2 GIUGNO DEL 1946: LA RIVOLUZIONE ITALIANA

Il 2 giugno del 1946 la popolazione italiana fu chiamata alle urne per scegliere la forma di Stato e per eleggere l’Assemblea Costituente. In quel giorno l’Italia sconfisse il suo “ancien règime” rappresentato dalla monarchia e dal clericalismo che ad essa è sempre stato connaturato e funzionale.


A differenza del popolo americano, il 4 luglio, o di quello francese, il 14 luglio, abituati ad esultare e a godere nelle strade e nelle piazze la giornata del trionfo laico e popolare, noi celebriamo con un po’ di distacco questa ricorrenza, a meno di considerare giubilo la contemplazione in televisione di una tetra sfilata militare o delle evoluzioni delle frecce tricolori.

Eppure, a differenza di ogni altro paese, in Italia la Repubblica nacque esclusivamente dalla volontà e dal pronunciamento pacifico di uomini e donne finalmente alla pari come cittadini. Pari come cittadini ma dispari in numero, poiché le donne che si recarono ai seggi furono molte più degli uomini, forse perché affamate di quel diritto fondamentale che da sempre veniva loro negato e mosse da quel coraggio creativo, tipicamente femminile, che non teme i grandi cambiamenti.

Dalle urne, uscirono 12.718.000 voti per la repubblica e 10.719.000 per la monarchia. La percentuale dei votanti superò l’89%. Per il maggior numero di votanti di sesso femminile e per la voglia di riscatto che quella partecipazione massiccia rivelava, è legittimo attribuire alle donne i maggiori meriti nella scelta repubblicana che allora il nostro Paese fece.

La compagine formata dalla casa reale e delle forze clerico-monarchiche, post-fasciste e democristiane, forzando la propria cultura e tradizione, aveva aperto alla partecipazione al voto da parte delle donne, ritenendole più inclini ad accogliere le raccomandazioni del parroco, e comunque più orientate all’obbedienza ai simboli tradizionali del potere: clero e corona. Non avevano previsto nei loro calcoli elettorali, la voglia di riscatto e di libertà delle donne, un protagonismo che non era rimasto appannaggio esclusivo di quelle attive nella Resistenza prima, ed ora nella vita politica, ma aveva raggiunto il cuore e la mente di tantissime donne. Mancano elementi per affermare che fu il voto femminile a fare pendere la bilancia dalla parte della repubblica, ma non mancano indizi in tale senso: la percentuale di votanti donne fu più alta rispetto ai votanti maschi nell’Italia meridionale e insulare. Inoltre alle elezioni amministrative furono elette più donne di quanto si potesse prevedere: circa 2000 consigliere comunali. Furono 21 quelle elette nell’Assemblea Costituente. Quel che è certo è che il voto di quel 2 giugno fu considerato dalla maggioranza del popolo italiano l’opportunità irripetibile per realizzare un grande cambiamento nel segno della massima radicalità: una vera rivoluzione, sebbene condotta con metodi pienamente democratici. «Mai nella storia è avvenuto, né mai ancora avverrà, che una Repubblica sia stata proclamata per libera scelta di popolo mentre era ancora sul trono il re», affermò Calamandrei. Dunque, viva la rivoluzione laica del 2 giugno!

 

Silvio Lavalle

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