04 Ago A Ginevra vietati i battesimi nel lago Lemano
Tratto da Riforma.it, della Redazione
Polemiche nel cantone ginevrino per l’interdizione all’utilizzo di suolo pubblico per la cerimonia, ma ciò vale soltanto per le chiese che non hanno relazioni ufficiali con lo Stato
L’argomento ravviva il dibattito sulla laicità in Svizzera. Gli ambienti evangelici denunciano una «caccia alle streghe» in seguito alla decisione del Cantone di Ginevra, l’8 luglio, di vietare i battesimi organizzati da due parrocchie locali nelle acque del lago.
«È un abuso di autorità», ha dichiarato all’agenzia stamp AFP Jean-François Bussy, presidente della Federazione evangelica del vicino cantone di Vaud, dove i battesimi sono ancora permessi. «Non abbiamo avuto lamentele nel cantone di Vaud, che è molto più liberale in questo senso rispetto a Ginevra, che a mio parere applica un laicismo fondamentalista e una caccia alle streghe del tutto detestabile», ha commentato il presidente di questa sezione della Rete evangelica elvetica, che conta circa 40.000 membri nella Svizzera francese.
Insieme a Neuchâtel, Ginevra è uno dei due soli cantoni prettamente laici della Svizzera: la separazione tra Stato e Chiesa è sancita per legge dal 1908 ed è stata rinforzata dalla norma del 2019 che stabilisce con chiarezza i rispettivi limiti. Ginevra è famosa per aver accolto nel 1536 il teologo francese Giovanni Calvino, che fece di questa città la patria della Riforma protestante e la cui statua monumentale si trova ancora sotto le mura della città vecchia. «Il battesimo è una forma di culto», hanno dichiarato le autorità cantonali, mentre il Cantone «ha stabilito il principio che gli eventi religiosi si debbano svolgere su proprietà private», escludendo le rive e le spiagge pubbliche del Lago di Ginevra.
«Solo le organizzazioni ammesse a intrattenere rapporti con lo Stato possono richiedere l’autorizzazione di un evento religioso sul suolo pubblico», e le due parrocchie evangeliche non sono tra queste, aggiungono. Per essere incluse nella lista, queste organizzazioni devono impegnarsi a escludere atti di violenza fisica o psicologica, abusi spirituali e discriminazioni sulla base dell’origine etnica o nazionale e dell’identità sessuale e di genere.
Jean-François Bussy riconosce che alcune parrocchie evangeliche hanno fatto ricorso «due o tre decenni fa» alle «terapie di conversione», che pretendono di curare l’omosessualità e sono state vietate in diversi cantoni. «Questo non ha nulla a che vedere con l’oggi», sostiene, aggiungendo che la rete evangelica svizzera «ha preso una posizione molto chiara contro tali pratiche». Secondo lui, «non è chiaro cosa spinga l’autorità cantonale a vietare manifestazioni di questo tipo che non violano l’ordine pubblico», costituendo un «esempio pacifico di una pratica religiosa lodevole». La polemica è servita.
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