06 Ott Meloni, sgambetto a Montesquieu
L’attacco della premier alla sentenza di Catania trasforma un contrasto tra istituzioni nell’individuazione di elementi anti-italiani, con una potenziale rottura dell’equilibrio tra poteri
Tratto da Repubblica
L’azione del governo sta diventando affannosa su parecchi fronti, economici e politici. Intanto le elezioni dell’Europarlamento si approssimano: il disegno di FdI è di modificare l’attuale maggioranza a Strasburgo (popolare, socialista e liberale), entrando eventualmente a fare parte, in veste di partito conservatore, di una nuova configurazione politica, mentre la Lega intende rafforzare la propria posizione di estrema destra. Così, la concorrenza entra nell’area di governo: Meloni infatti non può permettersi, davanti all’elettorato italiano, di apparire troppo moderata, e di lasciare eccessivo spazio alla Lega. Alle prossime elezioni si pesano i rapporti di forza tra partiti, e quindi la strategia in Europa diventa tattica in Italia.
Ma per non acuire troppo i contrasti interni la destra accede a una linea comune: l’individuazione di responsabili, tanto esterni quanto domestici, su cui concentrare il fuoco polemico, e l’attenzione dei cittadini. L’incombere del nemico azzera le critiche, e trasforma l’azione di governo in un mix di propaganda e di interventi estemporanei. Così tramutando le difficoltà in ostilità, siamo ormai in collisione con la Germania – al di là di quanto è ragionevole – sulla questione dei migranti, rilevante ma non cruciale, come invece il governo l’ha fatta diventare. Il che certo non ci aiuta al tavolo europeo in cui si decide la nuova forma del Patto di stabilità.
Così, ora abbiamo le esternazioni del Presidente del Consiglio contro la sentenza di Catania, che definisce illegittimo un decreto governativo in materia di trattenimento dei migranti richiedenti asilo e provenienti da “Paesi sicuri”. Non è il caso di entrare nel merito giuridico della questione, piuttosto intricata. Ciò che importa sono le reazioni politiche. E non tanto quelle di FdI, che definiscono “ideologica” la sentenza: in un partito è ammissibile questa posizione. E neppure è da criticare il fatto che il ministero dell’Interno abbia impugnato la decisione: si tratta di un meccanismo previsto, in virtù del quale un altro giudice emetterà il giudizio. Il problema sta nelle espressioni che Meloni utilizza sui social: secondo lei, mentre il governo tenta di fronteggiare e contrastare la sfida dei migranti, altri Stati lavorano “nella direzione opposta” e “perfino un pezzo d’Italia fa tutto il possibile per favorire l’immigrazione illegale”.
Un problema, una difficoltà, risolti con l’evocazione del nemico esterno e del nemico interno, con un atteggiamento all’apparenza difensivo fino al vittimismo. Ma in realtà vi è in tutto ciò una forte aggressività, là dove il Presidente del Consiglio, promettendo di “difendere la legalità e i confini dello Stato italiano senza paura”, sostiene che un pezzo di magistratura “si scaglia contro i provvedimenti di un governo democraticamente eletto”. Qui c’è l’idea che l’investitura popolare conferisca al governo la piena sovranità: un’idea più populista (o giacobina) che liberaldemocratica. Un’idea che va contro la tradizione moderna della democrazia costituzionale: a partire da Montesquieu e da Locke è stata operata una distinzione profonda fra le funzioni della sovranità, che non è mai tutta intera presso alcuna istituzione: una democrazia vive di equilibri, e di contrasti regolati, fra legislativo, esecutivo e giudiziario. Senza il momento elettorale, certo, non c’è democrazia; ma le elezioni, da sole, non bastano a definire una democrazia compiuta né a legittimare la superiorità dell’esecutivo.
In questo caso non è in gioco la questione del garantismo e neppure la vecchia polemica contro la magistratura che vuole fare politica: qui c’è anzi una politica che sembra voler gravare sulla magistratura in virtù del suo rapporto col momento elettorale – chi ha vinto le elezioni sente lecito opporsi a chi ha vinto un concorso -. E non a caso Salvini, di rincalzo, minaccia una “profonda riforma della giustizia”, evidentemente orientata a portare i magistrati sotto il controllo governativo.
Dietro la propaganda si è rivelata una verità: un fisiologico contrasto fra istituzioni è trasformato in un conflitto contro nemici anti-italiani, da risolvere con la forza di un governo elettoralmente plebiscitato e insofferente davanti agli ostacoli istituzionali, che reputa illegittimi. Un esito tanto grave non può nascere solo dalla volontà di far presa comunicativa sui cittadini: alla sua origine si deve ipotizzare se non un’estraneità certo un difficile rapporto con la politica intesa come mediazione ed equilibrio. Una difficoltà teorica e pratica che allontana la destra tanto dal conservatorismo a cui vorrebbe rifarsi quanto dalla tradizione democratica europea. E che rischia di collocarla semmai nei pressi di alcune democrazie “post-liberali” dell’Europa orientale. Cioè lontano dalla nostra Costituzione.
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