Il tweet per Balzerani: Di Cesare, l’Ucraina e il pacifismo a morti alterne

Tratto da La Repubblica, articolo di Stefano Cappellini

La contraddizione politica che assolve le Br ma condanna la resistenza in Ucraina

La professoressa Donatella Di Cesare – insegna Filosofia teoretica all’Università La Sapienza di Roma – è nota ai più perché, da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, ha scritto molti articoli e partecipato a parecchie trasmissioni televisive per sostenere che condizione necessaria per ottenere la pace è smettere di fornire aiuti militari all’Ucraina. Nessuno dei numerosi fautori di questa tesi ha mai spiegato in quale modo una resa dell’Ucraina all’aggressione di Vladimir Putin possa essere definita “pace”, ma non è di questo che parleremo qui. Da un paio di giorni Di Cesare è nei guai per aver scritto questo tweet sulla morte della brigatista rossa Barbara Balzerani: “La tua rivoluzione è stata anche la mia. Le vie diverse non cancellano le idee. Con malinconia un addio alla compagna Luna”. Compagna Luna era il nome di battaglia di Balzerani, che partecipò al sequestro Moro e alla strage della scorta, oltre che a svariati altri omicidi e fu, dopo la scissione delle Br nei primi anni Ottanta, leader dell’ala militarista, le Br-Partito comunista combattente.

La prof ha cercato di giustificare maldestramente l’indecente uscita, presto cancellata dal web, sostenendo che il suo voleva essere solo un moto di “vicinanza generazionale”, e ha offerto dunque una spiegazione che, a prenderla per buona, e si fa una certa fatica, la metterebbe nei panni di una docente universitaria con serie difficoltà di proprietà di linguaggio. Ma questa è l’ultima delle ragioni per le quali non si riesce a dare credito alle sue giustificazioni.

Di Cesare, che rivendica di aver partecipato al Movimento del 1977, non è stata una terrorista né certo lo diventa ora. A voler stare a quanto letteralmente espresso nel tweet, si ricava la sua discendenza diretta da quel ramo di sinistra intellettuale (e non) che ai brigatisti rimproverava (talvolta, nemmeno sempre) il mezzo ma non il fine. Una posizione scolpita nella famigerata definizione “compagni che sbagliano”. Le “vie diverse”, appunto. Qualcuno si è appigliato a questa espressione per negare che la frase di Di Cesare potesse essere letta come un omaggio a Balzerani, quando invece è proprio in quel “vie diverse” che c’è il tratto più osceno della frase, come è facile rendersi conto se appena si prova a tradurre il concetto per esteso: “Cara Barbara, volevamo entrambe il comunismo, peccato che tu per riuscirci abbia ucciso Moro, la scorta e tanti altri, ma sono dettagli che non cambiano le idee”.

Come caso personale, la vicenda Di Cesare ha scarsa rilevanza. Più importante, per l’onestà e l’igiene del dibattito pubblico, è il suo valore per appurare quale sia il reale apparato ideologico e culturale di una parte – sottolineato: una parte – del nostro cosiddetto pacifismo; provare a capire perché una prof che ha impiegato gran parte dei suoi interventi degli ultimi mesi a dare di guerrafondai e bellicisti ai sostenitori dell’invio di armi a Kiev si spenda nell’elogio di una donna che, non da sola, ha scelto le armi come mezzo della politica.

La contraddizione è palese ma è spiegabilissima con l’ostentazione – per chi la pensa come Di Cesare – di un privilegio che è in realtà un puro pregiudizio politico: la vecchia pretesa di un pezzo di sinistra, fortunatamente minoritaria, di stabilire a proprio insindacabile parere quando la violenza va bene e quando no, quando le armi sono giuste e quando sono guerrafondaie oppure, anche quando le armi non vanno del tutto bene, come nel caso di Balzerani (“le vie diverse”), di riconoscere comprensione a chi le usa per un fine condiviso. Non a caso lo scoglio logico più grande che la fazione Di Cesare si è trovata di fronte è stato spiegare perché la resistenza ucraina avrebbe dovuto rinunciare ai mezzi usati dalla resistenza italiana al nazifascismo, giustamente annoverata tra i casi di lotta armata legittima e benemerita. Pur di uscire dal vicolo cieco, Di Cesare e altri sodali si sono spinti a sostenere che la Resistenza nostrana non anelava alla vittoria militare: una delle più colossali sciocchezze mai scritte o dette, pur in un regime di concorrenza serrata. Chi stabilisce che un terrorista rosso può essere assolto dal peccato di lotta armata, anzi lodato per i nobili intenti, mentre un ucraino che chiede armi per difendersi dai russi è un mercenario al servizio degli yankee? Vi siete mai chiesti perché molte persone indignate a ragione per il numero di vittime civili a Gaza liquidino come un fastidioso diversivo il ricordo del massacro del 7 ottobre? C’è violenza e violenza? Le donne ebree stuprate dai miliziani di Hamas sono meno meritevoli di uno sciopero transfemminista rispetto al cessate il fuoco nella Striscia?

Di Cesare fa parte di una generazione che voleva abbattere il capitalismo occidentale, sostituirlo con il comunismo, magari non sovietico, e contestava al Partito comunista italiano di essere diventato una forza riformista e socialdemocratica, cioè la cosa migliore che il Pci potesse fare di sé. Una generazione che ha sempre considerato la Nato, non a torto, uno dei garanti degli equilibri politici ed economici (da notare che già nel 1976 il segretario del Pci Enrico Berlinguer aveva detto in una celebre intervista a Giampaolo Pansa di sentirsi più tranquillo dal lato occidentale dell’emisfero).

Il comunismo non c’è più in alcuna forma, il capitalismo sì, e agli occhi di quelli che “la mia rivoluzione è la tua” chiunque si opponga all’Ordine mondiale è comunque un nemico dello stato di cose presente, anche quando se ne riconosce la natura di dittatore, oligarca o tiranno. Per questo è sempre mal posto il tema del putinismo di certi intellettuali. Ovvio che non sono ammiratori di Putin, il sostegno è sempre indiretto, e per questo negato: in Putin vedono un nemico dell’Occidente e tanto basta a considerarlo meno colpevole dei suoi avversari.

La visione di politica estera di chi, come Di Cesare, pensa che Balzerani lavorasse per un mondo migliore è antiamericana in modo feroce e indiscutibile. “Guerra alla Nato” era la parola d’ordine tanto dei volantini del Movimento che di quelli Br. Ancora nel 2024 il peso anche indiretto della Nato in un conflitto geopolitico è ragione sufficiente a negare sostegno a chi le è alleato. Ne derivano, per chi è su questa linea, letture della guerra in Ucraina che sono, queste sì, davvero disarmanti: gli ucraini combattono per procura, cioè per conto degli Usa, non vogliono la pace, eccetera.

Il tweet di Di Cesare su Balzerani ha grandi meriti di chiarezza. Mette a nudo ciò che era già chiaro a molti: il retroterra ideologico di chi si scandalizza se a Kiev arriva un sistema di difesa anti-aerea per evitare che i missili russi entrino nel tinello delle case, ma accarezza con malinconia il ricordo di chi freddava con i mitra uomini che uscivano di casa per andare a lavorare.

 

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