14 Lug Gpa: discuterne senza subalternità
Tratto da ilmanifesto.it
Il femminismo di ogni tempo lotta contro la subalternità delle donne, ma che cosa significa essere “subalterne”? Farsi dettare l’agenda, sia pure per reazione, dalla politica dei partiti, ecco la vera subalternità: non c’è modo migliore di mostrare che la politica delle donne viene dopo, e sta letteralmente sotto, l’unica politica vera e che conta (per le subalterne), cioè quella dei partiti.
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Di questa subalternità dà prova chi, come ha fatto Lea Melandri su queste colonne, accusa di dare argomenti alla destra le molte donne di ogni età e di ogni paese che, del tutto indipendentemente da chi è, è stato, o sarà al governo, sono da sempre contrarie alla surrogazione di maternità. Ma bisogna esser grate all’autorevole scrittrice perché ha messo il dito sulla piaga, mostrando un tema di cui sarebbe davvero ora di (tornare a) discutere: quale sarebbe lo spazio di un’autonoma presa di parola femminile se dovessimo ogni volta preoccuparci di modulare questa presa di parola a seconda di chi governa? Dove starebbe la radicalità, in questi esercizi di timorata moderazione, con cui il discorso femminile scade a brutta copia di quello dominante?
Per esempio, invocare l’autocoscienza, come fa Melandri, per poi confondere la surrogazione di maternità (o gpa, gestazione per altri) con l’esistenza di famiglie omogenitoriali, quando alla gpa ricorrono al 90% coppie etero, e per il resto non le “coppie omogenitoriali” ma, solitamente, le coppie maschili, è fare qualcosa di molto simile al populismo. Il quale per l’appunto – a destra come a sinistra – si basa sulla confusione, sull’alzare polveroni e far di tutta l’erba un fascio. A vantaggio di chi? Certo non della Costituzione che pure, a colpi di Bella ciao, di tanto in tanto si ama invocare contro il governo “fascista”.
È in nome della Costituzione che la giurisprudenza, in un percorso complesso, tanto impegnativo quanto luminoso, ha riconosciuto che la gpa contrasta coi valori di dignità e libertà della persona umana (i più alti consessi internazionali, penso tra molti esempi a una dichiarazione del Consiglio Onu per i diritti dei bambini del 2018, la definiscono senz’altro un mercato dei bambini). Per questo non è possibile in quei casi trascrivere in modo automatico e integrale gli atti di nascita. La trascrizione integrale e automatica è funzionale alle esigenze dei mercanti di gpa, poiché riduce “i costi amministrativi e processuali che impediscono la più efficace allocazione delle risorse nel mercato transnazionale della riproduzione” (così, criticamente, la privatista Valentina Calderai), non risponde al diritto del bambino allo status di figlio. Questo è garantito naturalmente nei confronti del genitore biologico e viene realizzato col dovere dell’altro di ricorrere all’adozione in casi particolari.
Soluzione quest’ultima del tutto compatibile con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, afferma la Corte di Strasburgo, e certamente non discriminatoria per orientamento sessuale. Sta scritto a chiare lettere ovunque, nella nostra giurisprudenza (ma qualcuna la ha letta?), che il rifiuto della gpa non ha a che vedere con dubbi sull’idoneità genitoriale degli omosessuali, ma col divieto costituzionale di disporre di altri esseri umani per soddisfare i bisogni di taluno, di qualunque natura quei bisogni siano.
Finalmente è dunque stato riconosciuto che una cosa è la gpa, con cui una donna si impegna a portare a termine una gravidanza per conto di terzi, e altra cosa è la procreazione medicalmente assistita (pma), in cui la donna che si sottopone al trattamento intende diventare madre del bambino che ne nascerà; ed è stato riconosciuto che solo la prima offende il nostro ordine pubblico costituzionale, fatto di libertà, eguaglianza, tutela delle persone vulnerabili (i bambini, in questo caso, di cui gli adulti, surrogate comprese, dispongono). Ora si tratta di fare passi avanti, e per questo serve un femminismo capace di criticare le forze politiche e di opinione se travisano questi importanti arresti giurisprudenziali facendone mazze di una politica difensiva della famiglia tradizionale, come mi pare sia accaduto, e soprattutto capace di essere propositivo e di sviluppare temi e urgenze in maniera autonoma e non reattiva, capace cioè di guidare le forze politiche (di destra e di sinistra), anziché di limitarsi a rincorrerle.
In particolare, a me sembra che, con le cose messe in chiaro sulla gpa, ora siamo a un passo dal riconoscere l’evidenza: tutte le famiglie sono generate da una donna, ed è questa la “essenziale funzione familiare della donna” di cui parla la Costituzione, con un vasto guadagno per tutte (non sta forse qui il vero superamento della “famiglia tradizionale”?), ma anche con l’apertura di questioni molto delicate che andrebbero discusse con la più autentica libertà, cioè autonomia. Per esempio, riformare la legge 40 per autorizzare anche in Italia la pma alle coppie di donne o alle donne singole può chiamare in causa i danni alla salute legati alle tecniche più invasive di eterologa, che allarmano molte, e in specie le ecofemministe.
Parliamone, litighiamo, ma per favore non mettiamoci da sole il bavaglio (questo non si dice perché somiglia a quel che dice la Meloni… ). È tempo di pensiero. Certo, ci si può sempre accontentare di confondere libertà con trasgressione, sposando un ribellismo reattivo che ci configge nella nostra subalternità (mi avete voluto madre, ora guardate un po’ io ci sputo sopra e faccio business del mio pancione). Sarebbe però onesto dire, almeno, che proprio sulla confusione tra mero ribellismo e ricerca di libertà corre, da sempre, la “spaccatura” del femminismo moderato e subalterno con quello radicale, il vituperato femminismo della differenza che Melandri dipinge come vecchio e superato, datandolo agli anni Ottanta. Potrebbe ben dire i Settanta, se per questo, quando alcune, per contrapporsi al patriarcato, non trovarono di meglio che chiedere il diritto di abortire a nove mesi e le radicali fecero notare che non si fa politica con richieste irreali come il diritto all’infanticidio. Oggi, per sentirsi libere, si reclama il diritto di vendere o regalare i bambini. Chi mette vino vecchio in otri nuovi?
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