22 Dic Come funziona Brainoware, il computer che integra chip elettronici e neuroni umani
Realizzato negli Stati Uniti, è il primo passo per lo sviluppo di biocomputer che possano competere con le intelligenze artificiali digitali
Tratto da Wired, articolo di Simone Valesini
Reti neurali? Intelligenze artificiali? Chip neuromorfici? Si può fare di meglio. Invece di imitare il funzionamento del cervello umano nei nostri computer, perché non imitare i computer con i nostri cervelli. Parliamo di biocomputer, o come la chiamano alcuni esperti Oi, “intelligenze organoidi” (o magari organoidali), un nuovo approccio che fonde neuroscienze e computer science e sfruttare così la plasticità, la memoria e l’immensa capacità di calcolo del nostro “hardware” biologico, per potenziale le capacità dei calcolatori elettronici. Non si tratta di una novità, almeno in senso stretto (c’è chi ci ha provato, con successo, già una ventina di anni fa), ma un nuovo studio appena pubblicato su Nature Electronics descrive il più avanzato tentativo mai realizzato in questo campo: un dispositivo che combina organoidi cerebrali (microcervelli artificiali prodotti a partire da cellule staminali) e chip elettronici, che ha dimostrato di poter reggere il passo con le più evolute intelligenze artificiali tradizionali.
Seupercomputer biologici
Il prototipo è stato realizzato da un team di ricercatori della Indiana University di Bloomington guidato dall’esperto di ingegneria dei sistemi intelligenti Feng Guo, ed è la prima sperimentazione pratica di un approccio che i suoi ideatori hanno deciso di chiamare “Brainoware”. Lo scopo dei ricercatori è quello di sfruttare le potenzialità dei neuroni umani, chip biologici capaci di funzionare contemporaneamente sia da banchi di memoria che da microprocessori, integrandoli all’interno di un hardware elettronico responsabile di inviare gli input e di ricevere e interpretare gli output da loro elaborati.
Nel cervello umano sono concentrati qualcosa come 86miliardi di neuroni in costante comunicazione reciproca, connessi tra loro da circa un biliardo di sinapsi. La potenza di calcolo di questo organo per ora è ancora del tutto inavvicinabile con tecnologie elettroniche: il tentativo più ambizioso lo ha fatto nel 2013 il supercomputer K dell’Istituto di scienze computazionali avanzate Riken, in Giappone, e con i suoi 82mila processori e un petabyte di memoria ha impiegato 40 minuti per simulare circa il 2% delle attività che svolge il cervello umano in un secondo.
Con tanta potenza di calcolo, anche una porzioncina microscopica di tessuto cerebrale potrebbe rivelarsi estremamente utile e potente come hardware per un computer. E fortunatamente, oggi è facile procurarsene una, grazie agli sviluppi che ha avuto negli ultimi anni la tecnologia degli organoidi, piccoli organi artificiali che vengono creati a partire da cellule staminali, e indotti ad autorganizzarsi in strutture tridimensionali più simili possibile ad un organo umano in miniatura. Di norma, vengono utilizzati per studiare in vitro lo sviluppo e il funzionamento degli organi umani. Ma nulla vieta di collegarli a un computer, e vedere cosa accade. Ed è esattamente quello che hanno fatto i ricercatori americani.
Come funziona Brainoware
Il dispositivo è composto da un organoide formato da cellule cerebrali a vari stadi di sviluppo, collegate con degli elettrodi ad un computer tradizionale, responsabile della gestione di input e output. L’apparato è stato sviluppato utilizzando un protocollo di machine learning noto come reservoir computing, in cui le informazioni vengono elaborate da un reservoir (l’organoide in questo caso) che viene addestrato in modo non supervisionato, cioè senza nessuno che gli dica se quello che fa è giusto o sbagliato, mentre i suoi output vengono interpretati da un algoritmo addestrato sotto la supervisione degli sviluppatori. Praticamente, il minicervello biologico viene lasciato libero di cambiare i propri stati interni e le connessioni tra neuroni in funzione degli input elettrici che riceve, senza che nessuno intervenga in questo processo, mentre un hardware elettronico legge i dati in uscita e viene addestrato per interpretarli ed effettuare previsioni e classificazioni su di essi.
Le specifiche ovviamente sono materiale per esperti di machine learning e intelligenza artificiale, ma i risultati dell’esperimento sono affascinanti anche per i non addetti ai lavori. Per verificare le capacità del loro Brainoware i ricercatori lo hanno infatti messo alla prova su due compiti affidati di norma alle ai: il riconoscimento vocale e la soluzione di un problema matematico. Nel primo caso, al sistema sono state fornite 240 clip audio contenenti otto voci maschili che pronunciavano delle vocali, e gli è stato chiesto di identificare la persona registrata in ognuna delle clip. Nel secondo, è stato messo invece alla prova chiedendogli di prevedere l’evoluzione di un sistema dinamico, noto in matematica come attrattore di Hénon.
Brainoware è stato messo al lavoro per due giorni sul primo problema, ottenendo un’accuratezza del 78% nel riconoscimento degli otto diversi parlanti delle clip audio. Un po’ peggio, ma non di molto, di quanto ottenuto da rete neurale artificiale tradizionale. Nel secondo problema i risultati del biocomputer sono stati invece superiori a quelli di una rete neurale priva di memoria a lungo-breve termine (un meccanismo che permette di mantenere in memoria le informazioni elaborate in precedenza, fondamentale per il deep learning delle reti neurali), e di poco inferiori a quelle di una rete neurale con memoria a lungo-breve termine, che però necessità dell’equivalente di 50 giorni di addestramento di Brainoware per raggiungere questi risultati.
Etica e sviluppi futuri
Per ora, si tra di un esperimento che ha dimostrato la potenzialità degli organoidi cerebrali utilizzati come reservoir all’interno di una rete neurale artificiale ibrida. Si tratta di un primo passo, visto che al momento le performance sono inferiori a quelle delle intelligenze artificiali elettroniche, ma di quelli che potrebbero aprire le porte a una tecnologia completamente nuova. Di certo, non accadrà nel breve periodo, perché per tenere in vita l’organoide servono strumenti troppo costosi, complessi e energivori per essere trasportati al di fuori di un laboratorio di biotecnologie. Ma nell’arco di qualche decennio, tutto è possibile.
Nel frattempo, sarà importante tenere a mente gli aspetti etici di queste ricerche. Se per ora gli organoidi non sono altro che ammassi di neuroni privi di coscienza, lo sviluppo di queste tecnologie e la loro integrazione all’interno di reti neurali di complessità crescente è destinato a rendere sempre più sfumato il confine tra intelligenza biologica e artificiale. “Più aumenta la complessità di questi organoidi, più si fa critico per la comunità scientifica esaminare la miriade di questioni neuro-etiche che sorgono attorno ai biocomputer che incorporano tessuti neurali umani– scrive a proposito un gruppo di esperti in un commento pubblicato sullo stesso numero di Nature Electronics in cui sono presentati i risultati di Brainoware – Se probabilmente serviranno ancora decenni prima di poter creare sistemi di biocomputazione generale, queste ricerche genereranno con ogni probabilità intuizioni incredibili nello studio dei meccanismi dell’apprendimento, dello sviluppo neurale e nelle implicazioni cognitive delle malattie neurodegenerative”.
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