29 Set Non Una Di Meno in piazza: «L’aborto non si tocca»
Tratto da il Manifesto, di Giansandro Merli
Dio, patria, famiglia? No, grazie. Non Una Di Meno ha intenzione di rispedire al mittente il modello di società che ha in testa Giorgia Meloni. Da subito. Non è un caso che la prima mobilitazione nazionale dopo la vittoria delle destre sia del movimento femminista, che da sei anni riempie le piazze e si batte per la conquista di nuovi diritti di donne e persone lgbtqi+. I fazzoletti fucsia manifesteranno in 17 città. Roma, Torino, Milano, Verona, Bologna, Napoli, Palermo, Reggio Calabria e molte altre. «Non consideriamo la vittoria di Meloni un passo avanti, parla il suo curriculum politico. Non basta una premier donna, serve una premier femminista», tagliano corto le attiviste.
Il 28 settembre è la giornata internazionale per l’aborto libero, gratuito e sicuro. L’appuntamento nasce nel 1990 all’interno delle campagne per la depenalizzazione dell’aborto in America Latina. Ma è soprattutto dal 2016, spinto dalla nuova ondata transfemminista, che diventa un momento di lotta globale. In Italia Non Una Di Meno è scesa in piazza ogni anno chiedendo che l’interruzione volontaria di gravidanza sia garantita davvero, contro i limiti della legge 194 e gli ostacoli creati da un’obiezione di coscienza endemica. Secondo gli ultimi dati disponibili del ministero della Salute, relativi al 2020, è praticata dal 60% dei ginecologi al nord, 66% al centro, 79% al sud e sulle isole. Con picchi in Molise (83%) e Sicilia (86%).
Numeri che rappresentano una «fotografia sfocata» secondo le ricercatrici Chiara Lalli e Sonia Montegiove che hanno curato lo studio «Mai dati», pubblicato sul sito dell’Associazione Luca Coscioni. Attraverso l’accesso civico alle singole strutture sanitarie hanno ottenuto informazioni disaggregate che tracciano un quadro ancora più preoccupante. Nel 2021 in 72 ospedali l’obiezione (tra ginecologi, anestesisti, personale non medico) è tra l’80% e il 100%. In 11 regioni c’è almeno un ospedale dove sono tutti obiettori.
È in questo contesto che si inseriscono le parole pronunciate da Meloni durante la campagna elettorale: non voglio cancellare l’interruzione di gravidanza né la 194, ma applicarla in pieno garantendo il diritto a non abortire. Il problema denunciato da anni dalle associazioni femministe, però, è esattamente l’opposto. Lo mostrano i numeri.
Ieri, poi, nel consiglio regionale ligure i tre consiglieri di Fratelli d’Italia sono stati gli unici ad astenersi nella votazione di un ordine del giorno sul «diritto delle donne di scegliere l’interruzione volontaria di gravidanza». Il documento è stato presentato dal Pd e approvato con 21 voti. Oltre a quello dei dem ha avuto il sostegno di M5s, Lista Sansa, Lista Toti, Lega e Forza Italia. Altri 6 consiglieri, di centrodestra e centrosinistra, erano fuori dall’aula.
L’Odg impegna la giunta Toti a rimuovere le difficoltà nell’accesso alle strutture che effettuano l’Ivg e sostenere la richiesta al parlamento europeo di inserire il diritto all’aborto legale e sicuro nella Carta dei diritti fondamentali Ue.
L’allarme del movimento femminista e delle associazioni che si battono per i diritti civili, comunque, va oltre il tema specifico. Il giorno dopo le elezioni politiche l’organizzazione Pro Vita & Famiglia ha lanciato una petizione per chiedere un «ministro dell’Istruzione schierato contro l’ideologia gender (sic) nelle scuole».
Dove gli studenti sono già sul piede di guerra. Lunedì è stato occupato il liceo Manzoni a Milano. «Il 18 novembre saremo in piazza in tutta Italia contro l’avanzata delle destre», annuncia l’Unione degli studenti.
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