Giustizia climatica. La denuncia di 6 giovani portoghesi

Tratto da Ytali.com

È iniziato a Strasburgo il processo contro 32 stati per violazione dei diritti umani intentato da sei giovani portoghesi. La prima denuncia sul cambiamento climatico davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, un processo unico nel suo genere, in un anno di numerosi record legati al riscaldamento globale.
Cláudia Agostinho (24 anni), Martim Agostinho (20), Mariana Agostinho (11) e Catarina Mota (23), Sofia Oliveira (18) e André Oliveira (15), hanno intentato la causa nel 2017, dopo i devastanti incendi di Pedrógão Grande e Mação – una zona a circa due ore di macchina a nord est di Lisbona – che causarono enormi danni e decine di morti. Con il sostegno del Global Action Legal Network (GLAN), un’associazione senza scopo di lucro che ha fornito sostegno legale fin dall’inizio del processo, hanno portato il caso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a Strasburgo, davanti a una giuria che analizzerà l’accusa mossa a 32 Stati di non fare abbastanza in termini di azione per il clima.

La causa è stata originariamente intentata nel 2017 contro tutti i 27 Stati membri dell’Ue, più Norvegia, Russia, Svizzera, Turchia, Regno Unito e Ucraina. Questi Paesi rappresentano infatti i principali responsabili per le emissioni di gas serra in Europa. In seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, i giovani ricorrenti hanno ritirato la causa contro l’Ucraina. 

L’inazione dei governi, secondo i giovani, costituisce una violazione dei diritti umani.

“Questi ultimi sei anni sono stati pieni di sfide, ha detto Cláudia Duarte Agostinho, 24 anni, la più anziana del gruppo. Quello che abbiamo cercato di fare è stato prendere una posizione: dire ai governi che siamo davvero delusi e che abbiamo bisogno che adottino azioni e misure urgenti, affinché possiamo avere il futuro che meritiamo. Un futuro sicuro.”

Secondo i giovani, le ondate di calore e di siccità che negli ultimi anni hanno colpito il Portogallo minano in maniera consistente la qualità della vita privata mettendo a rischio anche il proprio futuro.

 

I sei giovani portoghesi, autori della denuncia: da sinistra, in alto: André Oliveira, Catarina Mota, Cláudia Agostinho, Mariana Agostinho, Martim Agostinho. Sofia Oliveira (Photo: Global Legal Action Network)

 

La presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo, Síofra O’Leary, affiancata da sedici giudici della Grande camera della Corte, ha aperto l’udienza del caso “Duarte Agostinho e altri c. Portogallo e 31”, intorno alle 9:15 (ora locale). Gli Stati sono stati i primi a esporre le loro argomentazioni, in una posizione congiunta dei 32 Paesi, divisa in tre argomenti: la mancanza di giurisdizione e della possibilità di stabilire un rapporto fra responsabilità degli stati e il territorio di residenza dei giovani, presentata dall’avvocato britannico Sudhanshu Swaroop; il mancato esaurimento delle vie giuridiche nazionali, presentato dal procuratore belga Isabelle Niedlispacher; e l’assenza dello status di vittima, illustrata in udienza dal pubblico ministero Ricardo Matos, agente del governo portoghese presso la Corte. Quest’ultimo nel suo intervento ha affermato che il “danno” presentato dai ragazzi è troppo astratto: le prove scientifiche fornite in questo processo, afferma Ricardo Matos, stabiliscono gli effetti globali delle politiche climatiche, ma non provano il presunto danno personale ai giovani in particolare. Inoltre, i ricorrenti non hanno subito danni personali materiali a seguito degli incendi del 2017, suggerendo che l’unico danno diretto ai ricorrenti è stata la chiusura temporanea della scuola.

“Gli effetti del cambiamento climatico sulla popolazione generale sono innegabili, ha però affermato il procuratore. Nonostante ciò, tenendo conto del fatto che il cambiamento climatico colpisce tutti, tenendo conto della vulnerabilità dei diversi gruppi, nessuno dovrebbe poter rivendicare lo status di vittima.

Più tardi prenderanno la parola Dunja Mijatovic, commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Daniel Crespo, direttore generale dei servizi giuridici della Commissione europea, e Adele Mestad, della Rete europea delle istituzioni nazionali per i diritti umani.

Il processo, iniziato oggi, potrà durare fino a diciotto mesi; la sentenza della Corte sarebbe vincolante per gli stati e potrebbe creare un precedente per casi futuri simili a questo.

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