22 Set La Destra e il Dio italiano
Tratto da La Repubblica
Arruolato nel 2020, il buon Dio si trova da tempo impigliato con la patria e la famiglia nella santa trinità meloniana che non ha ascendenze nelle sacre scritture, ma è di pronto consumo politico, al servizio del nazionalismo. È un Dio di destra, più biblico che evangelico, indigeno piuttosto che universale, ideologico prima che ecumenico, quasi spaventato nonostante la sua eterna onnipotenza. A sorpresa, infatti, ha bisogno di protezione. “Dobbiamo difendere la nostra identità, religiosa e familiare — ha spiegato Giorgia Meloni al Forum di Budapest, davanti al Primo Ministro ungherese Viktor Orbàn che la applaudiva — . Dobbiamo difendere i nostri diritti, senza la nostra identità, senza famiglia, siamo numeri e basta. Dobbiamo difendere Dio e gli elementi della nostra civiltà. Ci vogliono convincere che non siamo al passo con i tempi, ma si sbagliano di grosso”.
La formula della nuova trinità declinata da Mazzini nei “Doveri dell’uomo” era stata rilanciata nel mercato politico della contemporaneità da Donald Trump, che la pronunciò proprio davanti alla leader di Fratelli d’Italia invitata nel 2020 al National Prayer Breakfast di Washington, e subito pronta a impadronirsi di quelle parole: “in Italia sembrano quasi eversive — spiegò — mentre negli Stati Uniti vengono dal governo e danno risposte importanti”. Dio, patria e famiglia, dunque, come triplice stella cometa per illuminare il cammino verso il presepe ideologico che la destra estrema sta costruendo nel nostro Paese. Con quale obiettivo?
Ogni presidente americano, di qualsiasi partito, conclude i suoi discorsi con l’invocazione “God bless America”, riconfermando così il fondamento religioso del patto tra i cittadini e il Paese, e tra la comunità civile nel suo insieme e il Dio dei padri pellegrini: nella convinzione che quella benedizione continui a proteggere gli Stati Uniti e la loro missione e assicuri un vincolo morale all’agire politico. Nello stesso tempo lo Stato più potente al mondo con quella preghiera si affida a Dio, riconoscendo la necessità della sua benevolenza dal cielo come garanzia del proprio primato in terra.
Nella traduzione italiana invece, come spesso accade, si è perso qualcosa, e si è aggiunto qualcos’altro, che sposta il discorso e trasfigura la stessa icona divina e la sua missione. Lo schema infatti non è quello di una società libera e risolta nella sua scelta per la democrazia, intesa come una conquista perenne grazie al concorso dei cittadini perché “il governo del popolo, dal popolo, per il popolo non abbia a perire”, secondo la formula di Lincoln. Nel richiamo di Meloni a Dio (non un’invocazione, ma un’alleanza) c’è piuttosto l’idea di una comunità assediata e insidiata, sollecitata dalla destra di governo a rendersi conto della minaccia che la sovrasta attraverso l’omologazione o addirittura la sostituzione dei suoi valori tradizionali, inghiottiti dal nulla cosmico e uniforme della globalizzazione.
È il profilo, disegnato da Meloni e Salvini, di un Paese costretto sulla difensiva, disorientato. Anzi, non un Paese, ma una nazione: perché a questo punto è chiaro che per la destra il nuovo cittadino ideale — anzi il patriota — è colui che avverte e valorizza il vincolo di origine e di sangue, di discendenza e di appartenenza, oltre che di lingua e di storia. Dunque una nazione impaurita e risentita, allarmata dal governo, chiamata a fronteggiare addirittura uno smarrimento di civiltà nel cozzo con la modernità, che continua ad aprirsi la strada mandando in avanscoperta la crisi, prima economica e finanziaria, poi sanitaria e infine geopolitica, mentre autorizza la confisca delle decisioni nella dimensione transnazionale che sovrasta e controlla ogni cosa.
Tutto questo genera il timore politico di non riuscire a governare il cambiamento e lo proietta in un’altra dimensione, esistenziale, popolata dagli incubi dell’immigrazione, dall’arrivo di popoli “alieni”, dallo smarrimento di finire globalizzati a casa propria perdendo i fili di un’appartenenza comune. La destra suggerisce all’individuo queste paure invece di emanciparlo, gli sceneggia il nuovo sentimento politico dell’epoca, il timor panico della caducità che spezza la catena del riconoscimento reciproco attraverso la custodia perenne degli elementi primordiali del mito originario (terra, sangue, pelle) trasmessi fin qui attraverso il passaggio nelle generazioni. Prende forma così l’ultima angoscia, che diventa politica: il terrore della dispersione identitaria, con gli elementi caratteristici del nostro modo di vivere che svaniscono anch’essi nell’insignificanza del buio mondializzato.
La reazione della destra riarma i confini, mobilita le aziende e le famiglie, sollecita la scuola e la cultura, chiama in campo le imprese e i prodotti nazionali, tutto ciò che può creare identità, o almeno difenderla, comunque richiamarla. E anche Dio, inevitabilmente, viene convocato a fare la sua parte, ridotto a elemento identitario, rinchiuso nella tradizione, tutelato come tratto distintivo del paesaggio culturale e valoriale della nazione. Un Dio italiano che inevitabilmente diventa campione del cristianismo, cioè dell’uso politico della fede: in una comunità nazionale che da genealogica diviene ideologica, come non accadeva da decenni, chiamata infine a barattare il culto laico e costituzionale del “demos” con la resurrezione dell’idolatria dell’ “ethnos”.
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