17 Mag ‘Non è un gioco per donne’: il sessismo verso le arbitre nel calcio maschile
Tratto da Valigiablu, di Valerio Moggia.
“Sta ritardata di arbitro della Caputi deve tornare a fare il ragù la domenica. Impedita, scarsa, cessa”. In poche parole, un utente di X ha messo in fila praticamente tutto il campionario di insulti che una donna si può sentire rivolgere quando si ritrova ad arbitrare un match di calcio maschile, specialmente nelle serie professionistiche. Una ritardata, che deve tornarsene in cucina, impedita e scarsa, ma soprattutto – con un asindeto di valore crescente – brutta di aspetto.
L’occasione, d’altronde, era ghiotta: domenica 28 aprile, per la prima volta nella storia della Serie A, una partita è stata diretta da una squadra arbitrale composta da tre donne, guidate da Maria Sole Ferrieri Caputi. Partita peraltro ininfluente ai fini della stagione: da un lato, l’Inter, già matematicamente campione d’Italia, e dall’altra il Torino, sicuro della salvezza. La colpa di Ferrieri Caputi, questa volta, è stata quella di aver espulso un giocatore granata, Adrien Tameze, secondo alcuni tifosi ingiustamente. Un errore – se vogliamo – come se ne vedono spesso in campo, a prescindere dal genere di chi sta dirigendo la partita. In questo caso in particolare, però, l’arbitra aveva inizialmente dato il giallo, prima di essere richiamata dal VAR e convinta a comminare una sanzione più severa.
Al VAR sedevano Aleandro Di Paolo e Gianluca Aureliano, a cui però nessuno ha consigliato di passare più tempo ai fornelli invece che a dirigere le partite. Anzi, sempre su X un altro utente – dopo aver dovuto precisare che Ferrieri Caputi “è peggio dei peggiori arbitri maschi” – sosteneva che, pur considerando le responsabilità del VAR, la colpa era comunque della donna, che “aveva la possibilità di dare una sorta di schiaffo morale” (ai maschi, si presume) e invece ha preferito cambiare decisione, un segno di “scarsa personalità”.
Sarà sempre colpa tua
Come già scritto in questo altro articolo sempre su Valigia Blu, il calcio si è connotato in Europa come un fenomeno culturale espressamente maschile, e ciò ha dato modo nel tempo di costruire al suo interno una rape culture particolarmente solida, in cui si ritiene normale non solo delegittimare, ma anche umiliare e, quando possibile, molestare le donne che vi si approcciano. Se il calcio femminile, pur con molte resistenze, sta trovando un proprio spazio stabile e abbastanza accettato nel nostro paese – grazie anche a una rigida separazione dal gioco maschile – per le arbitre la situazione è molto diversa. Non ci sono regole che impediscano a una donna di dirigere una partita di uomini, e negli ultimi anni questo fenomeno sta diventando sempre più diffuso, in particolare nelle serie minori ma ormai anche ai massimi livelli.
Le arbitre sono dunque le uniche donne che possono essere ammesse al momento su un campo di calcio maschile, e quindi quelle maggiormente esposte a critiche sessiste. Il loro ruolo già di per sé è soggetto a insulti e abusi, ma questi variano immancabilmente quando chi dirige la gara è un maschio o una femmina: i primi sono accusati di incompetenza o di corruzione, le seconde non sono mai viste come corrotte o di parte, ma costantemente indicate come inadatte, e sempre in una maniera più grave rispetto ai colleghi maschi. Nei casi più estremi, i giudizi verso le direttrici di gara si spingono a coinvolgere aspetti tipici di qualsiasi insulto generalmente rivolto alle donne, compresi quelli sull’aspetto fisico. Se non è di bell’aspetto, è colpevole di bruttezza; se invece lo è, è colpevole di esserlo troppo. Un terzo utente, domenica scorsa, ha scritto su X che Ferrieri Caputi è “brutta come la morte” e che non potrebbe fare nemmeno “la prostituta, figuriamoci l’arbitro”. Il catalogo di insulti comprende sempre questi riferimenti: incapacità mentale di svolgere un lavoro in quanto donne, aspetto fisico, insulti di tipo sessuale. La mancanza, finora, di riferimenti a possibili giudizi influenzati dal tifo o da favori ricevuti da una specifica squadra si ricollega al primo punto, quello dell’incapacità: le donne sono percepite, da questi individui, come talmente poco intelligenti e competenti da non poter nemmeno essere corrotte. I loro limiti sono “di genere”.
Ferrieri Caputi ci è abituata, purtroppo: nel gennaio 2023, dopo aver diretto Napoli-Cremonese di Coppa Italia, su Facebook un tesserato FIGC – il dirigente sportivo Luigi D’Ario – la prese in giro suggerendole la ricetta degli gnocchi. Una volta scoppiata la polemica, D’Ario si giustificò dicendo che la sua era solo una battuta, senza intenzioni sessiste. Nel 2021, l’arbitra livornese diceva al Corriere della Sera che gli insulti peggiori si ricevono nelle serie minori, mentre nel calcio professionistico sono quasi inesistenti: va fatto però notare che si riferiva al sessismo negli stadi, e non sui social, dove la possibilità di passarla generalmente liscia gioca un ruolo fondamentale nella normalizzazione di questi comportamenti.
Un mondo sommerso e pericoloso
È indiscutibile, però, che i social media siano solamente la valvola di sfogo di un pensiero diffuso nel tifo calcistico maschile, sui quali agisce un filtro di moderazione molto più leggero rispetto a quello che viene adottato in uno stadio di Serie A o B, eppure più severo rispetto a quello degli incontri dal vivo nel calcio locale. Una breve rassegna degli episodi più marginali avvenuti di recente nel nostro paese mostra bene che minore è la visibilità e maggiore è la ferocia di questi insulti. Lo scorso gennaio, due dirigenti del La Setina (Prima Categoria del Lazio, cioè la settima serie nazionale), Claudio e Massimo Ciotti, sono stati squalificati per diversi mesi per reiterate offese contro l’arbitra Martina Caponera, e uno dei due ha proseguito con questo atteggiamento anche dopo la partita, facendo irruzione nello spogliatoio della direttrice di gara. Già nel 2020, un’arbitra di soli 16 anni era stata aggredita in campo da un allenatore in una partita Under-15 femminile in Lombardia, dopo aver annullato una rete. Un altro caso simile è avvenuto lo scorso aprile nell’Alessandrino in una gara dell’Under-17 maschile, quando un dirigente aveva prima minacciato e insultato, e poi messo le mani al collo della direttrice di gara Emily Biolatto.
Questi episodi si inseriscono in un contesto più ampio in cui i tornei minori e giovanili stanno registrando un crescente aumento degli episodi violenti nei confronti dei direttori di gara. Nel maggio 2023, l’Associazione Italiana Arbitri aveva denunciato il problema, segnalando ben 300 casi verificatisi nell’anno precedente, con un aumento del 33% rispetto alla stagione 2021/2022. Di questi, 14 avevano coinvolto in qualità vittime delle giovani donne. Un dato così, però, significa poco: gli episodi violenti contro le arbitre sono inferiori rispetto a quelli contro i colleghi maschi anche perché questi ultimi sono molto più numerosi nel settore. Sarebbe quindi interessante rapportare questi dati al totale dei direttori di gara di entrambi i sessi, per scoprire se esiste o meno una maggiore frequenza di episodi violenti nei confronti delle donne in campo.
14 casi su 300 totali significa una percentuale piuttosto alta, del 4,7% circa. Secondo i dati più recenti dell’AIA, il numero di donne attualmente iscritte in vari ruoli nell’associazione è pari al 10% del totale. Servirebbe ovviamente uno studio preciso che isoli le varie casistiche possibili e che consideri separatamente l’aumento degli episodi contro uomini e donne, ma anche in relazione all’aumento degli iscritti e delle iscritte di anno in anno. Di recente, infatti, i dati indicano che le ragazze che si iscrivono all’AIA lo fanno in misura maggiore rispetto ai ragazzi: la crescita della presenza femminile in un ambito tradizionalmente maschile, e quindi l’aumento della loro visibilità, può comportare più facilmente reazioni rabbiose contro di esse. Va inoltre tenuto presente che, per entrambe le categorie, stiamo parlando di persone molto giovani: al fattore di genere, quindi, se ne somma uno di tipo anagrafico, particolarmente rilevante se consideriamo che di solito i responsabili delle aggressioni sono uomini adulti.
Delegittimazione di genere
Torniamo al 28 aprile. L’espulsione del calciatore Tameze del Torino da parte di Ferrieri Caputi è stata giudicata eccessiva dall’ex arbitro Luca Marelli su Dazn, e successivamente anche da un altro ex fischietto, Paolo Calvarese, su Tuttosport. Ma è stata invece valutata corretta dal Corriere dello Sport, dal sito Goal.com e soprattutto da Mauro Tonolini, componente della Commissione Arbitri Nazionale intervenuto alla trasmissione Open VAR su Dazn. Che la direttrice di gara livornese abbia commesso un grave errore, dunque, è argomento su cui nemmeno i maggiori esperti del settore concordano. Alla luce di queste opinioni, i commenti catastrofici di certi tifosi letti in diretta sui social network appaiono decisamente esagerati.
Nulla di sorprendente, per la verità. Nel suo saggio del 2022 Doppio Standard, donne e carriere scientifiche nell’Italia contemporanea (Carocci), la sociologa Camilla Gaiaschi ha messo in evidenza come in ambito accademico le donne debbano costantemente dimostrare risultati migliori rispetto agli uomini per ricevere gli stessi giudizi e le stesse opportunità. In poche parole, i loro risultati vengono valutati meno positivamente rispetto a quelli ottenuti dai colleghi maschi. Se questa tendenza è generale (e non c’è motivo per pensare che non lo sia), la possiamo applicare anche al settore arbitrale e considerarla da un’altra prospettiva: gli errori delle arbitre vengono giudicati più negativamente rispetto a quelli dei colleghi. All’inizio di questo articolo si è visto come alcuni tifosi attribuiscano il motivo dell’errore al fatto di essere donna, e quindi incapace di giudicare correttamente qualcosa di intrinsecamente “maschile” come il calcio, ma ora però sembra emergere un’altra possibile tendenza: l’episodio stesso diventa un errore in quanto giudicato da una donna. Il genere di chi dirige la partita fa poi il giro e rientra nel discorso dal lato opposto, diventando ora un’aggravante per ciò che prima ha contribuito a definire come errore: l’arbitra sbaglia peggio di quanto sbaglierebbe un uomo nella stessa situazione.
In breve, l’operato di una donna che lavora nell’ambito del calcio maschile è sempre sbagliato, e lo è in maniera più grave rispetto ai maschi. Questo modus operandi non si applica solo alle arbitre, ma anche, in maniera spesso più sottile, alle giornaliste sportive. Questo aspetto si nota meno essenzialmente per un fatto: è rarissimo che una donna intervenga come opinionista del calcio maschile, specialmente in Italia. Molto più spesso, infatti, le giornaliste sportive si occupano di presentare programmi o fare interviste o cronaca: vengono relegate a un lavoro di oggettività sportiva, nel quale non devono esporre le proprie opinioni personali. Ma basta guardare all’Inghilterra, dove le opinioniste sono più diffuse, per accorgersi che subiscono la stessa delegittimazione delle direttrici di gara: lo dimostrano bene le parole dell’ex-calciatore Joey Barton dello scorso dicembre, secondo cui alle donne non dovrebbe proprio essere permesso di parlare in tv di calcio maschile.
I media, quando affrontano il tema del sessismo verso le arbitre, si fermano troppo di frequente alla superficie del fenomeno, finendo anche per banalizzarlo. È il caso di Enrico Mentana, che ha definito quelli che hanno insultato Ferrieri Caputi come “dei frustrati”, quando invece il problema è sistemico, e riguarda una cultura generalmente ostile alla presenza delle donne in questo sport. Come d’altronde esiste un’ostilità culturale alla presenza delle donne in qualsiasi altro ambito tradizionalmente considerato maschile: il calcio non è che un riflesso.
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