08 Dic Gioielliere condannato, il procuratore di Asti: “Salvini? Parla per slogan. Qui siamo oltre la legittima difesa, il video fa repulsione”
Tratto da Il Fatto Quotidiano
“Ci sarà qualcuno – spiega – che è più rigoroso o meno rigoroso, davanti ai casi di legittima difesa o presunta tale, parlo della società e, quindi, anche dell’interno della magistratura, ma qui non si tratta di ragionare per partito preso: in questo caso siamo completamente al di fuori del caso della legittima difesa”. “Noi magistrati – continua il procuratore – non abbiamo gli strumenti per cambiare le leggi, cosa che può invece fare il Parlamento. Inserendo nel codice penale cause di giustificazione, attenuanti, che al momento non sono previste”. Dovendo suggerire modifiche, afferma: “Si potrebbe tenere conto di certe situazioni: per dire, fu introdotta un’aggravante per i furti davanti al bancomat; qui si potrebbero inserire nel codice penale delle attenuanti, anche se quella della provocazione gli è già stata riconosciuta”.
Su eventuali responsabilità della politica, risponde: “È lo specchio della società come, per carità, lo è anche la magistratura. Però i politici dovrebbero fare uno sforzo maggiore, per veicolare un messaggio più razionale o responsabile”. A proposito della condanna chiarisce: “Non provo mai piacere quando una persona viene condannata, al massimo ci può essere soddisfazione se il nostro lavoro è stato fatto bene. Dopodiché, resta una vicenda triste, pensare che una persona, se la sentenza verrà confermata nei prossimi gradi, dovrà scontare il carcere. Ma noi dobbiamo applicare la legge, e mettere l’aspetto emotivo da parte”. Nello specifico, sull’entità della condanna poi spiega: “Bisogna tenere conto che la pena minima per un singolo omicidio è di 21 anni: dal punto di vista della pena, direi che è mite, tenendo conto dei limiti di legge”.
Sul fatto che il gioielliere avesse già subito una rapina nel 2015, che possa giustificare la sua reazione ora: “Dal punto psicologico è possibile che una persona maturi una certa voglia di rivalsa, e lo capirei – afferma il procuratore – ma non è ovviamente una giustificazione. E non lo giustifico”. Quindi un consiglio a Roggero: “Di rimettersi in discussione – conclude Mazzeo – e riflettere su quello che ha fatto: se la Procura e la Corte d’Assise, composta anche da giudici popolari, l’ha condannato, forse qualche domanda dovrebbe farsela”.
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