20 Set Le radici laiche della Costituzione italiana
19 settembre 2019
Sergio Foà (Professore Ordinario di Diritto amministrativo nell’Università di Torino)
1) L’affermazione del principio di laicità come principio supremo dell’ordinamento costituzionale.
CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA 203 DEL 1989
(SULL’INSEGNAMENTO RELIGIONE CATTOLICA): ESTENSORE CASAVOLA (da giovane
membro della Federazione Universitaria Cattolica Italiana)
- – Questa Corte ha statuito, e costantemente osservato, che i principî supremi dell’ordinamento costituzionale hanno “UNA VALENZA SUPERIORE RISPETTO ALLE ALTRE NORME O LEGGI DI RANGO COSTITUZIONALE, sia quando ha ritenuto che anche le disposizioni del Concordato, le quali godono della particolare copertura costituzionale fornita dall’art. 7, secondo comma, della Costituzione, non si sottraggono all’accertamento della loro conformità ai principi supremi dell’ordinamento costituzionale (v. sentenze n. 30 del 1971, n. 12 del 1972, n. 175 del 1973, n. 1 del 1977 e n. 18 del 1982), sia quando ha affermato che la legge di esecuzione del Trattato della C.E.E. può essere assoggettata al sindacato di questa Corte in riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai diritti inalienabili della persona umana (v. sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984)” (cfr. sentenza n. 1146 del 1988).
Pertanto la Corte non può esimersi dall’estendere la verifica di costituzionalità alla normativa denunziata, essendo indubbiata di contrasto con uno dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale, dati i parametri invocati, artt. 2, 3 e 19. In particolare, nella materia vessata gli artt. 3 e 19 vengono in evidenza come valori di libertà religiosa nella duplice specificazione di divieto: a) che i cittadini siano discriminati per motivi di religione; b) che il pluralismo religioso limiti la libertà negativa di non professare alcuna religione. - – I valori richiamati concorrono, CON ALTRI (ARTT. 7, 8 E 20 DELLA COSTITUZIONE), A STRUTTURARE IL PRINCIPIO SUPREMO DELLA LAICITÀ DELLO STATO, CHE È UNO DEI PROFILI DELLA FORMA DI STATO DELINEATA NELLA CARTA COSTITUZIONALE DELLA REPUBBLICA.
Il principio di laicità, quale emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma GARANZIA DELLO STATO PER LA SALVAGUARDIA DELLA LIBERTÀ DI RELIGIONE, IN REGIME DI PLURALISMO
CONFESSIONALE E CULTURALE1. Il Protocollo addizionale alla legge n. 121 del 1985 di ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede esordisce, in riferimento all’art. 1, prescrivendo che “Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano”, con chiara allusione all’art. 1 del Trattato del 1929 che stabiliva: “L’Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell’art. 1 dello Statuto del regno del 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato”.
1 È una LAICITÀ POSITIVA: La Corte costituzionale NON HA INVECE ACCOLTO QUELLA CONCEZIONE DELLA “LAICITÀ-NEUTRALITÀ”, considerata «l’espressione più propria della laicità» da un giurista di accentuata sensibilità democratica come Costantino Mortati: una concezione che, al contrario di quella accolta dai nostri giudici costituzionali, comporta l’irrilevanza per lo Stato e per le istituzioni repubblicane dei rapporti derivanti dalle convinzioni religiose dei suoi cittadini, nel senso di considerarli fatti privati da affidare alla coscienza dei credenti.
La scelta confessionale dello Statuto albertino, ribadita nel Trattato lateranense del 1929, viene così anche formalmente abbandonata nel Protocollo addizionale all’Accordo del 1985, riaffermandosi anche in un rapporto bilaterale la qualità di Stato laico della Repubblica italiana.
- – Per intendere correttamente a qual titolo e con quali modalità sia conservato l’insegnamento di religione cattolica nelle scuole dello Stato non universitarie entro un quadro normativo rispettoso del PRINCIPIO SUPREMO DI LAICITÀ, giova esaminare le proposizioni che compongono il testo del denunciato art. 9, numero 2, della legge n. 121 del 1985.
2) I riferimenti costituzionali del principio supremo di laicità dello Stato.
Artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione: PRINCIPIO SUPREMO DI LAICITA’ DELLO STATO
Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta
politica, economica e sociale.
Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignitasociale [XIV] e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso [292 , 371 , 481 , 511 , 1177 ], di razza, di lingua [6], di religione [8, 19], di opinioni politiche [22], di condizioni personali e sociali. E
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta` e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 7. Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale [138].
Art. 8. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge [19, 20]. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
Art. 19. Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purche´ non si tratti di riti contrari al buon costume [8, 20].
Art. 20. Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, ne´ di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacitagiuridica e ogni forma di attivita
[8, 19].
- Il dibattito in Assemblea Costituente.
SULL’ART. 7 RELAZIONE DI MEUCCIO RUINI: Nella definizione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, se tutti i membri della Commissione hanno convenuto che si deve riconoscere il diritto della Chiesa alla piena indipendenza nei suoi ordinamenti interni, alcuni hanno fatto riserve sulla formula di riconoscimento della sovranità. E se tutte le correnti politiche hanno dichiarato che non pensano a denunciare i patti del Laterano, alcune si sono opposte ad inserire il loro riconoscimento nella costituzione, quasi fossero parti dell’ordinamento della Repubblica. È PREVALSA LA TESI CHE CONSIDERA IL CATTOLICESIMO, PER LE TRADIZIONI STORICHE DI NOSTRA CIVILTÀ, E PER L’APPARTENENZA DELLA GRANDISSIMA MAGGIORANZA, COME LA RELIGIONE DEGLI ITALIANI E RITIENE CHE I PATTI INTERCEDENTI FRA STATO E CHIESA DEBBANO AVERE UNA SPECIALE POSIZIONE
DI NATURA COSTITUZIONALE, tale tuttavia che una loro modificazione bilateralmente accettata non importi processo di revisione costituzionale.
Sull’art. 8 e 19 egualmente libere col limite del buon costume
Il solo punto controverso è: «purché non si tratti di principî o riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume». L’onorevole Binni propone di cancellare tutta la frase, ispirandosi ad un apprezzabile riguardo verso le attuali chiese minori, che non sono in contrasto con il buon costume e l’ordine pubblico; ma vi sono proposte di tali chiese, ad esempio delle evangeliche, che fanno proprio, almeno in parte, il testo della Commissione, e dicono: «purché non si tratti di principî o riti contrari al buon costume».
L’Assemblea Costituente deciderà in questa questione. Si potrebbe, andando più in là di quanto chiedono gli evangelici, togliere la parola «principî», che potrebbe prestarsi a discussioni più teoriche; e lasciar soltanto «rito»: un limite occorre. Vi possono essere riti contrari al buon costume («stravaganti» dice in un suo emendamento l’onorevole Nobile); si è accennato ai nudisti, ai tremolanti, alla setta russa degli eviratori, che predica il sacrificio di Origene. Vi saranno o no in Italia, e comunque deciderà volta per volta lo Stato, se il buon costume sia o no offeso; ma non può dar senz’altro via libera.
Le questioni più vive ed ardenti sorgono per aggiunte che si inseriscono, per così dire, fra il vecchio ed il nuovo; ed hanno diritto di essere prese in esame. Si tratta di aggiungere che: «tutte le confessioni religiose sono uguali di fronte alla legge». L’espressione
«tutte» era stata fin dalla prima discussione avanzata dall’onorevole Lucifero, in luogo alle «altre» che aveva un senso, quando era collegata alle altre disposizioni dell’articolo 7 sulla Chiesa cattolica; ma ora che è avvenuto il distacco, deve essere senza dubbio sostituita; alcuni propongono «tutte»; altri «le confessioni diverse dalla cattolica». Con quest’ultima dizione si elimina il punto vero del dibattito; che vede, invece, con la formula Lucifero
«tutte», implicarvi la questione dell’eguaglianza fra la religione cattolica e le minori confessioni.
SULL’ART. 19: DIRITTO ALL’ATEISMO? DIRITTO AL PENSIERO LAICO.
Presidente Terracini. L’onorevole LABRIOLA (UNIONE DEMOCRATICA NAZIONALE) ha presentato il seguente emendamento aggiuntivo:
«Sono pienamente libere le opinioni e le organizzazioni dirette a DICHIARARE IL PENSIERO LAICO od estranee a credenze religiose».
Labriola. Nell’articolo 16 del progetto in esame si parla di credenze religiose, di fede religiosa e di Chiese di vario genere, ma non vi è nessun cenno dell’esistenza di organizzazioni dette «del libero pensiero», o che prendono un nome analogo. Dette organizzazioni non hanno a che vedere con le Chiese, sia pure del più vario tipo.
Si potrebbe sostenere che con l’articolo 16 dello stesso progetto di Costituzione, il caso di queste libere organizzazioni sia stato riconosciuto, poiché si parla del fatto che i cittadini hanno piena libertà di esprimere il loro pensiero. Si potrebbe anche aggiungere che, essendo stato riconosciuto coll’articolo 13 il diritto di libera associazione di tutti i cittadini, si è implicitamente ammessa la legalità delle organizzazioni le quali possono diffondere un pensiero come quello definito libero.
Tuttavia, poiché così a lungo si è discusso intorno alle singole confessioni e si è parlato delle varie Chiese cristiane, io trovo naturale e giusto che proprio in questa sede di discussione il discorso cada su quelle organizzazioni le quali non possono considerarsi come professanti opinioni mistiche o trascendenti. Aggiungo che, quando io propongo si tenga conto dell’esistenza di queste organizzazioni, di questi aggruppamenti, e delle opinioni relative, non faccio opera di opposizione alle confessioni e alle dottrine religiose dichiarate. Potrei essere un cattolico, e proporre questo articolo; potrei essere un evangelico o un israelita, e proporre appunto l’articolo medesimo. Mi preoccupo del fatto che, tacendo degli aggruppamenti laicistici e del libero pensiero, voi lasciate aperto il campo alla possibilità che domani un Governo, quale esso sia, possa interdire il diffondersi di UN’OPINIONE NON CONFESSIONALE. Vi sono uomini, vi sono nuclei, vi sono organizzazioni, che non sanno collocarsi in una dottrina religiosa determinata, e io chiedo per essi il diritto di organizzarsi e far propaganda. Del resto e di passaggio, alcuni hanno assunto che anche l’ateismo può essere una religione; Hebbel era un ateo e si proclamava un credente, Spengler diceva appunto che anche l’ateismo possa essere una religione. Ma smettiamo di teologizzare.
Tuttavia, non è di ciò che io parlo; constato il fatto dell’esistenza di uomini per i quali il pensiero laico od estraneo ai culti ha un valore assoluto, e dell’esistenza nel nostro Paese di organizzazioni le quali si propongono una critica del pensiero religioso in quanto sia concretato nelle forme di una fede, di un catechismo, di una dottrina. Il negare l’esistenza di queste correnti sarebbe negare la pura verità.
Constato che noi non abbiamo una statistica delle opinioni religiose del nostro Paese; l’ultima statistica a tale proposito mi pare sia quella che risulta dal censimento del 1912. Già io dissi che nel 1922, allorché si trattò di compilare il formulario del nuovo censimento, ogni cosa fu messa in opera perché il quesito relativo alle religioni non venisse considerato nella formula stessa. Quando ci riferiamo al censimento del 1912, troviamo indicato un gruppo di persone — senza confessioni, direbbero i tedeschi — rilevantissimo. Se non ricordo male, superava il milione.
Non so che cosa sia accaduto dal 1922 ai nostri giorni. Suppongo che le persone estranee ai culti siano diventate un tantino più numerose. Si parla molto degli israeliti, e per il rispetto che si deve al loro culto se ne parli finché si vuole; ma, in realtà, secondo la statistica del 1912, non si tratterebbe che di 60 mila persone; ora il preoccuparsi di 60 mila persone è cosa certamente egregia; ma l’occuparsi di opinioni che riguardano più di un milione di persone è cosa assai più importante e che non si può assolutamente trascurare.
Io vi ripeto ancora una volta che, a furia di voler sottilizzare, si potrebbe anche trovare che la propaganda di UN PENSIERO PURAMENTE LAICO, di un pensiero
estraneo a credenze positive, sia ammesso nell’articolo 16 del progetto di Costituzione e che nell’articolo 13 sia ammessa la loro libertà di organizzazione; ma io penso che sia meglio dichiarare esplicitamente — come si fa per i cattolici, i protestanti e gli israeliti — che i liberi pensatori non sono proscritti dalla nostra Costituzione. È una buona misura di precauzione.
Se infatti il Governo interdicesse domani la professione di un pensiero estraneo ad ogni culto positivo ed a qualsiasi credenza religiosa, potrebbe farlo — esagerando un poco, questo è vero — perché con l’articolo 7 o 5 del nostro progetto di Costituzione noi siamo legati ai Patti lateranensi. Questa mi parve allora, ed io lo dissi, cosa pericolosissima per tutti. Ci saremmo potuti trovare, come oggi ci troviamo, dinanzi al fatto che in determinati casi, quei Patti rappresentano un inutile ostacolo. Il resto lo vedremo quando si parlerà del divorzio… E quante difficoltà essi non potrebbero crearci per cose di minor conto!
Ricorderò ancora una volta che, per effetto dei Patti lateranensi, all’articolo 5 del concordato col Vaticano, l’Italia è tenuta ad escludere dall’insegnamento gli apostati, le persone che siano state colpite da una censura ecclesiastica. Il Buonaiuti non potrebbe mai più insegnare in Italia; eppure un ministro monarchico italiano, il Baccelli, volle in piena monarchia nominare l’Ardigò professore di filosofia nelle nostre università, e l’Ardigò, oltre ad essere l’unico grande filosofo italiano moderno che io conosca, era appunto un ecclesiastico «apostata», e anche il Renan, se per caso fosse venuto in Italia, non avrebbe potuto insegnare.
Perciò appunto può avere la sua importanza pratica che per coloro i quali non appartengono a culti generalmente riconosciuti, sia non solo ammessa la parità dei diritti con tutti gli altri italiani, ma la possibilità di far piena propaganda delle loro idee.
Domani un Governo, il quale lo volesse, potrebbe interdire le associazioni del libero pensiero, e bisogna impedire questa possibilità, per la democrazia e per la civiltà italiana.
Io non sono qui a fare l’apologista di nessuna fede che sia in contrasto con l’opinione degli altri: faccio una riserva a favore della libertà per tutti. Questa parola «libertà» è ripetuta sovente in quest’Assemblea; eppure accade che non sempre siamo disposti a trarne tutte le conseguenze. C’è sempre una riserva mentale a detrimento di qualcheduno.
Richiamo l’attenzione dei colleghi sul fatto che nell’articolo 16 non si parla che di una generica libertà di opinione, ma si potrebbe sostenere per il fatto che i Patti lateranensi sono inclusi nella nostra Costituzione, che alle organizzazioni che siano espressione del libero pensiero non sia lasciata la stessa libertà che agli altri cittadini. Per riservare a questi cittadini, ai quali appartengo io stesso, la libertà di fare la propaganda del loro pensiero, estranea ai culti positivi, ho proposto il mio emendamento o la mia aggiunta e potremmo consigliare a questi miei colleghi di destra dell’Assemblea Costituente, proprio socialisti e comunisti, di non rigettare la mia aggiunta e fare in modo che un gruppo notevole di cittadini possa affermare il diritto della propria opinione, ad ottenere il loro riconoscimento.
Noi abbiamo un’esperienza tale del passato che non ci permette di pensare che il passato non possa ritornare. Non dobbiamo dimenticare le lezioni del passato. La libertà di coscienza è cosa gravissima ed importantissima anche per coloro che non professano nessun culto riconosciuto. (Applausi).
CALOSSO (PSIUP) A proposito di questo emendamento, il meglio per tutti sarebbe che fosse proposto dai democristiani. (Commenti). Questo non è uno scherzo: è la realtà di tutta questa discussione da cui non sappiamo uscire, data l’antitesi tra clericali ed anticlericali.
Voi sareste più adatti di tutti ad afferrare il momento che sfugge e fare questa pacificazione religiosa che è nel pensiero delle sinistre. In quanto poi alla propaganda del libero pensiero — questa è una parola generica, qualche volta, banale — sarebbe più chiaro parlare dell’ateismo. Penso che anche in questo voi che vi chiamate cristiani, potreste essere i più interessati, perché il cristianesimo, durante tutto il primo secolo fu confuso con l’ateismo, mai con l’idolatria, mai col pio paganesimo. (Rumori — Commenti al centro).
- Lo Stato non può imporre “atti con significato religioso”.
LABRIOLA AVEVA RAGIONE:
CORTE COST. sentenza n. 117 del 1979, in cui si parla finalmente di libertà “negativa” di religione, precisando che la libertà di opinione religiosa del non credente, sia essa fatta derivare dall’interpretazione dell’art. 19 o dell’art. 21 Cost., implica “che il nostro ordinamento costituzionale esclude ogni differenziazione di tutela della libera esplicazione sia delle fede religiosa sia dell’ateismo, non assumendo rilievo le caratteristiche proprie di quest’ultimo sul piano teorico”. Inoltre, superando l’interpretazione restrittiva che aveva caratterizzato la giurisprudenza precedente, si sostiene che la libertà di coscienza, riferita alla professione sia di fede religiosa sia di opinione in materia religiosa, è violata non soltanto quando l’ordinamento statuale imponga a chicchessia atti di culto, ma anche “quando sia imposto al soggetto il compimento di atti con significato religioso” (si trattava, nello specifico, del giuramento del testimone nel processo civile). Ed è violata, altresì, laddove si pregiudichi, in qualsiasi modo, quel “diritto a non rivelare le proprie convinzioni” cui la Corte si era già riferita nella decisione n. 12 del 1972.
- Il controverso caso del crocifisso nelle scuole: il Consiglio di Stato arriva perfino a sostenere che è garanzia di laicità (!) e la CEDU in appello che è “simbolo neutro”.
È noto, a questo proposito, il caso Lautsi, conclusosi con la sentenza di Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo (ricorso n. 30814/06, Lautsi c. Italia) del 18 marzo 2011, dopo una serie di pronunce della giurisdizione amministrativa e costituzionale italiana.
- ordinanza della Corte costituzionale n. 389 del 2004, con cui fu dichiarata inammissibile la quaestio proposta dal Tar Veneto sulle disposizioni dei regi decreti del 1924 e del 1928 che prevedono la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche (trattandosi di norme regolamentari, come tali sottratte al sindacato del giudice delle leggi)
CROCIFISSO IN AULA GARANZIA DI LAICITA’!!! Forzatura del Consiglio di Stato.
- sono intervenute le sentenze n.1110 del 2005 del Tar Veneto (in una diversa composizione) e n. 556 del 2006 del Consiglio di Stato, ampiamente criticate in dottrina per la loro pretesa di “RIDEFINIRE” IL SIGNIFICATO DEL CROCIFISSO, INTERPRETATO “NON SOLO COME SIMBOLO DI UN’EVOLUZIONE STORICA E CULTURALE, E QUINDI
DELL’IDENTITÀ DEL NOSTRO POPOLO, MA QUALE SIMBOLO ALTRESÌ DI UN SISTEMA DI VALORI DI LIBERTÀ, EGUAGLIANZA, DIGNITÀ UMANA E TOLLERANZA RELIGIOSA E
QUINDI ANCHE DELLA LAICITÀ DELLO STATO, princìpi questi che innervano la nostra Carta costituzionale” (Tar Veneto, sentenza cit.). Il Consiglio di Stato ha addirittura precisato che “nel contesto culturale italiano, appare difficile trovare un altro simbolo (…) che si presti più di esso” ad esprimere i valori civili della nazione. Affermazioni in qualche misura paradossali, che hanno giustamente indotto a parlare di crocifisso statale, nazionale, tricolore.
Com’è noto, nel 2009 la Seconda sezione della Corte europea, decidendo sul medesimo ricorso, aveva ravvisato nella normativa regolamentare italiana relativa all’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche pubbliche una violazione dell’art. 2 del Protocollo n. 1 (diritto all’istruzione), esaminato congiuntamente all’art. 9 (libertà di pensiero, di coscienza e di religione) della Convenzione. Una pronuncia del tutto condivisibile, imperniata sulla valorizzazione della libertà negativa di religione (libertà di credere e di non credere), protetta dall’art. 9 della Convenzione, e sull’esigenza che lo Stato, nell’esercizio delle sue funzioni nell’ambito dell’educazione e dell’insegnamento, mantenga un’atteggiamento di neutralità (garanzia del pluralismo) e assicuri un ambiente scolastico aperto ed inclusivo. Nel contesto dell’educazione pubblica, il crocifisso – che ha un preminente significato religioso – può esercitare un’influenza particolare sugli allievi di giovane età, ancora privi di una piena capacità critica; esso viene necessariamente percepito come parte integrante dell’ambiente scolastico e può essere considerato come un “potente simbolo esterno” (sentenza Dahlab c. Svizzera, 2001), potenzialmente perturbante per allievi non cattolici o che non professano alcuna religione. Un rischio, dunque, particolarmente grave per gli appartenenti a minoranze religiose. Una pronuncia, inoltre, che – come osserva la stessa Corte EDU – appare coerente con la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana. E in effetti, anche in dottrina si è autorevolmente osservato come all’interprete sia lecito “collegare le rationes sviluppate dai due giudici rispettivamente nell’ordine interno e nell’ordine convenzionale, in quanto il discorso sulla libertà religiosa della Corte costituzionale trova rispondenza nella scelta della Corte europea di qualificare il crocifisso come simbolo religioso”, dal momento che l’esposizione per disposizione amministrativa del crocifisso appare al giudice convenzionale come un segno del fatto che lo Stato si colloca dalla parte della religione cattolica, così come la preferenza concessa ad una religione nel campo didattico “si è configurata per il nostro giudice costituzionale come una rottura del principio di laicità” (il riferimento è alla sentenza n. 203 del 1989).
Del tutto capovolta la prospettiva del discorso nella sentenza CEDU del 2011. Secondo i giudici della Grande Camera, se è vero che il crocifisso è prima di tutto un simbolo religioso, non sussistono tuttavia nella fattispecie elementi attestanti l’eventuale influenza che l’esposizione di un simbolo di questa natura sulle mura delle aule scolastiche potrebbe avere sugli alunni. Inoltre, pur essendo comprensibile che la ricorrente possa vedere nell’esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche frequentate dai suoi figli una mancanza di rispetto da parte dello Stato del suo diritto di garantire loro un’educazione e un insegnamento conformi alle sue convinzioni filosofiche, LA SUA PERCEZIONE PERSONALE NON È SUFFICIENTE A INTEGRARE UNA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 2 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CEDU
(DIRITTO ALL’ISTRUZIONE). Rendendo obbligatoria la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche, la normativa italiana attribuisce alla religione maggioritaria del Paese una visibilità preponderante nell’ambiente scolastico. La Corte ritiene tuttavia che ciò non basti ad integrare un’opera d’indottrinamento da parte dello Stato e a dimostrare una violazione degli obblighi previsti dall’articolo 2 del Protocollo n.1, e sottolinea inoltre come un crocifisso apposto su un muro sia un simbolo essenzialmente passivo, la cui influenza sugli alunni non può essere paragonata a un discorso didattico o alla partecipazione ad attività religiose.
SENTENZA CRITICABILE PERCHÈ SI BASA SULLA RELIGIONE MAGGIORITARIA (MA I DIRITTI SONO ANTIMAGGIORITARI) E SUL “SIMBOLO PASSIVO”!
- L’ingerenza della CEI in materia di libertà religiosa: libertà non implica eguaglianza!
Del resto, la più sicura conferma dell’esistenza di tale privilegio emerge dalle parole con cui l’allora Segretario della Conferenza Episcopale Italiana, mons. Betori, nell’audizione del 9 gennaio 2007 davanti alla Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, nell’ambito di un’indagine conoscitiva sulla libertà religiosa, sottolineò la necessità di “non alterare i caratteri costitutivi del sistema costituzionale della disciplina del fenomeno religioso”, sistema nel quale “l’eguale libertà di tutte le confessioni religiose di cui all’articolo 8, comma 1, non implica piena eguaglianza di trattamento ma solo una eguaglianza in quelle materie e in quei rapporti suscettibili di incidere sulla libertà delle confessioni. Al di fuori dei diritti connessi alla eguale libertà (diritto di culto, di propaganda religiosa, di organizzazione comunitaria) rimane la possibilità di discipline giuridiche differenziate, come del resto emerge chiaramente già dal confronto fra l’articolo 7, che riconosce la Chiesa cattolica come ordinamento primario, sovrano e indipendente i cui rapporti con lo Stato sono regolati in base ad un rapporto pattizio di tipo internazionale, e l’art. 8, che per le confessioni diverse dalla cattolica riconosce il diritto di organizzarsi in propri statuti «in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano» (comma 2) e prevede che i loro rapporti «sono regolati per legge, sulla base di intese con le relative rappresentanze» (comma 3)”.
Il discorso è più quello di un sottile giurista che di un Monsignore!
Nel dettaglio: ingerenza sulla fecondazione assistita, sulle coppie di fatto, sul testamento biologico, poi sulle disposizioni anticipate di trattamento.
- Un cenno sui funerali di Stato e sui funerali civili.
A “difendersi” dagli interessi clericali sul proprio trapasso, come Victor Hugo che fece sorvegliare la propria stanza da persone fidate a Giuseppe Garibaldi che lasciò in proposito un testamento chiarissimo: «Siccome negli ultimi momenti della creatura umana il prete, profittando dello stato spossato in cui si trova il moribondo e della confusione che sovente vi succede, s’inoltra e, mettendo in opera ogni turpe stratagemma propaga, con l’impostura in cui è maestro, che il defunto compì, pentendosi delle sue credenze, ai doveri di cattolico; in conseguenza io dichiaro che, trovandomi in piena ragione, oggi non voglio accettare in nessun tempo il ministero odioso, disprezzevole e scellerato di un prete, che considero atroce nemico del genere umano e dell’Italia in particolare. E che solo in stato di pazzia o di ben crassa ignoranza, io credo possa un individuo raccomandarsi a un discendente di Torquemada».
Lo svolgimento dei funerali è disciplinato in Italia dal d.P.R. n. 285 del 1990. Il testo è stato oggetto, in seguito, di alcuni circolari interpretative, ed è stato in alcune parti superato da successivi provvedimenti di legge (ad es. per quanto riguarda la cremazione). La parte che prevede che nei cimiteri vi siano aree destinate agli acattolici è rimasta spesso inapplicata, tanto che, per esempio, il T.a.r. della Lombardia, nel 2013, ha condannato il Comune di Brescia.
Più recentemente, lo stesso giudice amministrativo (T.a.r. Lombardia – Brescia, Sez. II, sentenza 20 aprile 2019 n. 383) ha dichiarato illegittima la clausola di una convenzione con la quale un comune ha
stabilito che nel reparto islamico del cimitero debbano essere accolti solo i defunti di quella religione, appositamente attestata da un Centro islamico.
Il d.P.R. 14 gennaio 1997, invece, inerente i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private, tra le altre cose è intervenuto sul Servizio Mortuario. Giova notare, in proposito, che la prescrizione di “istituire una sala per onoranze funebri al feretro” è rimasta anch’essa, generalmente, lettera morta, salvo per quei cimiteri dove sia possibile effettuare anche la cremazione: in questo caso la cosiddetta “Sala della memoria” può essere utilizzata pure per questo scopo.
Per rimediare, il 21 novembre 2001 fu presentata una proposta di legge (firmata da 53 deputati, prima firmataria Gloria Buffo), con la quale si chiedeva l’istituzione in ogni comune di “case funerarie”, anche all’esterno del cimitero, dove poter svolgere il rito civile.
Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della Salute Sirchia, nella riunione del 19 giugno 2003 decise di presentare in Parlamento un disegno di legge per la disciplina delle attività in materia funeraria. Nel febbraio 2005 la Camera approvò il provvedimento, passato poi al vaglio del Senato, senza essere però trasformato in legge entro il termine della legislatura. Da allora è calato il silenzio.
Sergio Foà
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