‘Il pericolo trans’ e i femminismi

Tratto da Valigiablu, di Laura Schettini

Nel numero di maggio de «L’indice dei libri del mese» è stato pubblicato un testo della storica Gianna Pomata dal titolo Come pensare il gender? Metafisica del gender e femminismo-gender critico. Prendendo le mosse dal mio ultimo libro L’ideologia gender è pericolosa (collana “Fact Checking” Laterza, 2023), lo scritto si impegna soprattutto a reclamare un posto nella campagna antigender anche per un certo femminismo.

Come se non bastassero le destre radicali, il Vaticano, ProVita & Famiglia, ora non possiamo più ignorare che la campagna contro l’ideologia gender viene «anche da sinistra, da un nuovo femminismo che si chiama appunto “gender critico”». Prendiamone atto e approfittiamo dell’occasione per guardare da vicino i temi cari a questo femminismo, in che modo partecipa orgogliosamente alla campagna antigender.

Prima di tutto: che cos’è il gender verso cui sarebbe mobilitato?

Gianna Pomata, storica e tra le fondatrici della storia delle donne in Italia, ce lo spiega a chiare lettere. Non si tratta del genere come categoria di analisi storico-sociale, vale a dire il modo in cui genere/gender è entrato nelle scienze umane ed è stato discusso e utilizzato da decenni di studi intenzionati a rivelare le dinamiche di potere costruite sulla e attraverso le differenze sessuali. No, il gender verso cui questo filone di femminismo è critico è lo stesso che troviamo inventato, usato e consumato nel dibattito pubblico e politico più spiccio. Gender è qui sinonimo di identità di genere e, soprattutto, allude a una identità di genere che verrebbe cambiata a piacimento in base alla propria percezione e non in base a dati empirici. Il problema sono le persone trans, è inutile girarci intorno e anche su questo Pomata ci illumina con generosa chiarezza. È il carattere «soggettivo» e «pertinente all’interiorità della persona», rivendicato dal movimento transgender (definito anche «lobby trans» in un altro passaggio), che pone un problema: «Anche un bambino, anche una persona che soffre di turbe psichiche, anche uno stupratore: se ci dicono che sono trans, lo sono, e dobbiamo credergli».

In che modo questo passaggio interroga  e, direi, liquida, il concetto di autodeterminazione tanto caro ai femminismi? È sicuramente un punto intorno a cui aprire una riflessione estesa. Più immediata è la reazione che merita su altri aspetti quanto appena letto.

L’ideologia gender, altrimenti detta «metafisica del gender» da Pomata nel titolo e nel testo, altro non è che l’esistenza transgender, percepita come qualcosa che ha «conseguenze regressive per le donne», qualcosa che le mette in pericolo. «Se qualsiasi uomo semplicemente col dichiarare un’identità femminile, diventa legalmente donna, le donne perdono il diritto agli spazi separati (negli sport, nelle carceri, nei rifugi antiviolenza, nei bagni pubblici, eccetera) che le salvaguardano, almeno in parte, dai rischi legati alla differenza di forza tra i sessi».

Abbiamo quindi delle donne che sono tratteggiate come (naturalmente ?) più deboli, che sarebbero a rischio di aggressione nei loro luoghi protetti (i bagni? le carceri?) da parte di impostori, uomini che si fingono donne, i trans. A parte il fatto che in termini di sicurezza delle donne mi preoccuperei di più dell’infiltrazione dei pro-vita nei consultori, piuttosto che dell’utilizzo da parte delle donne trans dei bagni pubblici femminili, ma come non notare l’accostamento tra trans e stupratore? Come non notarlo dal momento che poche righe dopo l’associazione è reiterata ancora, a partire  da un fatto di cronaca che avrebbe visto un trans processato per stupro in Inghilterra. Da storica e non essenzialista per mestiere non escludo che anche le persone trans possano agire violenza e violenza sessuale in particolare. Vorrei però notare come questi discorsi costruiscano l’immagine delle persone trans come tutti (potenzialmente) aggressori, il pericolo per la sicurezza delle donne. Proprio nel momento in cui la mobilitazione femminista e transfemminista contro la violenza ha riempito le piazze puntando i riflettori su chi ha le chiavi di casa, su partner ed ex partner, su datori di lavoro e superiori. Sugli uomini “normali”. Non una parola in questa narrazione, inoltre, delle violenze sessuali e di genere che nel corso della storia sono state specificatamente agite contro le persone trans e che troviamo, tra l’altro, ampiamente raccontate nei libri di Porpora Marcasciano.

Nel testo che ci presenta il «femminismo gender-critico», tuttavia, non poteva mancare un altro tema: «quello che in nome della metafisica del gender si sta facendo a bambini e adolescenti». Come è noto questo è attualmente il principale cavallo di battaglia anche della campagna antigender delle destre e del Vaticano e così, in modo singolare, nel nome della difesa dei bambini e degli adolescenti vediamo diverse forze politiche produrre una sempre più insopportabile esposizione alla gogna mediatica degli adolescenti trans, delle loro famiglie, degli ospedali che li hanno in carico, delle università e delle scuole che adottano misure di inclusione.

Non mi aggiungo alla pletora di quanti si sentono esperti e competenti di ormoni e bloccanti, ma credo che alcune cose si possano dire. La prima è che contrariamente a quanto sostenuto nella campagna antigender, di destra e di sinistra, nelle transizioni di genere non vige l’assoluta arbitrarietà, né si agisce con leggerezza. Che piaccia o meno esistono dei protocolli, tra cui quello oggi più comunemente adottato è Soc 8 (Standards of Care for the Health of Transgender and Gender Diverse People, Version 8, 2022), ultimo aggiornamento in ordine di tempo (il primo risale al 1979), rilasciato dall’Associazione professionale mondiale per la salute delle persone transgender (WPATH), dal cui sito si può scaricare. Si compongono di più di trecento pagine e mostrano come questi percorsi coinvolgano diverse figure e prevedano molti passaggi (psicologico, endocrinologico, ecc.) e non si consumano dall’oggi al domani, per nessuno. Di certo in questo protocollo non è previsto nessun processo di medicalizzazione dei bambini, ma i trattamenti sono valutati dalla fase prepuberale in base a una stima costi-benefici.

Non ho le competenze per affermare quale protocollo sia giusto e quale sbagliato, non lavoro in questo campo, ma, ancora una volta, vorrei mettere sul piatto alcune suggestioni con gli strumenti che mi ha dato il mestiere di storica. Nel corso delle mie ricerche, ho incontrato decine di storie di uomini e donne che, tra Otto e Novecento, hanno vissuto per una intera vita “sotto mentite spoglie”. Allora esisteva solo la parola travestiti/e per nominarli. Non sempre è possibile riconoscere la “ragione” per cui lo hanno fatto (per avere un lavoro negato al proprio sesso o per costruire una famiglia omosessuale, per esempio), così come in alcuni casi questa “attitudine” si manifestava già da piccolissimi. Allora non esistevano ormoni sintetizzati, protocolli, operazioni, ecc. e quindi non sappiamo se queste stesse persone avrebbero voluto o no modificare il proprio corpo, potendo scegliere. Quello che però sappiamo benissimo è che esiste un intreccio complesso tra soggettività, percezione di sé, desideri e contesto in cui si è immersi, tra le dimensioni biologiche, psicologiche e socio-ambientali ed è questa la ragione per cui anche le identità sessuali, se vogliamo usare questo termine, hanno una storia, sono cambiate nel tempo.

Indubbiamente nel corso del Novecento, in particolare dalla seconda metà del Novecento, si è assistita a una crescita (di presenza visibile) delle persone trans e questa presenza a sua volta reagisce e interagisce con gli sviluppi della medicina. È un processo aperto, come dimostra il fatto che gli standards per l’assistenza sanitaria sono in continuo aggiornamento. Ma non c’è solo la medicina a rispondere e a poter dire qualcosa. Nella campagna delle femministe gender-critiche il silenzio veramente assordante è quello che riguarda la realtà delle esistenze trans e la loro storia. Non esistono come esperienze e non ci sono le loro parole. Non mi è chiaro, invece, quando e come sia avvenuto che (un certo) femminismo abbia scelto di costruire campagne di stigmatizzazione di soggetti già stigmatizzati, di ripescare il fantasma della lobby (trans), di usare il tema dell’infanzia in pericolo per mobilitare l’opinione pubblica.

No Comments

Sorry, the comment form is closed at this time.