14 Giu Se il governo racconta l’Italia che non c’è
Tratto da la Repubblica, di Chiara Valerio.
In diciannove mesi, le dichiarazioni dei Ministri del governo Meloni, degli esponenti di aree di destra e centro destra, di gruppi di nostalgici con braccio alzato e passo cadenzato hanno tessuto il racconto di un paese che non esiste. Vorrei ripeterlo in vista delle elezioni europee nei giorni 8 e 9 di giugno. Il paese raccontato non esiste.
Il paese dove il diritto di aborto è in discussione, dove manca una legge sul fine vita e sul testamento biologico, dove le donne vengono portate in un tribunale perché madri ma lesbiche, dove si propongono le classi differenziate e si svuota il fondo nazionale per la non autosufficienza (giacché, visto che l’unica famiglia consentita è quella formata da un uomo e una donna, il lavoro della donna sarà accudimento e cura chi non riesce più da solo, togli soldi metti carne), dove ex militari dichiarano che l’omosessualità è una patologia psichiatrica, dove si discute e straparla di merito senza considerare le condizioni economiche di ciascuno e come pareggiarle, dove si discute di scuola quando ogni scuola è diversa, dove si impedisce agli intellettuali e alle intellettuali di intervenire sulla televisione nazionale per sostenere tesi che possano proiettare una critica più o meno pallida, più o meno accesa al potere in carica, dove gli studenti e le studentesse vengono manganellate sistematicamente è il paese che non può esistere.
IL POPOLO DEI SENZA DIRITTI
Il paese siamo noi, che esitiamo, andiamo a lavorare o cerchiamo un lavoro, decidiamo di vivere da soli o in coppia, studiamo e talvolta veniamo rimandati, tentiamo di discutere con le parole e non con le mani, di esercitare i nostri diritti e i nostri doveri, di rimanere gentili nonostante la gentilezza sembri fuori moda come le spalline alle giacche, e l’ascolto vada bene solo nel caso si tratti di un vocale a 2x, dove proviamo a crescere figli che li abbiamo o no e a rispettare anziani che siano i nostri genitori o no. Il paese siamo noi, ed esistiamo nel nostro continuare a desiderare cose e persone che non hanno una sola forma, a innamorarci di eccezioni e a farne continuamente.
Il paese è fatto così, è libero in un quadro costituzionale che di libertà ne dà molta. La libertà di accettare e accettarci, accogliere ed essere accolti, dissentire, contraddire ed essere contraddetti. La libertà garantita dal dissenso.
Pensiamoci bene, il paese raccontato non può esistere, è finto. Un paese così è il contrario della Cartoonia di Roger Rabbit. È il paese dove si può essere solo infelici perché la felicità in una democrazia ha a che vedere con il senso e la possibilità di giustizia, coi diritti e i doveri, con l’immaginazione di un futuro e la prospettiva che il mondo a venire sia più vivibile e sostenibile per l’intera comunità.
Non può esistere un paese dove i manifesti elettorali inneggiano alla caccia, dove sotto la scritta “più Italia” campeggia una famiglia sorridente formata da un uomo e una donna, un bambino e una bambina, e sotto la scritta “meno Europa” sta l’immagine di una donna incinta con la barba e i capelli lunghi. La donna, per altro, somiglia a un Cristo assorto. Se i manifesti elettorali comunicano punti di un programma politico, non capisco cosa stiano comunicando, se non il paese che non esiste. Ed è certo che non esista, la nostra letteratura non ne ha memoria, i nostri romanzi raccontano di figli cresciuti da donne che non li avevano partoriti, intere comunità, uomini senza mogli, nonni, e da estranei completi. Se questo paese esistesse, ne esisterebbe un racconto, almeno un racconto, invece non c’è niente e invece un uomo e una rondine tornavano al nido e non ci arrivano e i figli e i rondinini muoiono di fame ma forse no perché altri ci penseranno.
Tuttavia, quando le persone che hanno l’onore e l’onere di rappresentarci decidono di raccontare storie splatter e persecutorie, sottilmente blasfeme — perché avverse alla sacralità della vita biologica e biografica — e ritengono la paura una forma di governo più salda di tolleranza e comprensione, allora bisogna alzarsi e dire a voce alta che queste storie orali non saranno scritte in nessuna legge della Repubblica e dunque, andiamo a votare.
Sorry, the comment form is closed at this time.