05 Mag IL GANDHI TURCO É FORTE, BATTERÁ ERDOĞAN?
Tratto da Critica Liberale di Ettore Maggi
Tra due settimane si svolgeranno in Turchia le elezioni presidenziali e parlamentari, previste per il 2022, ma posticipate di un anno da Erdogan.
Le elezioni del 2023 sono considerate cruciali per il futuro politico della Turchia. Il lungo dominio del Sultano e del partito da lui creato, l’AKP, che governa il paese insieme all’estrema destra del MHP (il braccio politico dei Lupi Grigi, organizzazione terroristica in Francia e Austria[I] da circa vent’anni, potrebbe essere a un punto di svolta.
L’opposizione a Erdogan è ancora forte nonostante la continua repressione (la Turchia ha un numero impressionante di prigionieri ed esuli politici, e per un periodo ha avuto il maggior numero di giornalisti incarcerati al mondo[II], in particolare dopo il controverso tentato golpe del 2016 (a seguito del quale Erdogan è riuscito a liberarsi di molti militari kemalisti).
L’AKP ha subito una serie di sconfitte elettorali negli ultimi anni, sia a livello nazionale che locale.
Il colpo più duro probabilmente è stato la vittoria di Imamoglu (del partito kemalista progressista CHP) nel 2019 nelle elezioni comunali di Istanbul. Erdogan ha cercato di metterlo fuori gioco, con la condanna a tre anni per insulti a pubblico ufficiale. Una dura repressione ha colpito anche i vertici del partito di sinistra libertaria HDP, di cui i falchi dell’MHP chiedono da tempo la messa fuori legge.
Accusati di terrorismo e legami con il PKK, molti deputati e dirigenti del partito HDP sono stati arrestati con debolissime e spesso pretestuose accuse. Lo stesso copresidente Selahattin Demirta si trova in carcere da quasi sette anni, nonostante la corte europea ne abbia chiesto la scarcerazione e abbia condannato il governo turco[III].
Per distogliere l’attenzione dal conflitto interno e dai grossi problemi economici[IV], Erdogan ha ripreso la strategia di stimolare il sempre forte nazionalismo turco, il cui richiamo fa sempre breccia anche sui nemici kemalisti. D’altronde l’abilità del Sultano è stata quella di unire il nazionalismo di matrice kemalista laico con l’islamismo ecumenico dell’impero ottomano, che proprio i Giovani Turchi di cui faceva parte Ataturk avevano combattuto, unendo il nazionalismo all’islamismo, ma rigettando il laicismo, accelerando così quella marcia verso il neo ottamanesimo iniziata molti anni fa da Turgut Ozal.
E qual è la carta migliore da giocare per gli ultra nazionalisti turchi? Attaccare i curdi e i greci.
In questo senso probabilmente la tattica di Erdogan sarebbe più efficace se Trump fosse stato confermato alla presidenza degli USA. Infatti i due attacchi alla federazione del Rojava (le operazioni Ramoscello d’olivo nel 2018 ad Afrin, favorita dalla Russia e Sorgente di Pace, nel 2019 nel nord est, favorita dalla smobilitazione di parte dei soldati USA – azione che provocò le dimissioni del generale Mattis[V]) sono avvenuti durante la presidenza del miliardario newyorkese.
Non avendo avuto il disco verde né da Biden né da Putin per una ulteriore invasione, e aver cercato di attribuire ai curdi l’attentato di Instanbul[VI] l’aviazione turca continua i bombardamenti sia sul Kurdistan siriano (Rojava), sia sul Kurdistan iracheno, continuando a utilizzare le milizie jihadiste come proxy. E soprattutto l’esercito turco e i servizi segreti hanno cercato di assassinare il comandante in capo curdo delle forze armate della federazione della Siria del Nord, Mazloum Abdi[VII], attentato andato in fumo a causa della presenza, forse non casuale, di due generali americani.
Sul fronte greco, il Sultano non ha mai smesso di minacciare un attacco militare contro il nemico storico dei turchi, [VIII] atteggiamento che secondo l’analista Daniel Pipes rischia di creare un futuro conflitto interno alla NATO. Secondo Pipes: «Da islamista e jihadista qual è, Erdoğan potrebbe plausibilmente tentare di conquistare tutta Cipro e perfino tutta la Grecia. Ha già invaso Iraq, Siria e Libia; Kastellorizo sarebbe il passo successivo verso un furore che potrebbe estendersi a tutte le parti dell’Impero ottomano, che era all’apice del suo splendore, cinque secoli fa. Chi lo fermerà? Tutti i leader chiave – quelli di Stati Uniti, Germania, Russia e Cina – sorridono a Erdoğan, rendendo difficile immaginare come verrà scoraggiato questo nemico a lungo sottovalutato e del tutto determinato»[IX].
Al momento, i sondaggi non sono buoni per il Sultano. Dei candidati per le presidenziali il favorito è Kemal Kılıçdaroğlu, il leader del partito kemalista progressista CHP (lo stesso del sindaco di Istanbul, che la condanna già accennata prima ha obbligato a fare un passo indietro), sostenuto anche da altri movimenti tra i quali il partito YSP (sinistra ecologista), in cui è confluito l’HDP.
Erdogan, che ha avuto un malore durante un comizio il 25 aprile[X], (curiosamente il giorno successivo dell’anniversario del genocidio armeno, tuttora fortemente negato dalle autorità turche e causa di problemi diplomatici con le nazioni che lo hanno riconosciuto), si è lanciato in promesse azzardate: riportare l’inflazione a una cifra, aumenti salariali, abitazioni per le famiglie in difficoltà, tagli alle bollette.
Vedremo se il Sultano riuscirà ancora una volta, dopo vent’anni, a mantenere il potere ed eventualmente a rafforzarlo.
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