21 Ott Velo si può vietare al lavoro se si vietano tutti i simboli religiosi (crocifisso compreso), la sentenza della Corte Ue
Tratto da ilGazzettino
La Corte di giustizia europea torna in maniera netta sul delicato dibattito tra religione e laicità occidentale, che periodicamente infiamma politica e società civile
Nel nome della neutralità, vietare alle donne di indossare il velo islamico sul posto di lavoro non è discriminatorio. A patto, però, che si faccia lo stesso anche per tutti gli altri simboli di culto. La Corte di giustizia europea torna in maniera netta sul delicato dibattito tra religione e laicità occidentale, che periodicamente infiamma politica e società civile. E lo fa nelle stesse ore in cui la Corte suprema indiana si spacca sull’hijab indossato dalle ragazze a scuola rinviando la sua decisione.
E mentre, sullo sfondo, in Iran le donne portano avanti da più di tre settimane la loro coraggiosa protesta contro il regime, scattata dopo la morte della 22enne Mahsa Amini, avvenuta a Teheran il 16 settembre scorso dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non aver indossato correttamente il velo.
LA SENTENZA
A distanza di un anno dall’ultimo pronunciamento in materia, la Corte Ue – chiamata questa volta ad esprimersi dal tribunale del Lavoro francofono di Bruxelles – scandisce la linea preminente degli ultimi tempi: se il datore di lavoro esige che i dipendenti siano vestiti in modo ‘neutrò, senza esibire alcun segno religioso, filosofico o spirituale in modo evidente, può farlo senza essere accusato di discriminazione. Con la riserva che la disposizione sia applicata «in maniera generale e indiscriminata». Una risposta netta rivolta al ricorso di una donna belga di fede musulmana, che nel 2018 si era vista respingere da parte di una società belga che gestisce alloggi popolari la sua domanda di effettuare un tirocinio a causa del suo rifiuto alla richiesta di togliere l’hijab. E che fa tornare alla mente anche il caso del crocifisso italiano.
Nelle loro motivazioni, i giudici di Lussemburgo osservano che «poiché ogni persona può avere una religione o convinzioni religiose, filosofiche o spirituali», una disposizione di politica interna generale simile – «che vieta ai dipendenti di manifestare verbalmente, con l’abbigliamento o in qualsiasi altro modo, le loro convinzioni religiose o filosofiche, di qualsiasi tipo» – non costituisce, «nei confronti dei dipendenti che intendono esercitare la loro libertà di religione e di coscienza indossando visibilmente un segno o un indumento con connotazione religiosa, una discriminazione diretta ‘basata sulla religione o sulle convinzioni personalì». Al giudice nazionale resta l’onere di verificare che il divieto – apparentemente neutro e indiscriminato – non prenda invece di fatto di mira le persone che aderiscono a una determinata religione o ideologia. Il nuovo caso belga, insomma, può dirsi chiuso. Ma con tutta probabilità non sarà l’ultimo.
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