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Il Papa sbaglia, pericoloso arrendersi al più forte

Tratto da La Stampa, articolo di Stefano Stefanini

Dopo due anni di guerra, chiedere a chi è stato invaso di abbassare le armi è una posizione parziale. Il Pontefice prende le parti dell’aggressore anziché dell’aggredito e così ricompensa l’arroganza di Putin

La Chiesa Cattolica ha abbandonato da tempo il dogma dell’infallibilità pontificia nelle cose terrene. Ma il Soglio Pontificio ha conservato e preservato, anche in tempi difficilissimi, una straordinaria autorità morale che si estende ben al di là della cerchia dei credenti e dei governanti di fede cattolica e cristiana. Irrisa da Joseph Vissarionovich Stalin – «Quante divisioni ha il Papa» – ha trionfato sui totalitarismi del secolo scorso e rimane faro di riferimento nei pericolosi contorcimenti della politica internazionale. O, meglio, rimaneva. Le dichiarazioni di Papa Francesco alla RadioTv svizzera compromettono proprio questa capacità di rivolgersi a una platea mondiale con autorità morale indiscussa. L’invito a senso unico all’Ucraina ad abbassare le armi e negoziare perché «la pace non è una resa» non è una presa di posizione imparziale ed ecumenica, come attesa dal Santo Padre. Dopo due anni di guerra combattuta interamente ed esclusivamente sul suolo ucraino, è una dichiarazione di parte, che prende le parti dell’aggressore anziché dell’aggredito – distinzione che Papa Francesco sembra non fare nell’intervista.

Può darsi il Pontefice, portatore di una saggezza bimillenaria, veda ben al di là degli orizzonti dei comuni mortali, che certamente limitano il mio sguardo, e che la resa ucraina alla Russia sia foriera di pace in Europa. Il Santo Padre non poteva ignorare la portata delle sue parole. Chiedere oggi a Volodymyr Zelensky di negoziare significa chiedergli di essere pronto a ricompensare l’arroganza violenta di Vladimir Putin. Significa ignorare che in questo momento non c’è sul tavolo alcuna offerta di negoziazione da parte russa. Significa, e infatti l’intervista sembra sottintenderlo, che alzare “bandiera bianca” – non è necessario che il Vaticano specifichi – è condizione per la «cessazione delle ostilità». Significa chiedere, non a Zelensky, ma al popolo ucraino, di stendere un velo sopra due anni di aggressione, di bombardamenti su abitati residenziali, di 31mila caduti, di famiglie spezzate, di bambini rapiti, di milioni di sfollati all’interno e di rifugiati all’estero, per negoziare con Mosca da un posizione di inferiorità che condurrebbe inevitabilmente a quello che il Presidente russo – bisogna dargli atto di non nascondere quello che vuole – ha già chiesto: più territorio (compresa Odessa e l’accesso al Mar Nero?) e la sottomissione politica di un’Ucraina solo formalmente indipendente. Addio Ue. Può darsi che gli ucraini, stremati dalla guerra, abbandonati dall’Occidente dopo tanta magniloquenza e non abbastanza armi e munizioni, giungano alla conclusione che è arrivato il momento del negoziato anche se condurrà ad una “pax russa” = resa ucraina. Ma sta a loro, e solo a loro, decidere se e quando. Nessuno, neppure il capo della Chiesa, ha titolo per sostituirvisi.

Due cose lasciano perplessi nelle motivazioni addotte da Papa Francesco. La prima è la mancanza di qualsiasi spartiacque fra causa – invasione russa del 24 febbraio 2022 – ed effetti – eroica resistenza ucraina – della guerra. Il corollario è, almeno dai contenuti dell’intervista finora trapelati, l’invito a senso unico a negoziare, rivolto a Volodymyr Zelensky non a Vladimir Putin. Il che comporta un indiretto riconoscimento delle ragioni russe a scapito di quelle ucraine. Il negoziato che il Pontefice avoca non è un negoziato paritetico.

La seconda, più profondamente deludente, è che non c’è nulla di biblico o di evangelico nella filosofia della resa alla prepotenza dell’aggressore o alla legge del più forte. Non sono certo in grado di entrare in una discussione teologica ma nella Passione e Crocifissione di Gesù Cristo ho sempre visto una sovrumana resistenza alla violenza e al sopruso, non una bandiera bianca. Mi sbaglierò sulla dottrina, l’obiezione scontata sta “nell’offri l’altra guancia”, ma ricordo bene quando l’indipendentista Rappresentante a Mosca dell’allora Lettonia Ssr, nella stagione del tramonto sovietico, mi spiegava che la sparuta minoranza cattolica lettone era fiorita «durante la repressione comunista». Pensai di aver capito male: cresciuta quando repressa? Sì, mi rispose, perché i cattolici (lui non lo era) prosperano quando oppressi. E, in effetti, questa è stata spesso la storia della Chiesa Cattolica lontana dal Vaticano.

Purtroppo, dall’inizio della guerra russo-ucraina, Papa Francesco ha seguito un’imperscrutabile, agli occhi umani, linea di comprensione verso la Russia di Putin. Rimane ancora fuori da tutti gli schemi diplomatici – secondo i quali Maometto va alla montagna, ma la montagna non va mai a Maometto – la sua visita all’Ambasciatore russo alla Santa Sede. Fu spiegata come una missione “francescana” per una nobile causa. Peccato che non ottenne alcun risultato, non fermò assolutamente Putin, segnalò solo un’incomprensibile vicinanza alla Russia nel momento in cui aggrediva l’Ucraina. Ma l’infallibilità pontificia nelle cose terrene appartiene al passato. Errare non è solo umano. È anche pontificio.

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