Stato), ai programmi, al rebus dell’orario e della lezione cosiddetta “alternativa”. Nell’87, per dire, rischiò di saltare il governo, mentre il Parlamento si chiedeva se l’ora alternativa dovesse diventare obbligatoria oppure no, con “contorsioni nei ragionamenti” mai visti prima, come denunciò in Aula il giurista Stefano Rodotà, altro indipendente.

A vivacizzare l’atmosfera, ecco anche il primo intervento alla Camera dell’onorevole Ilona Staller, la pornostar eletta con i Radicali, facile oggetto di frizzi e lazzi ma certo non un’ipocrita: «Il Vaticano e la Cei e i giornali e il nostro birichino cicciolino Craxi, tutti sono preoccupati che non si facciano cose troppo sovversive. Ma io non credo nella buonafede di ventimila insegnanti istruiti dal Vaticano».

Avvocati (e genitori) in campo

La formula con cui l’Irc si è infine stabilizzato – “obbligatorio nell’orario e facoltativo nella scelta” – ha garantito alla Chiesa di essere presente a scuola in modo strutturale e capillare. E lo garantisce tuttora, in un clima di quiete (o di quiescenza) cui si è arrivati, dopo inciampi, proteste, sentenze, gastriti tra i socialisti, e l’ammutinamento di 13 congressi locali del Pci che chiesero di abolire il Concordato. L’avvocato fiorentino Corrado Mauceri oggi dice che fu «un movimento di massa», con tanti genitori, insegnanti e studenti in piazza, la Cgil Scuola in prima fila, i soliti indipendenti del Pci a dare una mano. Margiotta Broglia replica che «delle manifestazioni non importava niente a nessuno, la verità è che per quei tempi il Concordato significò un grande cambiamento». Come che sia, Mauceri dal suo studio – a 88 anni va a lavorare ogni giorno – ha condotto molte battaglie in nome della scuola laica e democratica: è suo, fra l’altro, il ricorso sull’ora alternativa che nel 1989 portò la Corte costituzionale a proclamare “il supremo principio della laicità dello Stato”, una pietra miliare. La figlia Isetta ne continua l’opera: da poco (come racconta Stefania Parmeggiani nelle pagine precedenti), l’ha spuntata su una scuola elementare che si era opposta all’interruzione della frequentazione dell’Irc.

Qualcuno di tanto in tanto accarezza l’idea di ripartire da zero. Nel 2002 quattro parlamentari di varia appartenenza (Antonio Del Pennino, Sandro Turroni, Raffaele Iannuzzi e Franco Debenedetti), presentano il ddl intitolato Abolizione del regime concordatario. Anni dopo, nel 2022, quando il Vaticano minaccia di ritirare gli accordi se fosse passato il ddl Zan sull’omotransfobia, si lancia il forzista Elio Vito. Quasi note di colore.

Nel suo piccolo, con santa pazienza – tra ricorsi, studi e qualche provocazione – ottiene più risultati l’Uaar. Adesso aspetta la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo su un problema posto decenni fa: l’ateismo non dovrebbe essere considerato alla stregua di una fede, con annessi e connessi? Ma se si chiede a Raffaele Carcano, che dirige la rivista Nessun Dogma, quali altre organizzazioni si diano da fare oltre all’Uaar, la risposta è: «Se qualcuno si muove, lo fa a nostra insaputa».

Altri tempi, altre intese

Il 1984 è stato l’anno fatidico che ha aperto la stagione delle intese, per prima quella dello Stato con valdesi e metodisti; e il fatto che si tratti di una minoranza spiega solo in parte perché non abbiano richiesto l’insegnamento religioso. Oggi li guida Alessandra Trotta. Il patto, nel loro caso, è un «presentarsi allo Stato», con una serie di articoli che enunciano princìpi. Il numero 9 non potrebbe essere più chiaro: l’educazione religiosa compete alle famiglie e alle chiese,e non coinvolge in alcun modo lo Stato, men che meno la scuola. Quanto all’Unione delle comunità ebraiche, la presidente Noemi Di Segni fa presente che «in una società in cui si fanno ormai largo tante fedi, bisognerebbe ripensare l’impianto e fare in modo che l’ora alternativa acquisti sensatezza, diventi uno spazio di apprendimento e di scambio tra culture e religioni diverse». Serve un nuovo confronto. Perché oggi, dice, «è quasi ovunque soltanto l’ora del niente».

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